L'epopea delle Dolomiti


Dove oggi file di macchine rombanti salgono e scendono le strade, mentre seggiovie con il loro carico vociante raggiungono punti sempre più alti e nelle valli e nei paesi sfavillanti di luci arrivano e partono migliaia di turisti frettolosi, un tempo si udiva solo il mormorio delle acque che scendevano dalle cime ed il fruscio del vento tra i boschi immensi sopra i quali, oltre gli ultimi prati, si stagliavano immutate e maestose le vette dei Monti Pallidi. Parte da molto lontano la storia straordinaria e meravigliosa di queste montagne che dall' inizio era predestinata ad avanzare tutte le altre. Già la genesi aveva qualcosa in sé di eccezionale: milioni di anni fa, in un tiepido e tranquillo mare tropicale tra pesci multicolori ed animali strani, coralli e spugne costruivano i loro castelli in un tempo senza fine: nascevano le Dolomiti. Più avanti eventi immani hanno prima sepolto queste barriere coralline nel mare profondo per poi in ere successive spingerle in alto tra lave incandescenti e farle emergere in tutta la loro bellezza e grandiosità. In seguito furono assediate e ricoperte da enormi ghiacciai per poi definitivamente liberate, ritornare più belle e splendenti di prima.
Finita questa prima lunghissima epoca che aveva come spettatori solo i primi dinosauri e fiere che oggi non ci appartengono, ne è iniziata un' altra tra queste montagne dove l'uomo partecipò in prima persona prima sporadicamente nel Paleolitico (Campon di Monte Avena 30.000 A.C.), (Tomba e Ripari in Val Cismon 10.000 A.C.), nel Mesolitico (bivacco del Colbricon 9000 c.A.C.) e Plan de Frea (Val Gardena) poi con i primi cacciatori che salivano nei prati alti. A testimonianza abbiamo l'interessante sepoltura di Mondeval in Val Fiorentina, sotto il Pelmo sopra i 2000 metri (5000 c. A.C.). Da questo momento tra queste cime incantatrici e l'uomo che le percorse nacquero fantastiche leggende che incredibilmente dalla notte dei tempi giunsero oralmente alla fine
del 1800 e poi grazie alla raccolta di Karl Felix Wolff fino a noi. Ecco che da quella lontana epoca dei cacciatori del neolitico ci giunge Spina de Mul (scheletro di mulo) una figura che sta tra lo sciamano e il mago dall' aspetto raccapricciante con la parte anteriore ricoperta da una pelle e la parte posteriore solo di ossa nude. Abitava in una grotta nei Lastoni di Formin e possedeva la Rajetta una pietra spendente con poteri magici. Tsicuta che abitava sul Megòn de Megòjes l'attuale Monte Migògn sopra Sottoguda, pure essa maga, era sua sorella ed aveva al suo servizio un corvo parlante. Spina de Mul girava di notte per i boschi e nessuno osava avvicinarlo finché una volta al Lec de Lìmedes presso il Nuvolau fu ferito e messo in fuga da un giovane guerriero del popolo dei Duranni, Ey
de Net (Occhio di Notte) che riuscì a strappargli la Rajetta che donò poi a Dolasilla giovane principessa del Regno dei Fanes. Da quella seguirono altre leggende ambientate nella successiva Età del Ferro (1000 A.C.) che videro come principale protagonista il regno di Fanes in antagonismo con altri popoli dei Monti Pallidi (Lis Montes Palìes). Dalla prima epoca dei metalli (Bronzo 2000 - 1000 A.C.) ci giunge la bella leggenda dell' Aurona che racconta la storia di un regno sotterraneo sotto il Monte Padòn, un gruppo di scure montagne laviche che contrastano con la chiara vicina dolomia del Pordoi. Si narra che nelle viscere del monte piccoli uomini che non avevano mai visto la luce, lavorassero senza sosta per estrarre e fondere pietre e minierali per il loro re
che si sarebbe arricchito continuamente a patto che la porta della miniera non fosse mai aperta. Ma arrivò il giorno fatale che Odolghes giovane re del Contrin, si innamorò della figlia del re e per averla non esitò a scardinare con la sua spada la porta d'oro. Così finì l'incanto perché tutti gli uomini uscirono ed inebriati dalla luce del sole, si sparsero per il mondo abbandonando la miniera che cadde presto nell' oblio. E' una chiara allegoria di quell' età che vide il diffondersi della lavorazione dei metalli dal Nord delle Alpi verso altre terre. Su questo filone si innesterà più tardi nell' Alto Medioevo la storia di Re Laurino e dei nani che abitavano un regno coperto di rose sul Rosengarten - Catinaccio ma, dopo che il suo territorio fu devastato da un esercito straniero, tramutò in pietra tutto il roseto e solo la luce del tramonto ricorda il colore delle rose perdute (l'Enrosadira). Ma ritornando all' Epoca del Ferro nacque in questo periodo la grande Saga dei Fanes che dal loro piccolo regno il alto tra le crode, tentarono di conquistare la grande conca di Cortina ed iniziarono una lunga lotta con gli altri popoli limitrofi: i Bedoyères della Val Pusteria, i Landrines della Val di Landro, i Catùbrenes del Cadore, i Peleghètes della Val Zoldana, i Lastojères della Val Fiorentina, i Cajùtes dell'alta Val Cordevole, i Duranni dell' Agordino.
La lotta si protrasse per anni e vide i Fanes con a capo la principessa Dolasilla dotata di armi magiche sempre vittoriosi. Spina de Mul che voleva rientrare in possesso della Rajetta, riuscì ad organizzare una grande coalizione di popoli con a capo Ey de Net contro i Fanes ma questi , ammirato da Dolasilla non senza esserne ricambiato, diventò suo scudiero. Ma il re, invidioso e pusillanime, allontanò il guerriero e tradì il suo popolo per avere le ricchezze di Aurona peraltro ormai scomparse. Durante la battaglia si nascose presso il Lagazuoi dove ancora adesso si può vedere la sua figura pietrificata al Falzarego (el fautso rego - falso re). A Pralongià avvenne l'ultimo scontro e Dolasilla sola e priva di armi magiche soccombette. Spina de Mul poté
finalmente mandare il corvo a riprendere la Rajetta. I superstiti con la Regina aiutati da Lujanta, gemella di Dolasilla , si rifugiarono nel regno sotterraneo delle marmotte ma poi verranno nuovamente sconfitti. Solo un bambino fu portato in salvo da un aquila dagli artigli d'oro alla corte di Odolghes re di Contrin dove diventerà un grande guerriero. Il regno di Contrin si estendeva nella valle di Contrin ai piedi della imponente parete sud della Marmolada (la Rosàlya dei Ladini). Il suo re Odòlghes che già liberò Sommavida dalle tenebre della montagna e che per la sua spada dalla punta d'oro era chiamato Sàbia de Fèk (Spada di Fuoco), valoroso ed orgoglioso della sua libertà. Quando i Trusani (Romani) risalendo da sud le valli dolomitiche tentarono di conquistare il suo regno
trovarono una dura resistenza e a Plan de Norèjes (Piano dei Rododendri) presso i Serrai di Sottoguda subirono una dura sconfitta. Ma alla fine anche il Regno di Contrin fu conquistato e Lidsanel, l'ultimo erede dei Fanes, fu condotto dagli Arimanni nella Val di Fassa. Anche lui affronterà a sua volta i Trusani a Tiàn Trousàn ai piedi del ghiacciaio e li sconfiggerà ma, rimanendo ucciso in battaglia, anche la Val di Fassa verrà occupata. Altre leggende fiorirono tra queste magiche montagne: Quella della Samblana, una principessa dei Bedoyeres orgogliosa ed avida che fu dal suo popolo esiliata tra i ghiacciai dell' Antelao; di Donna Chenina e Cian Bolpin che abitavano sul Sassolungo; di Tanna dall'animo gentile regina del duro popolo dei Crodères nelle Marmarole; di donna Dindia signora di un castello della ValBadia per la quale un giovane dovette lottare per trovare e donarle la Rajetta; della Delibana ambientata nel pressi del castello di Andraz, sul Monte Pore dove si doveva sacrificare una giovane affinché le miniere continuassero a produrre; di Soreghina, figlia del sole, che viveva solo con la luce del giorno e morì perchè rimase
ad ascoltare di notte i racconti di Ey De Net. Non mancavano anche altre figure minori quali i Salvans, Salvaries e Vivane abitanti nei boschi, le Anguane ninfe delle acqua, le Jarines abitatrici dei ghiaioni. Ci sono tra le altre la bella leggenda de " Lis Montes Palìes " che ci racconta l'origine chiara delle rocce dolomitiche e di Moltina che dà il colore alla Croda Rossa ed infine di Merisiana la bella ninfa delle acque che abitava la conca di Cortina e che con la sua bellezza e grazia conquistò il potente Re dei Raggi. Si unirono in matrimonio a mezzogiorno quando tutta la natura poté parteciparvi festante. Come si vede in tutte queste leggende è prevalente la figura femminile e solo in pochi casi il personaggio maschile emerge, anzi la figura del re di Fanes è nettamente negativa. Ciò si
spiega perché nei miti più antichi dell' età del bronzo, la figura della dea Madre predomina. C'è un chiaro collegamento anche con le divinità femminili Venete antiche delle quali è stato scoperto un santuario a Làgole nel Cadore. Le epiche gesta di Dolasilla e poi quelle successive di Odolghes e Lidsanel ambientate in uno scenario grandioso ed unico, meriterebbero un cantore che le eternasse in versi ma purtroppo finora non hanno trovato un Omero. Dopo l'avvento del Cristianesimo queste leggende di matrice pagana, sono scomparse dalla luce del giorno per riapparire di notte alla luce dei bivacchi dei cacciatori e dei pastori o nelle lunghe sere d'inverno e quasi per una magia, raccontate di generazione in generazione, sono giunte fino a noi. Ci restano le preziose raccolte di Carl Felix Wolff (I Monti Pallidi - L'Anima delle Dolomiti - Rododendri Bianchi - Ediz: Cappelli) ed i recenti libri di Giuliano e Marco Palmieri (I Regni Perduti dei Monti Pallidi - Le Antiche Voci dei Monti Pallidi) dove questi miti sono ampiamente trattati. Ma per attivare maggiormente la memoria storica le varie Amministrazioni dei territori interessati alle antiche leggende, potrebbero con un po' di fantasia, distribuire oltre ai soliti opuscoli sugli alberghi anche qualcosa con riferimento a quei lontani avvenimenti. Nelle località particolarmente toccate da questi miti si
potrebbero predisporre dei cartelli naturalmente in Ladino quali " Terra degli antichi Lastoieres" " Terra del Regno di Fanes" etc. Di più, sarebbe bello e attrattivo erigere a Pralongià di fronte ai Fanes dove cadde in battaglia, una statua all'eroina Donasilla. Donasilla ? Chi era costei ! si domanderà l'ignaro turista incuriosito che naturalmente poi si appassionerà a questa storia: Non si sa mai...!


Seconda parte


Agli antichi Reti, Euganei, Celti e Veneti latinizzati nel 1° sec. d.C.,(Ladini) caduto l'impero Romano, dopo il 5oo d.C. si aggiunsero Longobardi e Germani con il loro sistema feudale ma le popolazioni, memori delle antiche libertà, si organizzarono in Libere Comunità Montane con regole proprie. Alpeggiavano il bestiame, falciavano i prati, tagliavano il legname che poi fluitavano lungo il Piave fino a Venezia che ne aveva necessità per la sua flotta. Stanco delle continue lotte tra il Patriarcato di Aquileia al quale nominalmente apparteneva, ed i vari prìncipi italiani e tedeschi, nel 1420 il Cadore che comprendeva a quel tempo l'Ampezzano e il territorio di Auronzo decise di mettersi sotto la protezione di Venezia. Ma ai secolari attriti e litigi per i diritti di pascolo e di taglio dei boschi tra le popolazioni delle valli ed in particolare tra gli Ampezzani ed i Cadorini si aggiunsero all' inizio del 1500 le rivalità tra la Serenissima e l'Impero d'Austria che sfociarono ben presto in una vera guerra. La battaglia di Valle di Cadore dove Bartolomeo d'Aviano capo delle milizie Veneziane sconfisse le truppe tedesche fu immortalata in un dipinto del grande Tiziano. Ma con la sucessiva lega di Cambrai che vedeva tutti i maggiori
stati d'Europa contro Venezia, gli Imperiali invasero e saccheggiarono il Cadore ed il Bellunese ed alla successiva pace di Worms (1511) Venezia dovette cedere l'Ampezzano all' Austria. Per qualche secolo ritornò la pace e le attività tipiche della montagna prosperarono fino alla fine del 700 quando anche queste valli furono investite dalle guerre napoleoniche con le conseguenze che gli eserciti invasori portano: furti, fame, violenze, che fecero insorgere le popolazioni contro i franco-bavaresi (Andreas Hofer nel Tirolo e Caterina Negrelli nel Primiero). Caduto Napoleone nel 1814 e finita la Republica Veneta, tutta la regione passò sotto la dominazione austriaca. Il Cadore partecipò nel 48 con Pier Fortunato Calvi ai moti antiaustriaci
del Lombardo Veneto e si meritò per questo un'ode del Carducci " Cadore" ma solo nel 1866 tutta la provincia di Belluno eccetto l'Ampezzano, passò all' Italia. Arrivò infine il fatidico 1915 e la prima guerra mondiale che vide coinvolta nei combattimenti la parte nord dell' Ampezzano. Era una nuova guerra quella che si svolse tra le rocce di queste montagne che mai prima avevano visto nulla di simile. Non più battaglie in campo aperto lungo le valli ma solo colpi di mano ed imboscate tra le vette più alte ed i ghiacciai dove fino allora era il regno dei camosci e dove arrivavano solo i corvi. Era una strana guerra che non portava benefici strategici ma si risolveva solo in un logorio continuo che richiedeva enormi sacrifici e sopportazioni dato l'ambiente estremamente ostile. Tra le storie emblematiche si ricorda la sorte del generale Cantore centrato da un cecchino mentre stava ispezionando le posizioni più avanzate e quella di Sepp Innerkofler, già nota guida di Sesto Pusteria, che in un audace scalata per occupare la cima del Paterno tenuta dagli Alpini, fu colpito da un masso lanciato da un difensore, cadde e morì tra quelle rocce che fino allora erano state la sua vita. Tutte le cime più belle furono teatro di questa aspra
lotta che si svolgeva anche sopra i 3000 metri. Le crode furono forate da gallerie e fortificate da postazioni che le bufere e le valanghe potevano spazzare in un attimo. Nella Marmolada furono scavati nei ghiacci ricoveri e depositi ; sulla lunga e sottile Cresta di Costabella a 2700 metri di quota dove appena si riesce a rimanere in piedi, furono piantate baracche e fortificazioni ed ancora sul Col di Lana, attorno alle Tre Cime, sul Popera, sul Cristallo e sulle Tofane. Qui hanno traforato la roccia con così lunghe e complicate gallerie da far impallidire quelle delle marmotte e dei nani delle antiche leggende che pur erano dotati di fervida fantasia ed operosità. Si sa che dopo aver scavato una galleria costata mesi di lavoro è stata perfino troncata con una mina la cima del Castelletto della Tofana per neutralizzare una postazione nemica imprendibile. Finita la guerra la nobile Tofana e tante altre splendide cime furono nuovamente occupate. Un nuovo amico/nemico all' apparenza meno pericoloso ma più insidioso è apparso: il turista. Dapprima in piccoli gruppi nelle valli, poi più numerosi, essi si spingono sempre più in alto. Dove si rifugiavano i soldati per sfuggire alle bufere, al freddo ed al tiro nemico, ora signore e signori trasportati da comode funivie, si distendono pigramente al sole su terrazze sospese nell'aria dei 3000 metri.
Ovunque una ragnatela di funi portano sulle ardite ed un tempo solitarie vette, torme di turisti. Da lassù si può ben comprendere la differenza tra il silenzio antico della montagna el il vociare dei nuovi arrivati: da una parte l’arcano e leggendario Regno dei Fanes, dall’altra la Mecca delle vacanze. La Regina, la lucente Marmolada è stata umiliata da funivie " ardite" ed il suo ghiacciaio " accoglie " oltre ai numerosi turisti e sciatori anche i loro poco compatibili rifiuti. Le mitiche Tre Cime di Lavaredo sono state " dotate " di un mostruoso parcheggio per permettere anche al turista pigro di trovarsele di fronte appena sceso dalla macchina: le guarderà poi o si limiterà a spedire una cartolina? Tutto cominciò nel lontano 1789 con le migliori intenzioni quando arrivò da queste parti Monsieur Dèodat de Dolomieu, esploratore, chimico e mineralogista francese che, incuriosito da questo particolare tipo di rocce le esaminò e scoprì che non erano un semplice carbonato di calcio ma un carbonato doppio di calcio e magnesio: il magnesio è l'elemento che assorbendo la luce, determina la particolare chiarezza di queste rocce. In suo onore queste montagne da allora cambiarono nome da Monti Pallidi a Dolomiti. Seguirono viaggiatori e viaggiatrici per lo più britannici che visitarono le valli e attraversarono i passi a piedi o a cavallo, prendendo annotazioni e facendo disegni dei posti: due di loro Gilbert
e Churchill pubblicarono un libro - The Dolomiti Mountains-, una terza Amelia B. Edwards scrisse - Untrodden Peaks and Unfrequented Valleys- A Midsummer Ramble in the Dolomites e passò pure attraverso queste valli il noto viaggiatore ed alpinista Francis Fox Tuckett. Tutti con le loro pubblicazioni contribuirono a far conoscere questo mondo rimasto fino allora alquanto sconosciuto. Più tardi arrivò John Ball, un irlandese in cerca di avventure ed emozioni e le trovò. Privo dei timori reverenziali dei valligiani verso le alte cime, salì per primo il Monte Pelmo. Dopo Ball e gli Inglesi si attivarono anche i Valligiani e arrivarono Austriaci, Tedeschi ,Italiani e molti altri. I valligiani erano per lo più cacciatori di camosci che ben conoscevano l'alta montagna. Si dice che nel 1844 Matteo Ossi abbia raggiunto la cima dell' Antelao ma non ci sono prove. Di certo nel 1860 arrivò a Cortina Paul Grohmann viennese che con la guida Francesco Lacedelli detto "Checo da Melères " che a quel tempo aveva già 60 anni e con Angelo Dimai detto "Angelo Deo" valenti cacciatori di camosci, conquistò una dopo l'altra le principali cime dolomitiche: tra il 1863 ed il 1865 il Sorapiss, la Tofana, l'Antelao, la Marmolada, il Cristallo. Nel 1869 con Francesco Innerkofler e Peter Salcher della Pusteria salì la Cima Tre Scarperi, il Sassolungo e la Cima Grande di Lavaredo e nel 1874 Michele e Giovanni Innerkofler vinsero la difficile Croda dei Toni. Nel frattempo sono da ricordare oltre al già citato Tuckett (Antelao, Tofana, Dolomiti di Brenta), Whitwell, lo scozzese Utterson-Kelso, Somano, Alberto de Falkner, Pietro Paoletti, von Eotvos,
Phillimore e Raynor tutti escursionisti/scalatori che con l'aiuto delle guide locali dell'Ampezzano (Santo Siorpaes, i Dimai, A.Lacedelli, Pompanin, Zangiacomi) del Cadore (Ossi, Piovanel, Mago, Masarié, Giacin, Zuliani) del Primiero (Michele Bettega e Bortolo Zagonel-1878 Bettega salì con altri il Cimon della Pala, 1901 Bettega, Zagonell e Beatrice Tomasson superarono la parete sud della Marmolada), salirono tutte le cime principali. Anche alcune donne si cimentarono nelle scalate. Sono da ricordare Anna Ploner che con Innerkofler compì la seconda scalata della Grande di
Lavaredo, Jeanne Immink una olandese che arrampicava con i guanti di capretto e salì la Piccola di Lavaredo, le baronessine Ilona e Rolanda von Eotvos (Croda da Lago, Tofana, Croda dei Toni) e la duchessa di Sermoneta che lasciò il marito sulla facile Cima Grande di Lavaredo per arrampicarsi sulla più impegnativa Cima Piccola. E' questo il periodo d'oro di Angelo Dibona la più famosa guida di Cortina, preferita dal Re Alberto di Belgio. Con Verzi, Broone e Corning superò la parete ovest della Roda di Vael e la ovest della Roda del Diavolo soffiandole a Tita Piaz, guida della Val di Fassa che geloso, prima si infuriò poì festeggiò con i vincitori. Dibona vinse nel 1910 gli ottocento metri della parete nord della
Cima Una per una scommessa fatta con Sepp Innerkofler che inutilmente l'aveva tentata in precedenza. Sempre più numerosi arrivarono da ogni parte gli scalatori attratti dal fascino di queste splendide montagne che ormai affrontavano da soli, senza guida, in una sfida totale, salendo vie nuove e sempre più difficili. Già nel 1877 Luigi Cesaletti da S. Vito detto Coloto scalò da solo, in seguito ad una scommessa, la Torre dei Sabbioni. Nel 1882 arrivarono i fratelli Emil e Otto Zsigmondy di Vienna ed un triestino Julius Kugy, seguì nel 1886 George Winkler di Monaco che fu il primo ad usare le pedule di stoffa nelle scalate ed aprì nuove vie in solitaria e con Hans Schmitt. Morì giovane a 19 anni nel ghiacciaio del Weisshorn in Svizzera ed il suo corpo sarà ritrovato intatto nel 1956. Poi nel 1902 fu la volta di von Glanvell e von Saar che salirono per primi il Campanile di Val Montanaia appena tentato inutilmente dai triestini Cozzi e Zanutti. Ai primi del 900 era iniziata l'epoca delle scalate di 3° - 4°e 5° grado su pareti ritenute fino allora impossibili da salire. Venne il fortissimo salisburghese Paul Preuss che amava arrampicarsi in libera senza l'assicurazione dei chiodi in polemica con il tedesco
Hans Dulfer, il francese Georges Livanos ed il fassano Tita Piaz che ne facevano uso. Tita Piaz, soprannominato il diavolo delle Dolomi, per le sue spericolate acrobazie tra le rocce, morì poi ... per una caduta dalla bicicletta. Ci ha lasciato due bei libri: A tu per tu con le
crode e Mezzo secolo di Alpinismo. Solo dopo la prima guerra mondiale la gara alpinistica riprese più entusiasmante che mai
e si diffuse la tecnica della Scuola Tedesca con l'uso illimitato di chiodi. Nel 1924 due Tedeschi Roland Rossi e Felix Simon superarono i 1100 metri della parete nord del Pelmo (5° grado) ed Emil Solleder tracciò nel 25 il suo capolavoro sulla parete nord-ovest del Civetta (6° grado) , superò la parete nord della Grande Furchetta e nel 26 salì la est sul Sass Maor. Nel 1925 i fratelli Angelini scalarono la sud del Pelmo e nel 1928 Hans Steger e Paula Wiesinger tracciarono la direttissima nord di Cima Una (6° grado). Nel 1921 Andreoletti, Jori, Zanutti superarono la Nord de l'Agner. Da ricordare in questo periodo Domenico Rudatis veneziano scalatore e scrittore. Nel 1929 arrivarono nelle Dolomiti i fortissimi scalatori triestini Giusto Gervasutti ed Emilio Comici. Già in loco stava crescendo un forte gruppo di sestogradisti: i Bellunesi Francesco Zanetti, Aldo Parizzi, Giovanni e Alvise Andrich, Attilio Zancristoforo, Franceschini, Vinatzer, Furio Bianchet, Ernani Faè ed Attilio Tissi.
Ci sono inoltre Castiglioni, Videsott, Gilberti, Angelo e Giuseppe Dimai, Soldà, Ratti, Carlesso e Riccardo Cassin. E' un periodo esaltante per l'alpinismo nelle Dolomiti sia per le difficoltà superate che per la bellezza delle vie tracciate. E' impossibile enumerarle tutte. Basti dire che sono state aperte la prima diretta sulla parete sud della Tofana (Tissi,Zanetti, Andrich e Zancristoforo), nel 1932 lo spigolo nord della Croda dei Toni (6° grado Schranzhofer); nel 1933 lo Spigolo Giallo sulla Piccola di Lavaredo (Comici, Varale e Zanutti) ancora nel 1933 la prima sulla parete nord della Grande di Lavaredo (Comici e i fratelli Dimai) nel 1935 la prima sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo (Cassin e Ratti). Seguiranno vie sempre più dirette e naturalmente sempre più artificiali e tutti i più forti alpinisti: Hasse, Bonatti, Lacedelli, Ghedina, gli Scoiattoli di Cortina, Maestri, Scalet, Biasin, Buhl, Aste, Solina, Couzy e
Desmaison, e più tardi Cozzolino, Giordani, Zanolla, Casarotto e tanti altri, per finire con Messner e Kamerlander vorranno cimentarsi su queste pareti dove, purtroppo, alcuni sono caduti tra i quali: Tissi, Comici, Ivano Dibona, Albino Michielli-Srobel, lo stesso Re Alberto. Nel contempo che nella solitudine delle pareti si lanciavano queste sfide, lungo i passi sul Falzarego, Pordoi,
Gardena, Rolle, ai piedi delle maestose montagne altri duelli nascevano tra i campioni della bicicletta: Coppi, Bartali, Gaul, Merks e tanti altri, che tanto hanno entusiasmato generazioni di sportivi, mentre d'inverno, sulle stupende nevi sfrecciavano i campioni dello sci. Ora la grande Epopea delle Dolomiti, raccontata da tanti scrittori tra i quali il grande Buzzati, sembra terminata: dai cacciatori di camosci alle guide, dalle arrampicate in libera alle salite in artificiale. Su questo palcoscenico grandioso e severo l'uomo ha dato il massimo della sua bravura e del suo coraggio e tra le pareti resta ancora l'eco di queste meravigliose imprese. Ma per chi ama le Dolomiti esse sono sempre là immutate e disponibili per dare sempre emozioni e gioie anche semplici a chi sa apprezzare e rispettare questo patrimonio unico ed universale. Diversamente anche queste splendide montagne diventeranno un qualsiasi oggetto di consumo "usa e getta", come un grande Parco Giochi.


Bibliografia:
- I Regni Perduti dei Monti Pallidi di Giuliano e Marco Palmieri
- Cadore e Ampezzano di Franco Fini



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Sante Petrini