Dal Brenta al Piave attraverso il Monte Grappa


Siamo tornati sul Monte Grappa perchè ha tante cose ancora da raccontarci ma da buon vecchio saggio che non ha fretta, scopre i suoi segreti un po' alla volta, con parsimonia. Partiamo da Bassano dal caratteristico ponte e le belle piazze e, sorpassato un vistoso esempio di bruttura edilizia moderna piantato in un ambiente paesaggistico di particolare bellezza, ci inoltriamo dentro lo stretto e ventoso Canale del Brenta che divide come un colpo d'accetta, la muraglia del Massiccio del Grappa da quella che sale verso l'Altipiano dei Sette Comuni da dove imponenti pareti rocciose incombono sul viaggiatore. A San Nazario lasciamo ben volentieri la supertrafficata superstrada e prendiamo una mulattiera, un tempo utilizzata per portare in montagna le bestie e a valle con le slitte, legna e fieno, ma ora solitaria, che si arrampica per mille metri verso i Colli Alti. In questa escursione con Luigi e Giorgio attrezzato perfino di barometro ed altimetro, ci accompagna l'amico Toni nato nella valle che, con la sua folta capigliatura a dispetto dell' età sembra rappresentare l'ultimo leone della Valsugana. Saliamo di poco e siamo già in un altro mondo tra alberi cedui quali il carpino, per arrivare a Pian Castel, antico luogo fortificato, dove ci fermiamo per guardarci intorno. Dall'altra parte
della valle, vicinissima, l'alta scarpata sale fino all'altipiano dove, scavata nella roccia con ben 4444 gradini e un dislivello di 700 metri, c'è una scala fatta nel lontano 1398 per collegare la valle alla montagna. In basso si intravede il Buso di Oliero, una grotta carsica da cui sgorga l'acqua che, per cavità della roccia, proviene dai monti sovrastanti. Da qui si vedono bene nel fondovalle i caratteristici terrazzamenti fatti con muretti di pietre e terra riportata con le gerle, un tempo coltivati prevalentemente a tabacco, l'unica fonte di sopravvivenza arrotondata da un po' di contrabbando per la gente della valle. A quel tempo per una "carga" di tabacco si poteva beccare una fucilata dalle guardie. Ora i terrazzi e le grandi case, piantate sui costoni della valle, che
servivano per l'essicazione delle foglie, belle a vedersi quasi un presepe, costate anni di lavoro e fatica per generazioni, sono desolatamente vuote ed inutili perchè nessuno più le utilizza. Il lavoro e la vita si svolgono altrove, nelle fabbriche . Fatte queste considerazioni con l'amico che conosce bene la storia della valle, riprendiamo la salita che si fa più ripida. La fatica si fa sentire ma per fortuna l'aria è già più fresca e non si avvertono più il rumore e l'inquinamento del traffico. Giungiamo poco dopo sotto le grandi pareti di calcare che ci sovrastano. Questi torrioni che da centinaia di migliaia di anni sono lì immobili a guardia della valle e che nei tempi passati hanno visto passare lungo il fiume genti diverse che lentamente, a piedi, con i loro animali,
percorrevano la valle, ora assistono alla corsa continua delle macchine che da quassù sembrano file di formiche impazzite. Superate queste rocce dal caldo color rosa che ci comunicano il sottile profumo della pietra, giunti in prossimità del Col Moschin, teatro di battaglie nella guerra 15-18 con una colonna che ci ricorda dove fu bloccata l'offensiva nemica, ci vengono incontro un gruppo di giovani faggi quasi a darci il benvenuto ed a invitarci sotto i loro rami ombrosi per una gradita sosta . Ripartiamo e più avanti una fila di maggiociondoli ci accompagna per un tratto finché arriviamo finalmente sui prati alti da dove possiamo gustare il panorama che improvvisamente si apre. Per terra è tutto un tappeto di narcisi che a migliaia sembrano
guardare curiosi i nuovi arrivati mentre in lontananza catene di montagne si rincorrono quasi dandosi la mano in un grandioso girotondo. Davanti, ancora lontana, la Cima Grappa si eleva tra prati e boschi che si alternano e si dispongono come in un immenso tappeto. Soddisfatti da questa visione gratificante e da un sorso di buon vino, ci dirigiamo con passo leggero in basso, verso Lepre tra scuri boschi di abeti, chiari faggi dove appassionati cantano gli uccelli e radure piene di erba e fiori. Un tempo tutta questa erba di Dio che Madre natura offre agli uomini, che dovrebbero approfittarne con intelligenza e rispetto, veniva, pur con fatica, falciata ed essicata per farne un fieno profumato che di sicuro faceva impazzire gli animali... di gioia. A Lepre ci fermiamo per un buon piatto di pasta e formaggi
vari e per il riposo d'obbligo. L'amico Toni ci lascia per raggiungere la sua casetta di montagna dove l'attende la preparazione dell' orto, per piantarvi le patate e i cappucci che qui crescono croccanti e saporiti. Ben rinfrancati e decisi, riprendiamo la salita verso il vicino monte Asolone dove sulla cima un cippo ci testimonia che anche qui si svolse una cruenta battaglia. Seguiamo la cresta che corrisponde a tratti alla linea del fronte e che ci porterà direttamente a Cima Grappa. Sul terreno sono ancora visibili le buche lasciate dalle granate e trincee che col passare degli anni l'erba ed i fiori hanno pietosamente un pò ricoperto. Intorno c'è un mare d'erba che si piega sotto il vento che sale dal basso e gruppi di vacche al pascolo, felici di essere libere e ben pasciutte, fanno dondolare
pigramente i loro campanacci e ci guardano a lungo incredule. Qua e là si intravvedono improvvise voragini che sprofondano e scompaiono nella roccia. Sono enormi imbuti dove si infilano le acque piovane che col tempo, come per un disegno preordinato e grandioso, riappariranno in superficie a chilometri di distanza giù nella pianura, limpide e purificate dalla roccia. Gli uomini potranno così servirsene per il loro uso ma purtroppo a volte sconsideratamente, sprecano ed inquinano questo bene prezioso. Arriviamo sulla cima mentre gaie nuvole primaverili si rincorrono sopra la nostra testa. Il caldo e la fatica ci hanno ormai spossati ma anche stavolta non rinunciamo ad una visita al maestoso monumento dove riposano i Caduti, alla cappella della Madonna del Grappa e al museo che raccoglie importanti testimonianze di guerra. Dopo, per un necessario riposo e ristoro, scendiamo nell' accogliente rifugio dove di solito si incontrano altri amici ed appassionati di montagna arrivati quassù per altri sentieri. Anche stavolta alcuni escursionisti, amici di vecchia data, Novelio, Bepi Pestara, Bepi Boda, Tarcisio e Renato Brespa, arrivati percorrendo la facile ma lunga mulattiera che sale dal Covolo, stanno chiaccherando allegri con un gruppo di giovani, Renzo, Edoardo, Luigi,
Achille e Giorgio, che più esperti hanno fatto la ferrata dei Sass Brusai che sale tra i dirupi delle Meate e del Boccaor. Ci fermiamo a parlare del più e del meno mangiando e tracannando quanto serve e dopo Luigi, che ha l'estro poetico, trasportato dalla bellezza della montagna e dal momento particolare, compone delle rime che noi ascoltiamo con piacere:


A te che guardi il Grappa da lontano... avvicinati pian piano
e impara a conoscerlo, amarlo e rispettarlo.

Esso è come un grande libro:
sfoglia con curiosità le sue pagine, ne rimmarrai incantato.

Dalla limpidità del cielo che lo sovrasta,
alla maestosità della sua cima.

Dai numerosi sentieri che lo salgono
alla infinità di piante e fiori...


Il tempo vola e non tarda a farsi notte quando usciamo a gustare l'aria fresca. Il silenzio è di quelli antichi non violato da rumori che quassù non arrivano. Giù nella pianura è tutta
una luce quasi l'uomo volesse esorcizzare il buio della notte che verso la montagna regna sovrano. Sopra di noi, nella oscurità del cielo, le stelle sono come fari che segnalano ignoti sentieri che forse anche noi percorreremo. Data l'ora tarda alcuni decidono ben volentieri di pernottare nel rifugio, altri scendono in macchina. Al mattino ci accoglie un limpido sole. Nell'aria tersa si vedono a nord, quasi a portata di mano, le Pale di San Martino, il Pelmo, l'Antelao con altre cime e più lontane le vette della Carnia mentre a sud in lontananza riluce la laguna ed il mare: così, si potrebbe immaginare una contemporanea passeggiata virtuale tra le Dolomiti ed in riva al mare. La bella giornata e l'aria fresca ci spronano ad iniziare la seconda parte del percorso lungo la mulattiera che
porta alla Croce dei Lebi dove ci raggiungono dal Pian della Bala, Remo, Albino, Giovanni e Angelo appassionati del Grappa e instancabili camminatori, con Carlo alpino classe di ferro e vecchio camoscio delle rocce dolomitiche. Da qui il sentiero segue in quota la lunga e sottile cresta dei Solaroi, che divide i prati della Val delle Mure dal ripido e boscoso versante nord della valle di Seren, già prima linea. Tra le pietre e le erbe si vedono ancora molte schegge di granata, caverne, postazioni e trincee che si diramano per chilometri anche sui colli più lontani come una gigantesca rete. Lavoro immane fatto dai soldati in condizioni difficili con l'aiuto della mina e di migliaia di picconi, vanghe, mani nude che hanno spaccato e spostato la roccia. Percorrendo il sentiero, coperto
in questa stagione dai fiori più belli, facciamo fatica ad immaginare che tra fiori simili in una giornata come questa di sole radioso, sono morti allora tanti giovani. E ci viene in mente l'èpica e triste canzone degli Alpini:


e Cadorna manda a dire.... e poi,
Monte Nero, Monte Rosso, traditor della vita mia
ho lasciato la casa mia per venirti a conquistar.

Per venirti a conquistare abbiam perduti molti compagni
tutti giovani sui vent'anni la lor vita non torna più.


Arriviamo con questi pensieri al monte Valderoa verso Fontanasecca dove una croce solitaria ed una lapide che dice così.

A RICORDO
Del disperato di quì non si passa
degli eroici battaglioni Feltre - Monte Pavion - Val Cismon

ci ricordano che quel sacrificio c'è stato. Ritornando a quel periodo drammatico, la tragica situazione, che come ebbe a dire il generale Conrad "era
quella di un naufrago appoggiato ad una tavola di salvataggio per cui sarebbe bastato mozzargli le dita per vederlo annegare", fu capovolta grazie alla difesa ostinata ed eroica di questi soldati, molti cresciuti in queste terre, pur in forte disparità numerica e non supportati subito dopo Caporetto, né da disposizioni di comando, né da favorevole situazione militare. Occupati a ricordare questi fatti di guerra non ci accorgiamo che intanto il tempo sta cambiando. Nuvole si addensano sotto di noi e siamo improvvisamente come su uno scoglio in mare di latte. Facciamo giusto in tempo ad ammirare stupefatti lo spettacolo primitivo delle cime vicine galleggianti anch'esse sul tappeto di nuvole, che un vento vigoroso spinge la nebbia verso di noi e ci troviamo in un attimo avvolti nel grigio latteo che cancella persone e cose.
Solo di quando in quando, a seconda del capriccio del vento e delle nuvole, un raggio entra sciabolando sull'erba e sui fiori e poi scompare. Prevedendo il peggio, decidiamo di scendere veloci in basso verso la malga del Domador dove appena arrivati, il tuono rimbomba nel vallone seguito da uno scroscio di pioggia. Approfittiamo volentieri della sosta per rinfocillarci con un buon piatto di polenta, formaggio Morlak e vino bianco. Poco dopo, cessata la pioggia, Remo e gli altri ritornano al Pian della Bala per la valle delle Mure e noi riprendiamo il cammino tra prati e trincee verso l'Archeson: da qui possiamo vedere in basso il corso del Piave dove siamo diretti. Scendiamo per la strada che porta verso il monte Tomba altro
posto di duri scontri bellici, ma poco prima di arrivarci un nuovo breve acquazzone ci sorprende e ci bagna. Per fortuna l'osteria è vicina e dopo il bicchire d'uso, ci asciughiamo al sole che è tornato a splendere. Più tardi, diretti a Pederobba, attraversiamo il Monfenera ricco di vetusti castani che in autunno ci regaleranno i loro saporiti frutti. La nostra gita volge ormai al termine e ci portiamo verso il Piave che ci aspetta mormorando. Sulla statale le macchine sfrecciano davanti al bel monumento ai Caduti Francesi e le statue d'Italia e Francia guardano sconsolate verso il sacro Fiume sottratto alla loro vista dal grande cementificio che sta di fronte. Vicino al cippo da dove partirono i soldati vittoriosi per attraversare il fiume, viaggiatori frettolosi si fermano per comprare un po' di frutta. L'acqua limpida del Piave scorre veloce e porta con sé anche i ricordi.



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Sante Petrini