Il Piave o come nel passato veniva maternamente chiamato La Piave, nasce nel cuore delle Dolomiti venete a ridosso del confine austriaco e precisamente nei Piani di Sesis sopra Sappada ai piedi del Monte Peralba. Il suo nome deriva da Piai che nel dialetto del Comelico significa un corso d’acqua di una certa importanza. Dato il nome, la sua storia è lunga da raccontare. Queste montagne si sono formate nel Triassico circa 200 milioni di anni fa quando questa parte dell’ emisfero terrestre era un caldo mare tropicale che diede origine a formazioni coralline e a depositi di carbonati di calcio e magnesio poi riemersi in seguito a movimenti tettonici e tellurici. Nei successivi milioni di anni, le erosioni e le glaciazioni e i relativi sedimenti nella pianura hanno creato il bacino nel quale scorre attualmente il Piave ed i suoi affluenti. Pur avendo una storia che si perde nella notte dei tempi, solo nel VIII secolo dopo Cristo per la prima volta il suo nome è riportato da Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum in occasione dell’ incontro del Vescovo di Treviso Felice con Alboino re degli invasori Longobardi “ ad fluvium Plabem”. Molte migliaia di secoli prima nel Paleolitico,il fiume vedeva già la prima presenza umana. Risalgono a ben 40.000 anni fa in un periodo interglaciale, le prime tracce dell’ uomo preistorico si suppone del genere di Neandertal , sulla sommità del Monte Avena a 1540 metri sopra Feltre, dove sono stati rinvenuti residui di estrazione e lavorazione della selce unico strumento di caccia e d’uso . Nello stesso sito sono state riscontrate tracce del Paleolitico Superiore, 30.000 anni fa presumibilmente dell’uomo Cro-Magnon, e dello stesso periodo anche alcuni manufatti litici trovati all’ imbocco della valle nei pressi di Vidor e colline asolane.Ma solo dopo l’ultima glaciazione tra i 15.000 e 10.000 anni fa, con il ritiro dei ghiacciai dalle quote elevate che l’uomo ritorna nel bacino del Piave che nel frattempo aveva abbandonato la stretta di Biadene-Cornuda per dirigersi a Nord del Montello verso Nervesa. Le valli, libere dai ghiacci,si erano ricoperte di vegetazione e abbondava la selvaggina che attirava i cacciatori della pianura. Sono di questo periodo,12.000 anni fa, i resti di un cacciatore del tipo Cro-Magnon scoperto in Val Cismon in un riparo di roccia chiamato Villabruna dal nome dello scopritore, con armi da caccia, oggetti di corredo ed una piccola quantità di propoli quale conforto nel viaggio ultraterreno, sotto un semplice tumulo fatto con sassi levigati e dipinti con segni rosso –ocra, segno di un già spiccato senso religioso di quelle popolazioni del Paleolitico Superiore. Nel successivo Mesolitico ( 10.000-5.000 anni fa ) l’ulteriore miglioramento delle condizioni climatiche comportò un ulteriore aumento della copertura vegetale in alta quota per cui gruppi di cacciatori provenienti dalla pianura e dal fondovalle si spinsero nella stagione estiva sempre più in alto a cacciare i grossi mammiferi. Segni della loro presenza e punte di freccia, sono stati rinvenuti sui passi e forcelle ai piedi delle crode. E’ di questo periodo ( 7.000 a.C. ) il ritrovamento sotto un grande masso-riparo, a 2150 metri di quota a Mondeval de sora, ai piedi del Pelmo in Val Fiorentina, dei resti di un cacciatore con corredo di oggetti in osso e pietra,oggetti di ornamento, una conchiglia e dei propoli per il suo ultimo viaggio, oggetti che si possono ammirare nel museo locale di Selva di Cadore. Più tardi verso il 5.000 a.C. le migliorate condizioni della pianura favorirono l’insediamento stabile di genti nel fondovalle della Val Belluna, nelle prime colline, presso i laghi e fiumi. ( sorgenti del Sile e sui piccoli dossi presso i fiumi a Dosson e Meolo). Nel successivo Neolitico ( 5.000-3.000 a.C.) oltre la caccia, ha inizio anche l’allevamento di ovini ed altri animali ed inizia l’attività agricola con l’invenzione rivoluzionaria del giogo, l’aratro,il telaio, vasi di terracotta, falcetti , asce, macine tutto in pietra. I siti di questi insediamenti sono stati rinvenuti in Val Fiorentina, Ponte delle Alpi, e nella zona collinare a Quero e Cornuda. Tra la fine del 3.000 e l’inizio del 2000 a.C. è documentata la comparsa della metallurgia, introdotta nel bacino del Piave da genti estranee alla popolazione tardo neolitica della valle. Sono state rinvenute occasionalmente tracce di manufatti dell’ epoca del Bronzo medio 1.500-1.400 a.C.( non del bronzo antico) presso le popolazioni insediate stabilmente nella Val Belluna, nelle colline di pianura, nonché lungo i corsi del Sile,( Quinto,Casier) del Piavon, antico deflusso del Piave( Chiarano, Ceggia), del Piave stesso ( Zenson, Salgareda,San Donà) , lungo il Livenza e nel lago di Revine. Detti manufatti metallici, spilloni,asce, pugnali, spade, sono affini a modelli alpino/danubiani ed era costume depositarli nei greti dei fiumi in omaggio alle acque, similmente a quanto avveniva nel Nord Europa. Da questo è facilmente intuibile che già a quell’ epoca tra i due crinali alpini esistevano notevoli flussi di scambi attraverso la valle del Piave. Inspiegabilmente risultano rare nell’ epoca successiva tracce del Bronzo finale(!.200/1.000 a.C.) forse dovuto a cause naturale e sociali eccetto il centro di Treviso dove sono stati rinvenuti reperti di quel periodo. Nel 1.000 a.C. con l’inizio della Civiltà del Ferro, una nuova popolazione proveniente dall’ attuale Anatolia invase e occupò il territorio tra l’Adige ed il Livenza gli Eunetoi come gli chiamava Omero ovvero gli antichi Veneti che confinarono i primitivi abitatori gli Euganei forse di origine Ligure, nelle vicine montagne. Sorgono villaggi e centri urbani con un buon livello di organizzazione sociale,una religione e lingua propria. Il centro politico e culturale dei Veneti antichi fu Este e Padova, altre città minori Vicenza , Asolo, Treviso e piccoli centri lungo la Pedemontana. Lungo la direttrice del Piave sorsero Oderzo, Altino quale porto fluviale marittimo, più in alto Montebelluna importante snodo commerciale con la valle del Piave, nella val Belluna, Mel,Belluno fino a Calalzo di Cadore territorio occupato in parte dai Celti, dove a Lagole di Calalzo, presso un laghetto di acque solforose e medicamentose sorse un santuario importante dove furono trovato molti oggetti votivi veneti e celtici segno della frequentazione di entrambe le popolazioni. I Veneti antichi erano per lo più dediti all’ allevamento dei cavalli, ovini e bovini , alla pesca e all’ agricoltura nonché ai commerci con i popoli del Nord Europa della civiltà di Halstatt attraverso la valle del Piave e l’Isonzo,a Sud con gli Etruschi dai quali presero la scrittura ed con Greci dai porti di Altino e Adria principalmente con prodotti metallici ( bronzo, ferro, rame) ambra , tessili ( lana,lino, canapa.) e buon ultimo i famosi cavalli ben noti nell’ antichità che nelle gare al circo correvano con il colore azzurro simbolo della “ veneta factio” che rimase il colore nazionale del Veneto e che oggi rappresenta quella sportiva nazionale. La dea principale dei Veneti era Reitia, raffigurata nei dischi rinvenuti a Montebelluna, ed era considerata la padrona della casa,degli animali e a capo del ciclo della vita e della morte. Pur di indole essenzialmente pacifica i Veneti erano però circondati dalle bellicose tribù dei Celti/Galli con i quali dovettero spesso confrontarsi e trovare un modus vivendi. Numerosi indizi e reperti testimoniano l’incontro tra le due civiltà che erano abbastanza affini. Quando i Romani nella loro espansione verso nord in guerra con i Galli ,si affacciarono nel territorio a nord del Po, i Veneti pensarono bene di allearsi con loro per far fronte al comune nemico gallico tanto che durante l’invasione di Annibale rimasero fedeli a Roma. Già nel 180 a.C. i Romani avevano fondato in territorio dei Celti Carni l’importante porto di Aquileia , poi avevano tracciate diverse strade consolari di collegamento tra le varie città. La Postumia partendo da Aquileia attraversava tutto in Nord Italia per terminare a Genova. La Via Claudia Augusta, partiva da Altino, attraversava in Piave a Nervesa e si dirigeva per la sinistra Piave o per il passo di Praderadego verso Cesiomaggiore, Mel dove è stato trovato un cippo con scritto “ ab Altinum ad Danubium”, per poi dirigersi un ramo verso Belluno ed il Cadore ed un altro verso Trento, passo Resia e Augusta in Germania. La via Annia passando verso la costa collegava Rimini con Altino e Aquileia e la via Aurelia Padova con Asolo. A ridosso di queste strade furono create delle centuriazioni specialmente nel territorio tra il Piave ed il Brenta dove coloni latini ed ex legionari avevano in assegnamento dei lotti di terra da coltivare. Nel periodo di quasi due secoli le città venete furono organizzate secondo canoni latini e nel 49 a.C. divennero Municipi con diritto di cittadinanza Romana mentre a poco a poco la lingua latina si sostituiva a quella venetica. Nella necropoli di Montebelluna furono trovati dei sassi funerari i più antichi con iscrizioni venetiche, poi venetiche/latine ed infine solo latine.( Museo di Montebelluna). Entrati a pieno titolo nel mondo romano I Veneti con i vantaggi dovettero accettare anche le conseguenze: nella guerra civile tra Cesare e Pompeo un gruppo di legionari di Oderzo capitanati da Caio Voltejo Capitone fedele a Cesare, preferirono suicidarsi in massa per non cadere nelle mani dei pompeiani. Il Venetorum angulus come lo chiama il padovano/latino Tito Livio divenne sotto Augusto la regione Venetia et Histria ed i centri veneti grandi e piccoli grazie agli intensi traffici mercantili e militari ebbero un grande sviluppo con strade, scuole, ed edifici pubblici. Alle strade si devono aggiungere i lavori continui per rendere navigabili i fiumi Piave, Sile, Livenza , Brenta, Adige che mettevano in comunicazione le città di Oderzo, Concordia, Altino,Treviso, Padova con la laguna ed il mare. Stranamente nella Historia Naturalis di Plinio il Piave non è nominato,si suppone perché a quel tempo aveva la foce giunta al Sile e solo più tardi nel VI secolo d.C. prese una direzione separata in seguito al “ diluvium”, riportato più tardi da Paolo Diacono, un’ impressionante alluvione verificatasi nell’ Italia Settentrionale dopo la caduta dell’ Impero. Anche il corso medio e alto del Piave che metteva in comunicazione i centri della pianura con la montagna e oltre le Alpi con i paesi danubiani ormai romanizzati ebbe un forte sviluppo. Feltre che era un centro dei Reti divenne municipio ed una iscrizione riporta il nome di un certo Gaio Firminio Rufo patrono della corporazione dei fabbri , dei centonarii (mercanti di stoffe) e dei dendrophori che erano tutti quelli che si occupavano del legname, dai boscaioli, ai lavoranti ai commercianti compresi gli zatterieri che lo trasportavano a valle sul fiume. Più avanti il municipio di Belluno aveva centri metallurgici alimentati dalle miniere dell’ Agordino e Zoldano nonché da materiale proveniente dal Nord delle Alpi. Commovente ed umana è l’ iscrizione nel sarcofago funerario di Flavio Ostilio Sertoriano rinvenuto nel 1400 a Belluno dove accompagnando scene di caccia sta scritto:” Sii desto e godi dei tuoi monti sempre ricordandotene”, come dire che anche dopo la morte l’anima rivive nei luoghi conosciuti e amati,mentre su un altro sarcofago del III secolo rinvenuto a Sant’Eulalia di Borso del Grappa, Caio Vettorio Massimo, veterano romano, lasciava scritto che donava 800 sesterzi alla popolazione perché in Primavera (Rosales) ed in autunno ( Vendemiales) si festeggiasse in suo ricordo. Il Cadore ( Catubrium) occupato precedentemente da tribù celtiche dei Carni venne incorporato al Municipio di Julium Carnicum ( odierno Zuglio). La linea di confine si può vedere tuttora su una roccia del Monte Civetta dove sta inciso “ FN BEL IVL “ I centri abitativi della valle erano numerosi e bene organizzati. Un’ iscrizione ritrovata a Fies riporta che un certo Lucio Sauferio Clemens donava alla comunità due edifici “scolam et solarium.”ed il famoso santuario di Lagole presso Calalzo divenne un frequentato centro religioso veneto/celtico/ romano dedicato anche ad Apollo. Ma appena due secoli dopo questo assetto territoriale entra in crisi per motivi socio-politici e già nel 168 d.C. una incursione di barbari germanici occupa e distrugge Oderzo. Una crisi agricola generalizzata provoca uno spopolamento delle campagne nel basso Piave mentre migliore e più sicura è la situazione nella pedemontana e lungo la valle del Piave. Quando però nel 452 d.C. Altino fu distrutta da Attila e continue incursioni barbare imperversavano sul territorio , le campagne furono definitivamente abbandonate e presto s’impaludarono, anche a causa di disastrose alluvioni . Molti abitanti delle città e campagne distrutte si rifugiarono nelle isole della laguna, prima fondarono Torcello poi Venezia, utilizzando spesso nelle costruzioni le stesse pietre delle città abbandonate. Nel frattempo il Cristianesimo dai centri di Aquileia e Padova si espandeva nei centri minori e dentro le valli alpine diventando con l’imperatore Costantino religione ufficiale dell’ Impero. Quando il 4 Settembre del 476 d.C. l’ultimo Imperatore romano Romolo Augustolo fu deposto da Odoacre figlio di una romana e di un generale di origine germanica tutto era nella norma perché già da molti anni soldati di origine barbara erano in forza nell’ esercito romano e risiedevano stabilmente nei vari centri prossimi ai confini in base all’ accordo giuridico dell’ hospitalitas che assegnava loro in cambio della difesa un pezzo di terra. Le invasioni prima dei Goti , scacciati poi dai Bizantini ed infine dei Longobardi nel 500-600 d.C. videro insediamenti di nuclei di queste genti germaniche (farre – Farra d’ Alpago, Farra di Soligo etc) nei centri strategici, lungo tutto il corso del Piave tra la preesistente popolazione veneto-romana peraltro assai ridotta dalle continue guerre , devastazioni e disastri naturali. Da notizie dell’ epoca sappiamo che l’intero medio ed alto Piave era nella sfera di Ceneda ,l’attuale Vittorio Veneto, importante centro franco/longobardo. Nel 923 d.C. un diploma di Berengario I re d’Italia concedeva al Vescovo di Belluno di riscuotere decime nel Cadore e nell’ Agordino per conto di Ceneda, testimonianza di come il Vescovo di Belluno tentasse in quel periodo d’ imporre la sua autorità lungo la valle del Piave e oltre, tanto che nel 963 il vescovo Giovanni ottenne dall’imperatore Ottone I, possedimenti in pianura nell’ opitergino e tentò di occupare la foce del Piave, scontrandosi con Venezia dalla quale fu però sconfitto. L’episcopato di Feltre aveva influenza principalmente nel Primiero e sulla Valsugana,meno sulla Valle del Piave.Il santuario dei Santi Vittore e Corona fatto erigere verso la fine del 1000 dal miles Giovanni da Vidor e figlio aveva lo scopo di culto ma anche difensivo perché già nel secolo successivo i feudatari della pedemontana e della pianura i Collalto, i Colfosco, I Da Camino, i Da Romano,cercavano di estendere i loro domini nel Feltrino e nel Bellunese. Erano costoro grandi, medi, piccoli feudatari di origine germanica che si erano divisi il territorio veneto e per difenderlo dalle incursioni degli Ungheri, come per le continue lotte tra loro, avevano costellato i punti strategici di torri, difese, castelli. Alla fine del 1100 i Da Camino con acquisti, eredità ed altri compromessi controllavano, anche tramite l’abbazia di Follina, tutto il Cadore, l’Ampezzo ed il Comelico promulgando nel 1235 “per illos de Camino”gli statuti cadorini che ancora hanno applicazione. Nello stesso periodo il comune di Treviso cercava di strappare ai Vescovi di Feltre e Belluno il controllo della valle del Piave con fortunate operazioni militari, ridimensionando il potere vescovile appoggiato dall’ Impero, controllando di fatto la via Alemagna. Le città di Feltre , Belluno e Ceneda si trovarono così ad essere di cerniera tra le nuove istituzioni di pianura, i liberi Comuni a carattere mercantile, ed il sistema feudale/ germanico di origine terriero appoggiato dall’ Impero e risolsero la cosa con un ibrido politico amministrativo che manteneva però quasi intatti i privilegi dei feudatari. Ancor oggi il castello di Zumelle presso Mel e la chiusa di Quero sono testimonianze di quelle aspre contese. Dopo in fallito tentativo di Ezzelino da Romano di padroneggiare tutto il Veneto, i Da Camino, signori di Treviso riuscirono a controllare oltre la Marca Trevigiana anche tutto il Bellunese ma nel 1321 furono soppiantati dai Della Scala, signori di Verona mentre il Cadore cadeva sotto l’influenza del Patriarca di Aquileia.Tornarono poi per breve periodo gli imperatori tedeschi, seguiti dai Da Carrara, signori di Padova ed infine dai Visconti di Milano che erano alleati con Venezia contro i Carraresi. Quando però il 3 Settembre 1402 Giangaleazzo Visconti morì di peste, Venezia fu pronta a riempire in vuoto creatosi e dar corso al suo antico progetto di unificare tutti i territori del Piave sotto il proprio dominio. Ha così inizio la lunga dominazione veneziana che condizionerà per quasi 4 secoli la vita delle vallate del Piave e che terminerà con l’invasione di Napoleone il 12 Maggio 1797 con eccezione del 1509 guerra di Cambrai quando la valle del Piave ed il Veneto furono invasi dalle truppe francesi e di Massimiliano I d’Austria che incendiarono Feltre, assediarono Treviso e Padova e alla fine si tennero l’Ampezzano. Nel periodo medioevale antecedente l’occupazione veneziana in tutto il bacino del Piave l’economia sia di montagna che in pianura era rallentata a causa delle continue contese territoriali. Tutte le merci che fluitavano sul fiume ed i passaggi dello stesso erano soggetti a dazi. E’ del 1293 una lettera del Vescovo di Belluno al Doge che ribadiva i dazi (mude) a lui spettanti sulle merci in transito a Caput Pontis (Ponte nelle Alpi). Anche nel corso medio del Piave c’erano dei dazi e passaggi a pagamento. Si ricordano i traghetti di Vidor di spettanza al monastero benedettino di Santa Bona di Vidor e più in basso ad Ospedale di Piave-Lovadina . Nel 1230 Il comune di Treviso decise di costruire un ponte di legno in località Saletto-Ponte di Piave, luogo libero da vincoli ma in seguito le piene del fiume lo danneggiarono o distrussero più volte. Dopo la conquista veneziana i commerci si regolarizzarono ed intensificarono. Venezia per il suo Arsenale e per la costruzioni edili aveva bisogno di molto materiale proveniente dal bacino del Piave. A Perarolo di Cadore c’era un grande “ cidolo” una barriera artificiale che raccoglieva tutto il legname delle valli adiacenti destinato poi alla fluitazione in primavera quando le acque del fiume erano abbondanti. Sorsero lungo le rive segherie, mulini, officine, centri di raccolta e smistamento del materiale. Nel corso medio della valle, a Belluno e Felte, si caricavano zattere con materiali ferrosi delle miniere zoldane e cadorine e materiali di rame dalla Val Imperina nell’ Agordino, pietre da costruzione,barili di pece, carbone di legna, legna da ardere, bestiame,panni di lana, botti vuote da riempire con vino o grappa, da riportare poi a dorso di mulo, nonché passeggeri di ogni tipo quali commercianti, soldati, sacerdoti, avventurieri ed anche qualche coraggiosa signora. La vita dei zatterieri era dura, esposti per lunghi periodi alle intemperie ed ai capricci del fiume, alle privazioni che sopportavano con buone dosi di grappa. Poteva accadere che le zattere si rompessero o rovesciassero con conseguente perdita del carico e rischio della vita. Molti ex voto, intercessioni e cappelle votive lo testimoniano. La politica veneziana osteggiò il dominio feudale terriero sempre incline verso l’ Imperatore germanico, a favore dei ceti mercantili e popolari riscattandoli da secoli di tirannia e prepotenze. Costrinse questi nobili terrieri di antica origine germanica ad inurbarsi per tenerli sotto controllo e distrusse tutti i loro castelli che fin dal primo medioevo controllavano i territori della Marca e del Bellunese. Non c’è perciò da stupirsi se durante da guerra di Cambrai voluta da Papa Giulio II, Francia, Spagna ed Impero contro Venezia, i nobili si schierarono con l’Imperatore Massimiliano I, mentre il popolo rimase fedele a Venezia. Dopo la pace, ritornata Venezia nei propri territori ad esclusione dell’ Ampezzo che rimase austriaco fino al 1918, diplomaticamente il Governo perdonò ai nobili il loro voltafaccia , permise loro di continuare nell’ amministrazione, anche perché avevano certe competenze e non sapevano fare altro, mantenendo i loro possedimenti terrieri. Nelle città e centri principali stava intanto sorgendo una classe mercantile ed artigianale che avrebbe presto soppiantato i nobili terrieri che perseguivano una economia ormai superata. I tre secoli successivi di pace nel territorio favorirono lo sviluppo di molte attività. Oltre al taglio, alla lavorazione e fluitazione del legname, sorse un’ altra importante attività legata all’ estrazione del materiale ferroso nello Zoldano e nel Cadore e del rame nell’ Agordino. La continua richiesta di armi per le guerre di Venezia contro i Turchi diede inizio alla lavorazione del ferro e acciaio. In val di Zoldo si fabbricavano armature mentre nel Bellunese e Feltrino spade. In proposito si ricorda un contratto firmato tra Andrea Ferrara originario di Fonzaso ma con officina a Belluno con dei Nobili inglesi residenti a Venezia per la fornitura in 10 anni di ben 72.000 lame e la commissione di una spada speciale che Papa Pio V offrì nel 1569 nella cattedrale di Bruxelles a Don Ferdinando Alvarez di Toledo. Ora le spade bellunesi con il marchio della lupa, si possono ammirare in tutti i musei ed armerie da Istanbul alla Scozia. Il declino arrivò per varie cause , sia in conseguenza delle nuove armi da fuoco che Venezia faceva costruire in val Trompia nel Bresciano, sia allo stato di neutralità che la Repubblica dopo Cambrai aveva dichiarato in Europa ed ultimo la difficoltà di rifornirsi di carbone per le fusioni essendo i boschi locali ormai sfruttati per cui alcune officine si trasferirono nello Zoldano dove facevano chiodi , altre emigrarono in Friuli a Sacile e Maniago dove si specializzarono nella fabbricazione di coltelli. Più complessa era la situazione nelle campagne e nelle valli rurali. In origine la popolazione contadina nel Bellunese, nel Feltrino , nel Cadore e nel Comelico era organizzata ed amministrata dalle antiche Regole con un originario patrimonio di pascoli e boschi. In ogni villaggio esisteva una Regola che controllava non solo la vita comunitaria ma anche quella di ogni famiglia e individuo, creando un micro-mondo molto efficiente e solidale ma chiuso. Ogni villaggio aveva nei pressi terreni coltivati privatamente da ciascuna famiglia producendo tutto quello che serviva alla sopravvivenza ma anche prodotti da vendere fuori nei centri vicini mentre i pascoli ed i boschi erano di comune proprietà assegnati ogni anno per sorteggio. Con l’intensificarsi dei commerci era logico che questo mondo venisse a sfaldarsi in quanto personaggi arricchiti o prestigiosi presero il sopravvento nelle comunità creando con questa continui attriti per interessi e competenze. Per fare un esempio si ha notizia che a Tai di Cadore alcune restrizione di pascolo imposte a favore di alcuni grossi proprietari, provocarono una insurrezione da parte dei Regolieri che occuparono prati e pascoli con centinaia di capi di bestiame. E’ rimasta storica la disputa decennale che contrappose le Regole del Cadore a Venezia che aveva dato in gestione la coltivazione e la vendita del tabacco in regime di monopolio contro le antiche usanze che permetteva ogni tipo di coltivazione. Nel medio e basso Piave i terreni migliori erano nelle mani degli antichi feudatari, del clero o dei nuovi signori, lasciando ai contadini in proprietà solo appezzamenti sulle rive o sulle coste che si potevano lavorare solo a colpi di zappa non potendo usare l’aratro o animali. La gravosa mezzadria, le decime al clero e le tasse al governo non potevano portare alcun progresso ma servivano solo al mantenimento dei proprietari che molte volte risiedevano altrove. L’ultimo secolo della Serenissima dissanguata dalle continue guerre contro i Turchi e dopo aver perso le rotte dei commerci a favore dei paesi nord europei ,comportò per tutto il territorio una generale decadenza delle attività che portò povertà e spopolamento. La città di Feltre che come ci racconta Antonio Cambruzzi nel 1677, era attiva nel settore delle armi, della lana e della seta e collaterali, vide ridursi sempre più queste attività fino a scomparire del tutto. Questa crisi produsse un aumento del sottoproletariato sia urbano che rurale che sarà campo fertile alle idee rivoluzionarie venute da Oltralpe a fine 700. Il 12 Maggio 1797 Venezia si arrese a Napoleone che in guerra con l’Austria, aveva invaso il neutrale territorio veneto .Così senza combattere terminò la millenaria Serenissima Repubblica di San Marco. Ma l’arrivo delle truppe di Napoleone, oltre alle idee di liberté. egalité, fraternité portarono ad uno stravolgimento della situazione sociale ed economica con la soppressione delle antiche Regole, la cancellazione delle leggi e dei simboli della Serenissima, le requisizioni per le truppe, pesanti spogliazioni e ruberie , nuove tasse e la leva obbligatoria. Tuttavia si narra che parecchie giovani donne specialmente nel Bellunese, conquistate dalle nuove idee e dal fascino francese, si unirono in matrimonio con i giovani soldati per seguirli poi nel loro destino poiché costoro , in base al trattato di Campoformido lasciarono i territorio, sostituiti dagli Austriaci che non furono altrettanto bene accolti dalla gente. I nuovi arrivati furono invece ben accolti dai Nobili proprietari terrieri e dal Clero che avevano temuto le idee rivoluzionarie francesi, ma l’imposizione di nuove tasse esasperò le classi più basse della popolazione del contado che si ribellò( rivolta dalmèdera). Nel 1800 Napoleone divenuto nel frattempo Imperatore, sconfisse nuovamente gli Austriaci a Marengo e ritornò con le sue truppe nel Veneto per poi perderlo nuovamente e riconquistarlo nel 1805 . In questo nuovo periodo francese, il territorio fu organizzato in Comuni, Distretti, Dipartimenti con a capo un Prefetto che con ampi poteri era l’anello di congiunzione tra il potere centrale e quello periferico, a tutto vantaggio del potere centrale lontano però dalle esigenze della gente, sistema mantenutosi pressoché uguale nell’ Italia attuale. Furono portate ampie riforme al sistema giuridico-amministrativo, intensificando la democratizzazione del potere e la scolarizzazione che divenne in poco tempo assai diffusa. Nei pubblici uffici accanto ai tradizionali nomi della vecchia nobiltà erano affiancati limitatamente anche dei borghesi. Evidentemente le antiche posizioni di potere e prestigio erano dure da scalfire. In questo periodo francese continue incursioni dal Tirolo di insorti di Andreas Hofer, di Schutzen ampezzani e bande di Maoni,briganti d’Oltralpe spinti da Vienna, saccheggiarono il Cadore fino a Belluno determinando una forte instabilità governativa e la reazione delle truppe francesi. Nel 1813 in seguito alla sconfitta di Napoleone a Lipsia, gli Austriaci ritornarono nel Veneto che dopo il congresso di Vienna nel 1815 passò definitivamente all’ Austria. Con i nuovi arrivati i Nobili ed il Clero riacquistarono tutti i privilegi ed i patrimoni fondiari che avevano in parte perduto con i francesi ma per la città di Venezia fu un periodo di totale decadenza che accentuò la rovina di tanti bei nomi della vecchia aristocrazia veneziana e provocò un esodo di attività commerciali e di popolazione dalla città. In alcune centri si diffuse pure tra la popolazione un’ epidemia di colera dovuta al degrado delle condizioni igienico-sanitarie nell’ indifferenza della classe dominante. La crisi economica, l’implacabile pressione fiscale,l’arroganza con cui gli Austriaci si intromisero nelle cose italiane pur con l’efficacia dell’ amministrazione asburgica, provocarono nel 1848 l’insurrezione di Venezia guidata da Daniele Manin che scacciati gli Austriaci e proclamata la Repubblica di San Marco, resistette eroicamente per un anno all’ assedio come ci tramandano le parole della nota poesia:” Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca.”Anche lungo il Piave e specialmente nel Cadore i Patrioti con Pier Fortunato Calvi, creato un Comitato Provvisorio e sostenuti da personalità importanti sia civili che religiose, batterono e tennero testa alle truppe austriache. Ma dopo la sconfitta dei Savoia, l’Austria schiacciò la rivolta, fucilò alcuni capi tra i quali Pier Fortunato Calvi e l’avvocato Jacopo Tasso di Belluno, costrinse altri all’ esilio ed intensificò l’attività poliziesca che provocò i nuovi moti mazziniani del 1864 e successiva repressione. La crisi economica si accentuava e molti uomini specialmente del Bellunese, partivano per lavori stagionali in Austria, Svizzera, Ungheria, Romania, lasciando per lunghi periodi il peso della famiglia alle sole donne. E’ di questi anni l’ inizio dell’ interesse alpinistico per le Dolomiti , già nel 700 studiate dal geologo francese Dolomieu da cui presero il nome,quando l’inglese John Ball accompagnato da cacciatori di camosci del luogo, scalò per la prima volta il Pelmo. Ma già s’avvicinava il 1866 quando con la terza guerra d’indipendenza, l’Austria sconfitta dalla Prussia, dovette cedere il Veneto al Regno d’Italia, adesione confermata da un plebiscito che era evidentemente truccato. Dopo l’unificazione, sull’ onda dei principi risorgimentali, furono create le prime cooperative e società di mutuo soccorso per alleviare la miseria delle popolazioni e venire in aiuto ai piccoli produttori e artigiani, ma la crisi nelle campagne era ormai irreversibile dovuta essenzialmente al sistema paralizzante della mezzadria, alla conduzione agricola antiquata, ai vecchi pregiudizi , alla famigerata tassa sul macinato e alla disattenzione della classe di governo. Ormai costretti a sfamarsi con sola polenta che provocò la conseguente epidemia di pellagra ( il male della miseria), perseguitati da terremoti, da gravi inondazioni del Piave a causa del dissesto ambientale e dalla siccità, intere famiglie di contadini si videro costrette all’ emigrazione che portò in pochi anni al dimezzamento della popolazione rurale veneta. Le continue guerre precedenti aveva dato pesanti contraccolpi nella gestione del territorio che una serie di ordinanze ora francesi ora austriache cercarono di tamponare con nuove mappe e disposizioni. Nel periodo austriaco fu creato allo scopo l’ Imperial Regio Corpo degli Ingegneri d’acqua e di strade per sovraintendere a tutti i lavori di arginatura dei fiumi e sistemazione delle strade, tentando di controllare il deflusso del Piave che stando alle cronache aveva sempre dato seri problemi avendo un carattere irrequieto, non certo come il Sile o il Brenta contornati di ville lungo le rive. Si ha notizia che nel 1522 il fiume esondando a Nervesa e seguendo la depressione della Piavesella, arrivò fino a Treviso, nel 1683 con la rotta della Landrona il Piave cambiò direzione e si diresse verso l’attuale foce di Cortellazzo.Nel 1823 una violenta inondazione causò la distruzione di Perarolo nell’ alto Piave e nel 1882 un’ alluvione provocò gravi danni lungo tutto il corso del fiume. Il Piave non era un fiume facile e si cercò di imbrigliarlo con poderose arginature nella parte bassa e murazzi in pietra nei punti critici. Ma dopo la catastrofe del Vajont e l’alluvione sia pure eccezionale del 1966, si capì che bisognava prevenire questi fenomeni con una politica di protezione del territorio da l’ intervento sempre più invasivo dell’ uomo. Nacque finalmente una coscienza ambientale da contrapporre al malaffare, all’ egoismo e alla stupidità di certi personaggi anche “autorevoli”. Per controllare il deflusso del Piave e per esigenze agricole, già al tempo della Serenissima si diede avvio ad un utilizzo delle acque con il Canale della Brentella ad uso irrigazione dei terreni aridi della Pedemontana del Grappa ma solo dopo la Prima Guerra Mondiale si intensificò questa operazione con l’ampliamento del precedente e lo scavo del Canale della Vittoria che portava la tanto necessaria acqua nei terreni a Sud del Montello. Di queste nuove strutture che modificarono e favorirono l’ ambiente agricolo, si avvantaggiarono anche i primi opifici industriali che sorsero lungo le loro rive. Grandi opere di bonifica integrale furono inoltre condotte prima e specialmente dopo la Guerra 1915-1918 che aveva portato gravissime devastazioni nella parte bassa del Piave, dove da sempre terreni paludosi oltre ad essere improduttivi portavano la malaria. Per dar corso a questi grandiosi lavori, furono creati dei Consorzi tra proprietari con l’aiuto dello Stato, innalzati gli argini del fiume anche a 6 metri sul livello campagna, eliminata l’acqua con un sistema di idrovore e canalizzazioni e, suddiviso il territorio in appezzamenti tra i coltivatori con relative case coloniche ,fu messo in produzione il terreno che ben presto diede ottimi risultati sia nelle coltivazioni agricole tradizionali che industriali. La malaria e la pellagra furono debellate. Nuove terre dove prima c’erano solo acqua e fango furono conquistate ad una razionale agricoltura allontanando la miseria storica del contadino e ponendo termine al fenomeno nefasto dell’ emigrazione. Questo grandioso sforzo fatto durante il ventennio Mussoliniano comportò naturalmente anche un messaggio politico tipico della retorica fascista: la rinascita di quelle terre bagnate dal Piave, fiume sacro alla patria, rappresentava la rinascita della nuova Italia. Già prima, durante la Guerra 1915-1918 il Piave, prima sconosciuto fiume dell’ Italia, diventò il Fiume Sacro alla Patria che con il Monte Grappa dove venne respinta l’avanzata austro-tedesca dopo la rotta di Caporetto, ci permise di ottenere la vittoria. Il fiume Piave divenne così il simbolo della salvezza è verrà immortalato nella celebre canzone creando il mito della “Razza Piave” che sintetizzava il coraggio, la tenacia, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere. Ma ci fu anche il rovescio della medaglia perché circa 600.000 profughi dei paesi rivieraschi durante la battaglia del Piave , furono costretti ad abbandonare le case ed i paesi che al ritorno dopo circa un anno ritrovarono pressoché distrutti. La popolazione della riva sinistra del fiume occupata dal nemico, oltre a subire violenze e distruzioni, rimase priva di tutto compreso il cibo che veniva razziato dalle truppe. Il 1918 verrà ricordato da queste genti come “ l’an de la fan” che causò nella sola provincia di Belluno la morte di 3228 persone per fame e 1574 per la febbre spagnola. Nel ventennio fascista nel medio e alto Piave non interessati a lavori di bonifica, l’agricoltura a conduzione tradizionale e l’industria ancora minoritaria comportarono una diffusa arretratezza sociale con gravi problemi di povertà, alcoolismo,tubercolosi anche se il Governo cercò di porvi rimedio con case popolari e servizi sociali, situazione che si aggravò durante e dopo la Seconda Guerra mondiale che portò oltre ai caduti in guerra, distruzioni e vittime civili per i bombardamenti, l’occupazione tedesca, la guerra di liberazione, le esecuzioni, i deportati, la fame. Nel dopoguerra, da un territorio stremato, riprese l’ emigrazione verso la Francia, nelle miniere in Belgio, negli stati Uniti e nella lontana Australia che terminò solo verso la fine degli anni 50 quando con l’aiuto americano e la proverbiale laboriosità dei veneti amministrati in quel periodo dal governo democratico della D.C., partito di centro destra, la situazione cominciò a migliorare. Nel basso Piave, i danni alle zone bonificate sia pur limitati, provocarono il ritorno della malaria estirpata definitivamente solo nel 1950, e la catastrofica alluvione del 1966 evidenziò come le opere di difesa specialmente a mare fossero ancora insufficienti e come il fiume fosse a volte incontrollabile. Si presentò anche il problema sociale e politico della conduzione agraria, la definitiva abolizione della mezzadria sostituita da proprietà o affitto: la terra a chi la lavorava. Ma la successiva rapida meccanizzazione e la richiesta di posti nell’ industria resero ben presto superato il lavoro manuale di tanti contadini : quelle braccia che tanto avevano faticato per possedere un pezzo di terra erano ormai inutili. Contemporaneamente nella parte superiore del bacino del Piave si iniziò la costruzione di tutta una serie di dighe, invasi, gallerie e relative centrali al fine di sfruttare le acque del fiume e dei suoi affluenti per la produzione di energia elettrica di cui il paese aveva urgente necessità per il forte incremento industriale. Queste opere furono progettate e pianificate dalla SADE a capo della quale c’era Giuseppe Volpi che fu l’artefice anche del nuovo polo industriale di Marghera e del rinnovato porto di Venezia. Con sbarramenti, laghi, prelievi d’acqua per l’irrigazione il fiume Piave fu artificialmente controllato limitandolo in certi periodi estivi ad una portata d’acqua appena sostenibile, problema ambientale tuttora grave ed irrisolto. Ma questo esasperato sfruttamento delle acque di montagna con la pretesa di un controllo sistematico della natura, portò nel 1963 all’ immane tragedia del Vajont dove la frana di milioni di metri cubi dal sovrastante monte Toc nel lago artificiale, peraltro annunciata ma inascoltata, provocò un’ onda d’urto immane che distrusse il sottostante paese di Longarone ed altri centri vicini causando quasi 2.000 morti. Ci volle tutto ciò per capire che non si poteva sfruttare impunemente la natura e che era ora di fermarsi. In seguito, si prestò molta più attenzione all’ ambiente montano con il recupero dei terreni abbandonati e la creazione di parchi naturali . Superati i difficili anni 50, dal 1960 al 2000 grazie alla liberalizzazione dei commerci, avvenne il grande miracolo economico prima inimmaginabile di questa regione che un dinamismo ed un’ inventiva senza precedenti portarono ai massimi vertici mondiali. Lungo le terre bagnate dal Piave in un territorio tipicamente agricolo spuntarono centinaia di capannoni . Nei paesi del Quartier del Piave sorge un grande polo per mobili e arredamento, nel Montebellunese un centro mondiale della calzatura sportiva e abbigliamento sportivo, a Valdobbiadene e colli adiacenti una importante zona vitivinicola, a Conegliano grandi stabilimenti metalmeccanici e lungo il Piave, nel Bellunese, nel Cadore ed Agordino centri dell’ occhialeria. Da questo boom edilizio il paesaggio è stato irrimediabilmente stravolto e con esso anche quella civiltà rurale che per secoli aveva nel bene e nel male sorretto questo territorio. Non più tradizione e saggezza antica tramandata nei secoli che si portavano dietro anche tanta miseria contadina , ma modi di vita nuovi ( way of live) tipicamente americana con grande spreco di risorse che ora in ritardo, si cerca faticosamente di salvare. Anche nelle zone di montagna più favorevoli al turismo estivo ed invernale si ebbe un moltiplicarsi di ricettività alberghiere, funivie e quant’ altro serve all’ industria dell’ accoglienza, soppiantando la tradizionale economia di montagna. Al mare, ai lati della foce del fiume, una interminabile sequenza di alberghi , negozi, strade ne costellano le rive. Pure l’agricoltura è cambiata sostituendo la familiare e variegata produzione di in tempo, con grandi superfici a mais , allevamenti industriali di animali, coltivazioni intensive di ortaggi, estesi terreni a vigneto. Tutto questo benessere ha avuto però un grande costo: l’ inquinamento dell’ aria , dell’acqua e del terreno, cementificazione del territorio, traffico insostenibile, ritmi di vita frenetici, disagio sociale, individualismo sfrenato, immigrazione incontrollata e da ultimo ma non di poco conto incertezza o mancanza di lavoro a causa della globalizzazione e della grave crisi mondiale. Anche il grandioso polo industriale di Marghera mostra i suoi limiti e ci si rende conto che i danni dell’ inquinamento superano i vantaggi peraltro ormai ridotti per questi tipi di produzione dando luogo a grave instabilità sociale. Tutti questi problemi del territorio che malamente sono seguiti e risolti da un governo centrale lontano, le sperequazioni senza senso tra la zona montana veneta e le regioni vicine sfacciatamente privilegiate, la forte imposizione fiscale, hanno creato tra queste popolazioni un forte malumore ed un desiderio di vero federalismo ed autonomia che fu all’ origine negli anni ottanta di una forza politica nuova, la Liga Veneta ora Liga Veneta- Lega Nord. Per finire sono da ricordare gli scrittori i poeti e i pittori, che affascinati dalla natura e dalla storia del Piave lo hanno ricordato nei loro scritti e nelle loro opere. Già nel lontano 1500 Tiziano nei suoi quadri riportava il profilo delle Marmarole e nell’ 800 pittori paesaggistici hanno ritratto il fiume. Monsignor Giovanni della Casa, nella quiete dell’ Abbazia di Nervesa scrisse il famoso Galateo e Pierio Valeriano, bellunese, umanista e viaggiatore , ricordava da lontano la sua città ed il fiume che descrisse dalla sorgente sopra Sappada fino alla Riva delle Zattere a Venezia evidenziando i paesi , i passi pericolosi , le rapide e perfino la pericolosità del Vajont che purtroppo quattro secoli dopo porterà immani lutti e rovine. Nell’ Ottocento fu il Carducci che nell’ Ode al Cadore si rivolge al Piave in tono eroico come era nel suo carattere impetuoso. Nel primo 9oo il feltrino Antonio Vecellio dedicava un poemetto al fiume e durante la 1° Guerra Mondiale ci pensarono a ricordarlo il poeta trevigiano Carlo Moretti , E.A. Mario( Gioviano Gaeta) con la canzone la Leggenda del Piave e buon ultimo Gabriele D’Annunzio che nel suo canto “ L’Acqua del Piave” proclama “ Questo che è un ruscello nella tradizione dei Veneti, maschio nella venerazione di tutti gli Italiani d’oggi, è la vena maestra della nostra vita” e su Canti della Guerra Latina” Oggi ti danno, o Libertà, per tuo diadema il sasso scolpito del Grappa e ti danno il Piave flessibile per tua collana”. Dopo il fervore patriottico il fiume continuò ad essere fonte d’ispirazione per altri scrittori e poeti . Giovanni Comisso che lo chiamava la grande vena di questa terra e spesso vagabondava tra le sue ghiaie, era affascinato dalla natura selvaggia delle rive e dalle acque turchesi sovente pericolose. Dino Buzzati aveva parole piene di affetto per il fiume che scorreva vicino a casa sua e dove spesso andava a pescare con altri ragazzi e che con la sua fervida immaginazione vedeva come un fiume africano tra deserti sassosi. Goffredo Parise dopo lunghi vagabondaggi si fermò come buon ritiro a Salgareda sulle rive del Piave e da lì scriveva “ Non sono più Veneto da molti anni e se la mia regione ha ormai spazi internazionali, il mio sentimento è piccolissimo e fortissimo ed è tutto racchiuso nel Veneto specie nelle immense ghiaie infuocate del Piave durante l’estate e l’azzurro torrente che vi scorre in mille rivoli e pozze gelide”. Il poeta Zanzotto lo vedeva come un fiume tragico e nell’ anniversario della Battaglia del Solstizio si augura “ E non tornino, all’ inno queste onde. Mai più “. Un particolare ricordo va ad Albino Luciani , Papa Giovanni Paolo I che , Agordino di nascita, fu parroco a Belluno, poi Patriarca di Venezia ed infine Papa, il Papa del Sorriso, per soli 33 giorni. Ora il Piave non più investito di compiti salvifici e tenuto sotto debito controllo, si accontenta di esser d’estate un grande parco del tempo libero, dove pescatori, sportivi e gente comune si godono la libertà che questo fiume generosamente offre. D’altra parte la sua valle da sempre insostituibile via per le comunicazioni con il nord Europa, richiede una pianificazione strategica del territorio a causa dell’ attuale grande volume dei traffici. Accanto alle vecchie strade , una moderna autostrada risale ora la valle del Piave ed in futuro proseguirà collegandosi alla rete Europea, scavalcando quei passi alpini che già nella lontana età della pietra l’uomo preistorico faticosamente attraversava per fare scambi ed allacciare rapporti con gli altri popoli al di là delle Alpi. Così l’Epopea del Piave termina dove era cominciata, ma sicuramente proseguirà.
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