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Olio di Luciano Buso




Centenario della Guerra 1915-1918.

Nel centenario della Guerra 1915-1918 ci vuol ben altro che uno sventolio di bandiere e discorsi di circostanza per commemorare i 700.000 caduti e le vittime di quella guerra per l’Italia che ora a 100 anni dalla vittoria è portata alla disfatta dalla corruzione e incapacità della casta dirigente. Nell’ora del tramonto un campanile indica un cielo di fuoco come raramente appare: forse è un forte richiamo ed un severo monito a non dimenticare.





Percorso storico per ricordare
la Guerra del 1915-1918
sul Monte Grappa e Ortigara


Sul Monte Grappa dove cent’ anni fa c’erano i campi di battaglia, a primavera appena la neve scompare, spuntano un’ infinità di crocus, come stelle splendenti sulla terra, quasi a ricordare i giovani che quassù hanno combattuto e fermato l’ invasore come gli antichi Spartani alle Termopili.

Viaggiatore e turista che vai veloce, fermati un momento ad ammirare questo meraviglioso spettacolo e per ricordare coloro che su questa montagna sono caduti per un’ Italia migliore e non sia stato invano.



Nell’avvicinarsi al Centenario della Prima Guerra Mondiale (1914-1918) durante la quale il fronte Italiano si svolse e sconvolse il Territorio Veneto, è suggestivo e commovente ripercorrere a piedi in varie tappe il teatro di quella guerra e scoprire dopo quasi cento anni i resti ed i segni lasciati dalla grandiosa battaglia che si svolse lungo alcune centinaia di chilometri dall’ Adamello fino al Carso Triestino.
Il punto centrale di quell’ epico scontro fu il Massiccio del Grappa che si erge al centro dello schieramento e fu il fulcro delle operazioni nella seconda parte della guerra dopo Caporetto. Tutto il crinale del Massiccio del Grappa che va dalla Val Sugana alla Valle del Piave con un’altitudine di 1400-1700 metri è tuttora segnato da cippi commemorativi e da resti che ci ricordano il sacrificio di tanti soldati che in prima linea, prima dovevano sopravvivere alla freddo feroce dell’ inverno e d’estate alla all’ arsura opprimente, per poi combattere e possibilmente vincere o morire. Partendo da ovest sul Col Moschin dove oltre il baratro della Valsugana il fronte proseguiva nel vicinissimo Altopiano di Asiago, con il Monte Fior, Cima Dodici e l’ Ortigara teatri di altre sanguinose battaglie, una colonna antica romana ci ricorda che il IX Reparto d’assalto Arditi nel giugno del 1918 con una decisa contro offensiva cacciò da quel posto strategico e dai vicini col Fenilon e Fagheron le forze austroungariche che già li avevano occupati. Ogni anno la brigata Folgore IX Reggimento Paracadutisti d’assalto col Moschin, custode della bandiera degli Arditi, si ritrovano sulla cima per ricordare.

 


Col Moschin


Col Fenilon

 


Col Beretta


Trincea sotto la neve

 


Asolone



 


Soldati in trincea


Trincea sul Monte Oro
 


Crateri delle granate sul Monte Asolone


Le vecchie trincee ora fioriscono
 


Ca Tasson dopo la battaglia

Vecchia trincea
 


Commemorazione Cima Grappa


Madonnina del Grappa
 


Sacrario IV Armata Cima Grappa



Era il solstizio d’estate del 1918
ed i narcisi profumati, i ranuncoli gialli, gli azzurri nontiscordardimé
e cento altri fiori rivestivano gli aerei colli del Grappa.
All’ improvviso il canto lugubre della mitraglia cominciò a falciarli
e con loro migliaia di uomini caddero tra quei fiori spezzati
e sangue copioso bagnò quella terra.
L’anno dopo quando tutto era finito,
i fiori spuntarono nuovamente, belli, profumati, innocenti,
come nulla fosse accaduto.
La natura non si era accorta di quella tragedia.
Solo il nostro ricordo ne mantiene la memoria.


Proseguendo lungo il crinale verso cima Grappa che si vede ad est tra boschi e prati, passiamo per il Col Caprile, il col Berretta, l’Asolone, il Monte Pertica dove dei cippi ci ricordano altri sanguinosi scontri e Ca’ Tasson dove rifulse l’eroismo del Capitano degli Arditi, Medaglia d’Oro Ettore Viola. Sulla cima del Monte Grappa nel grande Cimitero Monumentale, riposano i resti di 12615 Soldati Italiani e 10295 Austroungarici che ogni prima domenica di Agosto festa della Madonnina del Grappa protettrice delle Genti Venete, vengono solennemente ricordati con grande partecipazione di popolo e di autorità Italiane e Austro-Ungheresi. Una lunga galleria con feritoie e postazioni ed un museo ci riportano a quei giorni terribili. Dalla sommità la vista spazia a 360 gradi dal lontano Adamello a ovest, dove tra i suoi ghiacciai sopra i 3000 metri si svolsero scontri epici, a nord la Catena del Lagorai e sullo sfondo le cime Dolomitiche dove correva il fronte nella prima parte della guerra, ad est in lontananza le Alpi Giulie ed il Carso dove ci furono innumerevoli sanguinose battaglie, a sud il Piave dove correva l’ultimo fronte dopo la ritirata di Caporetto e la grande pianura veneta con le città di Venezia, Padova, Vicenza che il nemico già vedeva in basso e ne pregustava la rapida conquista. Dalla cima , proseguendo verso est la prima linea correva lungo la dorsale dei Solaroi a quota 1400-1500. Ovunque ci sono i resti di gallerie, postazioni, trincee scavate sulla nuda roccia anche nelle cime vicine per chilometri e chilometri. Nel sentiero che corre lungo la dorsale si rivengono ancora pur arrugginite, schegge di granata, bossoli, cartucciere, elmetti, gavette e di tanto in tanto qualche povero scheletro. Una lapide ed una croce ci ricordano che gli Alpini del Battaglione Feltre, Monte Pavione e Val Cismon nel novembre del 1917 dopo Caporetto, respinsero i primi assalti austroungarici (c’era anche Rommel la futura volpe del deserto).


 


Dorsale dei Solaroi


 


Cippo dei Solaroi

Comando in Galleria
 


La pianura del Grappa

Commemorazione sul Monte Tomba

Camminare sulla cresta dei Solaroi
in una mattina di giugno,
quando l’aria è fresca al punto giusto
ed il sole splende bello alto,
in mezzo ad un tappeto di erbe e fiori,
lungo un sentiero di pietre bianche,
sopra un gruppo di nuvole basse e pigre,
sopra prati con mucche tranquille al pascolo,
e grandi boschi scuri e valli profonde,
sopra fiumi che si perdono lontano nel mare,
e paesi e città della grande pianura,
sullo sfondo montagne ancora coperte di neve,
sembra di trovarsi in Paradiso.
Si fa presto adesso dire Paradiso
mentre un tempo qui era l’ Inferno.
Le pietre bianche che segnano il sentiero
erano rosse del sangue dei caduti
ed i pezzi di granata adesso muti
tagliavano urlando la carne dei soldati.
Non c’è posto per il Paradiso sulla terra.

La linea del fronte proseguiva per Valderoa e lo Spinorcia poi scendeva ad est verso il Monte Pallon, il Monte Tomba ed il Monfenera dove nella battaglia del solstizio del 1918 si batterono i soldati di ben 8 nazioni ( Francia, Belgio, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti,Germania,Austria,Ungheria), che ogni anno vengono doverosamente commemorati. Infine il fronte del Grappa scendendo verso la pianura, a Pederobba si univa al fronte della destra Piave che passava sul Montello e proseguiva fino al mare.

 


Pederobba monumento ai caduti francesi


Cippo che ricorda il primo passaggio del piave, il 26-10-1918,
del primo gruppo franco-italiano preludio della vittoria di vittorio veneto

 


Il Piave dal Grappa


Il Piave con il Grappa

Percorso storico della Guerra 1915-1918
sul Col Campeggia - Monte Grappa
Il recupero ed il percorso delle trincee della Prima Guerra Mondiale sul Col Campeggia-Campo Solagna- Monte Grappa, è stato reso possibile con il lavoro eseguito dall’ Associazione Volontari Antincendi del Comune di Romano d’Ezzelino e del nucleo comunale della Protezione civile , realizzato con il contributo CEE-LEADER II° GAL 3 Azione “ Museo diffuso”. La zona durante le operazioni belliche, rientrava nel settore del IX Corpo d’Armata comandata dal Tenente Generale Emilio de Bono che disponeva di 18 Battaglioni. Nella battaglia del Solstizio del giugno 1918 queste linee erano di difesa e supporto alle spalle di quelle di prima linea del Monte Asolone. Le trincee si sviluppavano per circa 15700 metri con 453 appostamenti per mitragliatrici, da aggiungere ai 14600 metri di camminamenti e 36000 metri di reticolati. Per avere un’ idea dello sforzo logistico gigantesco che venne sostenuto durante la battaglia sul Monte Grappa, serve ricordare che essendo la montagna di origine carsica priva completamente d’acqua, furono pompati con impianti idraulici che a quel tempo erano alquanto primitivi, superando un dislivello di oltre 1000 metri, ben 800 m3 d’acqua al giorno con 100 Chilometri di tubazioni che arrivavano fino alla prima linea, mentre per i rifornimenti rapidi e per le emergenze furono allestite in tutto il massiccio 80 teleferiche con dislivelli anche di 1500 metri.

Postazioni recuperate a Col Campeggia:

 


Trincee




 


In trincea




 


Gallerie




 


Galleria Osservatorio


Osservatorio in galleria

 


Ricovero in galleria


Postazione artiglieria

 


Baracche Ricovero


Resti di baraccamenti

 


Teleferica con ferito


Punto teleferica nella Valle S. Felicita

 


Cimitero di guerra

 


Postazioni e trincee guerra 1915-1918 in zona Casara Andreon quota 1058 - Campo Solagna - Monte Grappa, recuperate a cura dei volontari Associazione Fanti-Vicenza
e Alpini Sezioni Milano-Parma-Vicenza-Venezia.

 


Cartello Recupero


Casara Andreon - Sede Comando Militare
Sullo sfondo il Monte Asolone (quota 1500 - prima linea italiana

 


Obice


Targa

 


Targa


Ricovero

 


Resti di reticolato


Galleria

 


Interno Galleria


Trincea

 


Postazione mitragliatrice


Fucilieri in trincea

 


Vita in trincea


L’ultima neve nei crateri delle bombe sull’Asolone.
Sullo sfondo la cima del Monte Grappa

 


L’ultima neve nei crateri delle bombe sull’Asolone






Tra le trincee, i camminamenti, i crateri delle bombe nei luoghi dove si svolse quella battaglia sul Grappa, ora, come ogni primavera, dopo l’inverno arrivano i primi fiori, poi nei giorni del solstizio d’estate, i giorni della battaglia, un tappeto di fiori ricopre la montagna, a ricordo di chi è caduto.

 





 





 





 





 






Unici superstiti della guerra mondiale 1915-1918

A differenza di chi ha partecipato alla grande guerra ormai tutti scomparsi,
testimoni ancora vivi e vegeti sono alcuni alberi centenari che furono testimoni di quelle battaglie
e che forse hanno impresso nella memoria quei giorni terribili.

 


Antico Castagner dee skeje, menzionato per le ferite ricevute
sul Monte Tomba


Faggio centenario alle pendici del Monte Asolone - Grappa

 


L’ultra secolare Castagner del Balech a Cilladon
sopra Fener lungo in Piave






Ortigara: nel giugno 1917 quando la montagna al massimo della bellezza
Con la guerra raggiunse il massimo dell'orrore, tra assalti, ritirate, controassalti nelle aride pietraie della cima dell’ Ortigara tenute e fortificate dagli Austro-Tedeschi e nel sottostante vallone dell’ Agnellizza che separava le posizioni Italiane sul Monte Caldiera dalle linee nemiche, ridotto ad infernale bolgia dantesca,a calvario disumano per i combattenti. Nella notte tra il 9 e il 10 giugno, mentre infuriava un temporale, tra banchi di nebbia che nascondevano gli assalitori, pioggia, fulmini,razzi illuminanti, i cannoni italiani dal Caldiera iniziarono a martellare le posizioni austriache sull’ Ortigara preparando l’assalto degli Alpini e dei Bersaglieri che si sviluppò ad ondate il giorno successivo. Le perdite per gli Italiani furono enormi perché nella desolata Cima dell’ Ortigara a 2000 metri di quota, che gli Italiani dovevano salire allo scoperto, gli Austro Tedeschi erano bel trincerati ad avevano a difesa numerose mitragliatrici, mortai e cannoni. Pur a prezzo di enormi perdite, riuscirono a conquistare la cima ma furono subito martellate da postazioni nemiche più arretrate e sotto un contrattacco austriaco dovettero ritirarsi decimati anche dai gas asfissianti. Lungo la discesa dall’ Ortigara e nella sottostante Vallone dell’ Agnellizza, migliaia di soldati feriti chiedevano aiuto ma era impossibile soccorrerli ed i morti rimanevano insepolti per il continuo martellamento del nemico. Ci fu un nuovo tentativo italiano di conquistare l’Ortigara ma la situazione era ormai talmente confusa ed incontrollabile che il dramma assunse proporzioni bibliche. Dopo una settimana la cima era ritornata in pieno controllo austriaco fino alla fine della guerra. Tutto questo costò la vita a 28.000 soldati Italiani ed 8000 Austro-Tedeschi.
Ora visitando quei luoghi in una quieta giornata d’estate, è impossibile immaginare quel che accadde in quel terribile giugno del 1917. Ogni anno d’estate, molti per commemorare quei caduti salgono l’ Ortigara dove una colonna posta dagli Alpini sulla Cima porta incisa la semplice ma significativa frase “ Per Non Dimenticare “. Poi lo sguardo spazia su una landa desolata posta a 2000 metri dove l’inverno porta temperature polari e d’estate un sole implacabile l’arsura mancando totalmente d’ acqua, un’ enorme sassaia solcata da ruderi di trincee e ricoveri, dove le pietre biancheggianti al sole sembrano ossa umane, un enorme cimitero senza croci perché ogni pietra ha visto il sacrificio dei soldati, con ciuffi d’ erba magra, qualche raro e striminzito fiore di montagna a ricordare i caduti e nessun canto di uccelli, nessun segno di vita esclusa qualche marmotta, e allora ti chiedi come è possibile sacrificare migliaia di vite per un posto simile pur strategico forse, ma che offre solo desolazione.
Se la guerra non è la sublimazione della pazzia umana !

Il grande poeta Ungaretti in poche strofe ci dà in suo ammonimento
“Cessate di uccidere i morti/ Non gridate più, non gridate /Se li volete ancora udire/Se sperate di non perire/Hanno l’impercettibile sussurro/Non fanno più rumore/Del crescere dell’ erba/Lieta dove non passa l’uomo”
e l’altra - SOLDATI- “ Si sta come/d’autunno/sugli alberi/le foglie”,
mentre un Soldato Anonimo scriveva lapidariamente ”Negli anni più belli i giorni più brutti”:

 


La Guerra

 


Ortigara - Trincee austriache a quota 2101
onquistate dai reaprti alpini il 10 giugno 1917


Per non dimenticare

 


La landa desolata da Cima Ortigara




 


Rovine di baraccamenti austriaci


Cimitero Austoungarico a Monte Campigoletti

 


Fiori tra le pietraie




 




Trincee Italiane sul Caldiera

Sante Petrini.



Emilio Lussu: Un anno sull’Altipiano.

Oltre la retorica ufficiale, la più realistica e crudele fotografia della guerra 1915-1918 è immortalata nel libro di Emilio Lussu che fu prima sul fronte del Carso poi sull’Altipiano di Asiago e Ortigara, la cui cruda esperienza è stata trasportata dalle pagine del suo sconvolgente libro nel famoso film “ Uomini contro” di Francesco Rosi che con l’altro famoso film di Stanley Kubrick “ Orizzonti di Gloria” sul fronte francese, hanno riportato la conduzione folle degli alti Comandi di allora che con mentalità arretrata ottocentesca affrontarono con miopia e spesso con insipienza la prima guerra moderna industriale, con tragici e inutili sacrifici di migliaia di soldati.
Alcune pagine del libro ne riportano i momenti più sconvolgenti :


“Noi avevamo costruito una trincea solida, con sassi e grandi zolle. I soldati la potevano percorrere in piedi senza essere visti. Le vedette osservavano e sparavano dalle feritoie al coperto. Il generale guardò alle feritoie, ma non fu soddisfatto. Fece raccogliere un mucchio di sassi ai piedi del parapetto e vi montò sopra, il binocolo agli occhi. Così dritto, egli restava scoperto dal petto alla testa “ Signor generale” dissi io, “ gli austriaci hanno degli ottimi tiratori ed è pericoloso scoprirsi così”. Il generale non mi rispose. Dritto, continuava a guardare con il binocolo. Dalle linee nemiche partirono due colpi di fucile. Le pallottole fischiarono attorno al generale. Egli rimase impassibile. Due altri colpi seguirono i primi, e una palla sfiorò la trincea. Solo allora, composto e lento egli discese. Io lo guardavo da vicino. Egli dimostrava una indifferenza arrogante. Solo i suoi occhi giravano vertiginosamente. Sembravano le ruote di un’ automobile in corsa. La vedetta che era al servizio a qualche passo da lui, continuava a guardare alla feritoia e non si occupava del generale. Ma dei soldati e un caporale della 12° compagnia che era in linea, attratti dall’eccezionale spettacolo, si erano fermati in crocchio nella trincea, a fianco del generale e guardavano più diffidenti che ammirati. Essi certamente trovavano in quell’atteggiamento troppo intrepido del comandante di divisione, ragioni sufficienti per considerare con una certa qual apprensione, la loro stessa sorte. Il generale contemplò i suoi spettatori con soddisfazione. -Se non hai paura,- disse rivolto al caporale,- fa’ quello che ha fatto il tuo generale.-Signor sì,- rispose il caporale. E, appoggiato il fucile alla trincea, montò sul mucchio di sassi. Istintivamente, io presi il caporale per il braccio e l’obbligai a ridiscendere.- Gli austriaci ora sono avvertiti –dissi io- e non sbaglieranno certo il tiro. Il generale, con uno sguardo terribile, mi ricordò la distanza gerarchica che mi separava da lui. Io abbandonai il braccio del caporale e non dissi più una parola. – Ma non è niente- disse il caporale e risalì sul mucchio. Si era appena affacciato che fu accolto da una salva di fucileria. Gli austriaci richiamati dalla precedente apparizione, attendevano con i fucili puntati. Il caporale rimase incolume. Impassibile, le braccia appoggiate sul parapetto, il petto scoperto, continuava a guardare di fronte. – Bravo! Gridò il generale-Ora puoi scendere. Dalla trincea nemica partì un colpo isolato. Il caporale si rovesciò indietro e cadde su di noi. Io mi curvai su di lui. La palla lo aveva colpito alla sommità del petto sotto la clavicola, traversandolo da parte a parte. Il sangue gli usciva dalla bocca. Gli occhi socchiusi, il respiro affannoso ,mormorava .- non è niente signor tenente. Anche il generale si curvò. I soldati lo guardarono con odio. E’ un eroe-commentò il generale- un vero eroe. Quando egli si drizzò, i suoi occhi nuovamente si incontrarono con i miei. Fu un attimo. In quell’istante mi ricordai d’aver visto quegli stessi occhi, freddi e roteanti, al manicomio della mia città, durante una visita che ci aveva fatto fare il nostro professore di medicina legale. –E’ un eroe autentico- continuò il generale. Egli cercò il borsellino e ne trasse una lira d’argento. – Tieni, -disse,- ti berrai un bicchiere di vino alla prima occasione. Il ferito, con la testa, fece un segno di rifiuto e nascose le mani. Il generale rimase con la lira tra le dita e dopo un’ esitazione, la lasciò cadere sul caporale. Nessuno di noi la raccolse.”

Buon giorno collega ! Era un tenente di cavalleria. Io chiusi il libro e mi alzai. Ci stringemmo la mano e ci presentammo. Era del reggimento “Piemonte Reale”. Addetto al comando d’armata veniva in linea per la prima volta. Egli non aveva mai visto una trincea. Anche adesso, non veniva con un incarico di servizio, ma per suo diletto personale, per rendersi conto della linea e del nostro modo di vivere. Era accompagnato da un portaordini del comando di reggimento. Vestiva elegantemente, impeccabile, guanti bianchi, frustino, stivaloni gialli e speroni. Io gli dissi subito : fa attenzione perché con codesta tua brillante tenuta, sarai richiamo di tutti i tiratoti scelti che ci stanno di fronte. Egli scherzò sui tiratori scelti.....Passammo di fronte alla feritoia n° 14.-Questa-spiegai-è la più bella feritoia del settore, ma serve solo di notte, quando gli austriaci impiegano i razzi. Di giorno è proibito guardare. Parecchi ufficiali vi sono stati uccisi o feriti. Il nemico vi ha aggiustato il tiro con un fucile a cavalletto e vi è in permanenza un tiratore. I soldati per divertirsi, vi fanno apparire dei pezzi di legno o di carta, delle monete fissate a un bastoncino, e il tiratore infila sempre il foro della feritoia e colpisce il bersaglio. Guardammo entrambi la feritoia. Essa non era più come una volta, praticata nel muro e chiusa con un sasso. I soldati vi avevano collocato una feritoia scudata, trovata nelle rovine di Asiago. Era una pesante lastra di acciaio con un foro per l’osservazione, che si poteva aprire e chiudere con un otturatore egualmente d’acciaio. Io sollevai l’otturatore, tenendomi discosto e attesi il colpo. Ma il tiratore non sparò. La vedetta dorme, disse il tenente. Lasciai cadere l’otturatore sul foro e lo risollevai nuovamente. La luce del sole passò nel foro come un fascio luminoso di un riflettore. Un fruscio attraversò l’aria, accompagnato da un colpo di fucile. La pallottola aveva infilato il foro. Il tenente volle provare anch’egli. Sollevò l’otturatore e presentò al foro l’estremità del suo frustino. Un altro colpo risuonò e il frustino rimase troncato. Egli ne rise. Prese un pezzo di legno, vi innestò una moneta di rame e ritentò l’esperimento. – Stasera avrò qualcosa da raccontare al comando d’armata -.La moneta investita in pieno, uscì dall’estremità del legno e volò via fischiando nell’aria. Passai oltre e mostrai la feritoia successiva.... Io credevo che dietro di me anch’egli guardasse. La feritoia era grande e v’era posto per due. Sentii la sua voce un po’ distante mentre diceva: a un ufficiale del Piemonte Reale tremano le gambe meno che al suo cavallo. Un colpo di fucile seguì le sue parole. Mi voltai. Il tenente era alla feritoia n° 14 e stramazza al suolo. Mi slanciai per sostenerlo, ma egli era già morto. La palla lo aveva colpito in fronte.

-Il generale era ridiventato autoritario- Qui avanti abbiamo la più bella feritoia di tutto il settore-rispose Ottolenghi -si vede tutto il terreno antistante e tutta la linea nemica in ogni parte. Credo che non esista una migliore feritoia. E’qui .La feritoia n° 14. Feritoia n° 14 dicevo fra me. Siccome non avevo visto quel settore da più giorni, conclusi che Ottolenghi avesse abolito qualche feritoia, spostando i numeri e attribuendo il n 14 ad un’ altra feritoia. Alla prima curva della linea, Ottolenghi si fermò. Nessuna modificazione era stata portata alle feritoie della trincea. Le feritoie erano le stesse . Staccata dalle altre ,oltre la curva, più elevata delle altre e bene in rilievo, era la feritoia n° 14 con la sua lastra d’acciaio. Ottolenghi si era fermato oltre la feritoia, lasciando questa fra lui e il generale.-Ecco- disse al generale, sollevando e lasciando subito ricadere l’otturatore- il foro è piccolo e non consente l’osservazione che ad uno solo.. Io feci del rumore, sbattendo il bastone su dei sassi, per richiamare l’attenzione di Ottolenghi. Cercavo i suoi occhi per fargli cenno di desistere. Egli non mi guardò. Capì certamente ma non volle guardarmi. Il suo volto era divenuto pallido. Il cuore mi tremava. Istintivamente aprii la bocca per chiamare il generale. Ma non parlai. La mia commozione, forse, m’impedì di parlare. Non voglio diminuire in nulla quella che può essere stata in quel momento la mia responsabilità. Si stava per uccidere il generale, io ero presente, potevo impedirlo e non dissi una parola. Il generale si portò di fronte alla feritoia. Si mise allo scudo, piegò la testa fino a toccare l’acciaio, sollevò l’otturatore e avvicinò l’occhio al foro. Io chiusi gli occhi. Quanto durasse quell’ attesa non saprei dirlo. Avevo sempre gli occhi chiusi. Non sentii sparare. Il generale disse : -E’ magnifico, magnifico ! Aprii gli occhi e vidi il generale sempre alla feritoia... Ottolenghi suggeriva : Guardi bene , signor generale, a sinistra dov’è un sacchetto bianco, lo vede ? – si lo vedo, è molto chiaro. Tutto è molto chiaro. – Io ho l’impressione che il cannoncino sia là. Non si nota niente, non si vede fumo, ma il rumore viene da là. –Vede ?- Si vedo.- Guardi bene, non si muova. – E’ probabile.. è probabile.- Se lei mi permette, adesso, faccio animare la nostra linea. Faccio sparare una mitragliatrice. E’ facile che per rappresaglia il cannoncino spari. – Si tenente faccia sparare. Il generale si ritirò dalla feritoia e lasciò cadere l’otturatore. Ottolenghi diede ordine che una mitragliatrice sparasse. Poco dopo, la mitragliatrice aprì il fuoco. Il generale si riaccostò alla feritoia e sollevò ancora una volta l’otturatore... Il rumore dei colpi isolati e il tiro della mitragliatrice non svegliarono il tiratore al cavalletto. Il generale abbandonò la feritoia. Ottolenghi era contrariato. –Farò sparare qualche bomba –propose al generale- e bene che guardi ancora.- No rispose il generale-per oggi basta. Bravo tenente. Domani farò venire qui il mio capo di stato maggiore perché si renda conto esatto delle posizioni nemiche. Arrivederci- Strinse la mano a noi due e s’allontanò, seguito dai due carabinieri. Noi rimanemmo soli. Ma tu sei pazzo !- esclamai. Il mio portaordini era a pochi passi. Sembrava non guardasse né sentisse. Ottolenghi non mi rispose neppure. S’era fatto rosso in viso e girava attorno a se stesso.- Vuoi vedere che se apro ancora la feritoia, quell’imbecille di tiratore si sveglia ? Levò di tasca una moneta di dieci centesimi, ne serrò leggermente l’estremità fra il pollice e l’indice, sollevò l’otturatore e s’accostò al foro. Un fascio di luce illuminò il foro. E fu tutt’uno: il sibilo della pallottola e il colpo di fucile. La moneta strappata dal tiro, volò tra gli alberi. Ottolenghi sembrava aver perduto ogni controllo su se stesso. Furioso, pestava i piedi per terra, si mordeva le dita e bestemmiava. – E ora ci vuol mandare il capo di stato maggiore !- La notte disfacemmo la feritoia n° 14.

-Il generale si rivolse poi al colonnello : -Adesso, mettiamo in azione le corazze “ Farina”.Io guardai l’orologio: erano le otto passate. Una corvée portò in trincea diciotto corazze “ Farina”. Io le vedevo per la prima volta. Queste differivano dalla corazza del mio maggiore, la quale, a scaglie di pesce, leggera, copriva solo il torso e l’addome. Le corazze Farina erano armature spesse, in due o tre pezzi, che cingevano il collo, gli omeri e coprivano il corpo quasi fino alle ginocchia. Non dovevano pesare meno di 50 chili. Ad ogni corazza corrispondeva un elmo, anch’esso a grande spessore. Il generale era ritto di fronte alle corazze. Dopo la fuggevole soddisfazione che gli avevano dato i primi colpi di cannone, s’era ricomposto immobile. Ora parlava scientifico: -Queste sono le famose corazze Farina- ci spiegava il generale- che solo pochi conoscono. Sono specialmente celebri perché consentono, in pieno giorno, azioni di un’ audacia estrema. Peccato che siano così poche ! In tutto il corpo d’armata non ve ne sono che diciotto. E sono nostre, nostre ! Io era nella trincea a fianco del capitano Bravini. Al mio fianco, ma distante qualche metro, v’era un gruppo di soldati. Il generale parlava con tono di voce normale. Anche i soldati lo sentivano. Un soldato commentò a bassa voce- Io preferirei una borraccia di buon cognac.- A noi soli- continuava il generale- è stato concesso il privilegio di averle. Il nemico può avere fucili, mitragliatrici, cannoni : con le corazze Farina si passa dappertutto.- - Dappertutto, per modo di dire- osservò il colonnello che il quel giorno era in vena di eroismo. Il terribile generale non reagì e guardò il colonnello come se avesse posto un’ obiezione di carattere tecnico. Il colonnello per temperamento era lento e passivo, ma una volta tanto, si permetteva delle stravaganze che per altri non sarebbero state lecite. Egli aveva una statura da gigante e una grossa fortuna di famiglia, due qualità che s’imponevano.- Io ho conosciuto le corazze Farina – spiegò il colonnello- e non ne ho conservato un buon ricordo- Ma forse queste sono migliori.- Certo, certo, queste sono migliori, - riprese il generale – con queste si passa dovunque. Gli austriaci… Il generale abbassò la voce, sospettoso, e dette un’ occhiata alle trincee nemiche per accertarsi che non fosse sentito.- Gli austriaci hanno fatte delle spese enormi per capirci il segreto. Ma non ci sono riusciti. Il capitano del genio che è stato fucilato a Bologna, pare fosse venduto al nemico per queste corazze. Ma è stato fucilato a tempo. Signor colonnello, vuole avere la compiacenza di disporre che esca il reparto guastatori ? Il reparto guastatori era stato preparato dal giorno prima e attendeva d’essere impiegato. Erano volontari del reparto zappatori, comandati da un sergente anch’egli volontario. In pochi minuti furono il trincea ciascuno con un paio di pinze. Essi indossarono le corazze in nostra presenza. Lo stesso generale si avvicinò a loro ed aiutò ad allacciare qualche fibbia. – Sembrano guerrieri medioevali- osservò il generale. Noi rimanemmo silenziosi. I volontari non sorridevano. Essi facevano in fretta ed apparivano decisi. Gli altri soldati dalla trincea, li guardavano con diffidenza. Io seguivo con ansia quanto avveniva. E pensavo alla corazza del maggiore a Monte Fior. Certamente queste erano molto più solide e potevano offrire una più forte protezione. Ma che avrebbero infine concluso questi guastatori anche se avessero potuto superare i reticolati ed arrivare alle trincee ? Accanto al cannone praticammo un’ altra breccia nella trincea. Il sergente volontario salutò il generale. Questi rispose solenne, dritto sull’attenti, la mano rigidamente tesa sull’elmetto. Il sergente uscì per primo, seguirono gli altri, lenti per il carico d’acciaio, sicuri si sé ma curvi fino a terra perché l’elmetto copriva la testa, le tempie e la nuca ma non la faccia. Il generale rimase sull’attenti finché non uscì l’ultimo volontario e disse al colonnello, grave- i romani vinsero per le corazze.- Una mitragliatrice austriaca da destra, tirò d’infilata. Immediatamente un’altra, a sinistra aprì il fuoco. Io guardai i soldati in trincea. I loro volti si deformarono in una contrazione di dolore. Essi capivano di che si trattava. Gli austriaci attendevano al varco. I guastatori erano sotto il tiro incrociato di due mitragliatrici. – Avanti !- gridò il sergente ai guastatori. Uno dopo l’ altro i guastatori corazzati caddero tutti. Nessuno arrivò ai reticolati nemici.-Avan..- ripeteva la voce del sergente rimasto ferito davanti ai reticolati. Il generale taceva. I soldati del battaglione si guardarono terrorizzati. Che cosa ,ora ,sarebbe avvenuto di loro ? Il colonnello si avvicinò al generale e chiese : -Alle 9 dobbiamo attaccare egualmente ?- -Certamente – rispose il generale, come se egli avesse previsto che i fatti si sarebbero svolti così come in realtà si svolgevano- alle 9 precise. La mia divisione attacca su tutto il fronte. Il capitano Bravini mi prese per il braccio e mi disse : - Adesso tocca a noi ! Staccò la borraccia e credo che la bevette tutta...
…Il capitano Bravini aveva l’ orologio in mano e seguiva fissamente il corso inesorabile dei minuti. Senza levare gli occhi dall’orologio gridò : Pronti per l’assalto !...
…Che noi avessimo gridato o no, le mitragliatrici nemiche ci attendevano. Appena oltrepassammo una striscia di terreno roccioso ed incominciammo la discesa verso la vallata, scoperti, esse aprirono il fuoco, Le nostre grida furono coperte dalle loro raffiche. A me sembrò che contro di noi tirassero dieci mitragliatrici, talmente il terreno fu attraversato da scoppi e da sibili. I soldati colpiti cadevano pesantemente come se fossero stati precipitati dagli alberi…
…D’un tratto gli austriaci cessarono di sparare. Io vidi quelli che ci stavano di fronte con gli occhi spalancati e con un’ espressione di terrore quasi che essi e non noi fossero sotto il fuoco. Uno che era senza fucile, gridò in italiano : Basta.. Basta ! Basta- ripeterono gli altri dai parapetti.
Quegli che era senz’armi mi parve un cappellano. – Basta ! bravi soldati. Non fatevi ammazzare così !..

...Ero appena arrivato al comando del battaglione che mi si chiama al telefono. Era il direttore dell’ospedaletto. Fece un lungo giro di frasi per dirmi che Avellini aveva peggiorato, ch’era gravissimo, che non v’erano più speranze. Mi disse infine ch’era morto e che aveva lasciato una lettera per me...
… anche Ottolenghi era stato ferito e gravemente, il 10. Non sapevo neppure in quale ospedale fosse stato ricoverato. Ancora una volta rimanevo solo io. Tutti se n’ erano andati, ancora una volta. E ora dovevo cercare delle lettere, raccontare, spiegare. Non è vero che l’istinto di conservazione sia una legge assoluta della vita. Vi sono dei momenti, in cui la vita pesa più dell’attesa della morte..

..Si era tutti allegri. Non sembravamo neppure sotto il tiro dell’ rtiglieria. Infine si respirava ancora una volta. La guerra sembrava finita e dimenticata. Il trillo del telefono interruppe la conversazione. Gli ufficiali zittirono. Dal comando del reggimento, il capitano aiutante maggiore in 1° chiedeva di me. – Che c’è ? –chiesi- bisogna prepararsi perché domani il reggimento discende.- Riposo in pianura ? – chiesi io contento. – No, il riposo non è fatto per noi.- e dove andiamo ? – Sull’altipiano della Bainsizza. L’ offensiva su quel fronte è cominciata... – beviamo alla Bainsizza !. I colleghi l’imitarono. L’offensiva sulla Bainsizza ! La guerra ricominciava.”
(così si conclude il libro di Emilio Lussu –Un anno sull’Altipiano).




Giovanni Comisso, trevigiano, autore del libro
Giorni di Guerra (1915-1918) alla quale aveva partecipato, ha pubblicato sulla Gazzetta del Popolo di Torino nel 1965 questo articolo su quella guerra che riproponiamo dopo 100 anni.


“Dopo cinquanta anni, dopo mezzo secolo, ripensando alla grande guerra, ci si trova sempre sbalorditi, senza possibilità di spiegarci come mai la società europea che strade, ferrovie e telegrafo avevano reso più compatta e comunicante, avesse potuto da un’ ora all’altra precipitarsi armata tra le sue parti per sbranarsi come belve. A Sarajevo un arciduca austriaco era stato ucciso da un colpo di pistola.
Il punto d’onore dell’Austria era stato offeso e le varie nazioni come fossero famiglie siciliane si schierarono da una parte e da un’ altra uccidendosi alla cieca in una mischia senza fine.
Pareva di aver raggiunto tanta civiltà, tanta scienza, tanta sapienza, perché era stata inventata la lampadina elettrica, il motore a scoppio e il microscopio e invece tutto venne a servire per scatenare al massimo la barbarie.
Gli uomini che diedero gli ordini di fare la guerra non potevano rispondere di quella tragedia immensa che era superiore alle loro facoltà mentali.
Quella guerra era scaturita in Europa come una delle tante possibilità naturali in schiavitù della vita con le stelle. A un certo momento delle stagioni gli alberi da frutto gonfiano le gemme che si aprono e mandano fuori i fiori che attraggono miriadi di insetti per sviluppare i connubi e determinare le frutta. A un altro momento i gatti ricevono l’ordine dalle stelle di iniziare le dispute d’amore e miagolano e si graffiano tra loro fino a sanguinare affannati me stravolti per contendersi una femmina che tramandi la specie. Non vi avevano mai pensato prima, solo in quel determinato momento è partito l’ordine ed è stato ricevuto e sono stati adoperati gli artigli di cui sono muniti ed erano fino allora tenuti nascosti.
Così la società europea prima dell’ordine di fare quella guerra non vi aveva pensato. L’esercito e i cannoni servivano per lo sfoggio elegante delle riviste nei giorni solenni, i confini tra uno Stato e l’altro si valicavano senza bisogno di passaporto, i treni di lusso e i grandi espressi andavano da Parigi a Costantinopoli per il gusto dei ricchi. Vi erano le villeggiature di grande attrazione : Biarritz, Nizza, il Lido di Venezia, Ostenda, St. Moritz, la Carinzia, i grandi alberghi, la buona cucina con le specialità regionali, i luoghi di cura l’acque. Medici famosi potevano compiere il miracolo di guarire da mali tenebrosi. Si viveva nella belle epoque, con canzonette e valzer deliziosi e non si sapeva. Economicamente non vi era il paradiso per tutte le classi sociali, vi era l’emigrazione, il lavoro nelle miniere, la pellagra, la tubercolosi, la sifilide, ma si andava avanti tra compromessi e illusioni. D’ improvviso una chiavetta girò e fu la guerra.
A ripensarvi sopra è stato più esplicabile lo scatenarsi della seconda grande guerra, perché questa fu voluta e preparata da pochi uomini folli che passavano per teorici, ma nella prima gli uomini responsabili erano sproporzionatamente inadeguati alla enormità della tragedia.
Quella guerra fu voluta dalle stelle e poi avviata ed eseguita come una guerra di collaudo dell’artiglieria d’assalto. Sul fronte italiano per tutti e tre gli anni di battaglia la suprema sicurezza stava nell’artiglieria perché dalle Alpi al mare era un assedio da compiere, e fu terribile. Avevamo molti cannoni e un corpo di ufficiali abilissimi usciti da quella competenza di studi tecnici, determinata da una sana coscienza della borghesia italiana.
Ricordo di un osservatorio avanzato sull’Isonzo alcuni ufficiali di artiglieria che dirigevano il tiro micidiale sul Carso. I loro volti anneriti, aspri ed avidi negli occhi, esprimevano un accanimento a godere nel fare la guerra. L’ arma era mai aveva preso la mano agli uomini e agiva di per se stessa. E dall’altra parte, ce lo testimonia Weber nel suo libro “ Das ende einer Armee”, i soldati nemici diventavano pazzi di terrore con le bave alla bocca, insanguinati del proprio sangue e chiazzati dalla materia cerebrale dei compagni ai quali i proiettili avevano scoperchiato il cranio.
Noi non lo sapevamo, nessuno lo sapeva e per noi con i vent’anni fare la guerra era come una scampagnata.
Lo sapevano quelli che andavano all’assalto e che non tornavano. E se tornavano lo testimoniavano attraverso lo stupore di essere rimasti vivi, e non sapevano spiegarsi cosa fossero divenuti, cosa avessero fatto e perché (Giorni di guerra di Giovanni Comisso).
La terra si imbeveva del loro sangue e si disseminava delle loro ossa calcinate dai lanciafiamme. Dai dorsali del Carso qualche nemico vedeva Sistiana dove da ragazzo andava da Vienna a fare i bagni con sua madre. Io dal Grappa e sul Montello ricordavo le gite scolastiche fatte qualche anno prima, in quegli stessi luoghi. Neanche i sogni più allucinanti potevano convincerci che quella fosse la realtà.
Tutti eravamo pronti a uccidere ed essere uccisi per determinare il corso della vita che sarebbe diventata storia. Così doveva avvenire, perché altri avvenimenti si sarebbero sgranati dopo ed erano necessarie quelle morti atroci, quel sangue, ma era troppo poco per giustificarli al popolo europeo che pareva avesse solo la scienza, la sapienza e la ragione come angeli di consiglio. Eravamo non uomini, non bestie ma deboli forze influenzati dal clima delle stelle. Pedine messe in movimento nella scacchiera della terra da una volontà più forte di noi e che non potevamo raffigurare né in dio, né in un demonio. E così sarà sempre. (Giovanni Comisso)





Da Giornale di Guerra e prigionia
di Carlo Emilio Gadda, pag.146
(Guerra 1915-1918 Fronte Altipiano di Asiago).


“Essendo venuto un ordine del Comando di divisione di tagliar molto corti i capelli, il capitano lo comunicò: Musizza che ha le chiome lunghe e che si atteggia a spirito fiero ed indipendente disse: “io no me li taglio. “Il capitano, da cui i superiori esigevano assicurazione che l’ordine fosse eseguito, si sarebbe trovato nella necessità di mentire: cosa che gli ripugnava per sé stessa e per il significato di debolezza che avrebbe assunto. Perciò, da quel temperamento nevrotico che è, gridò al sig. Musizza che l’avrebbe fatto legare e tosare a forza, cosa certo un po’ sconveniente. Ora sono come cani e gatti. Se queste mie memorie saranno lette in futuro, chi leggerà sappia che la discordia nelle file del nostro esercito, nella compagine della nostra vita nazionale è novanta volte su cento il frutto di imbecillità e di frivolezze come questa e peggio. La nostra anima stupida, porca, cagna, bastarda, superficiale, asinesca tiene per dignità personale il dire: “ io faccio quello che voglio, non ho padroni .” Questo si chiama fierezza, libertà, dignità. Quando i superiori ti dicono di tosarti perché i pidocchi non ti popolino testa e corpo, tu italiano ladro, dici: “ io non mi toso ,sono un uomo libero”. Quando un generale passa in prima linea, come passò Bloise, e si lamenta con ragione delle merde sparse ovunque, tu italiano escremento, dici che il generale si occupa di merde: ( frase da me udita sulle labbra di un ufficiale ). Se il generale se ne sta a casa sua, dici che è un imboscato ,ecc. Abasso la libertà, abasso la fierezza, intese in questo senso. Non conosco nulla di più triviale che questi sentimenti da parrucchiere. Qual’ è la portata dell'incidente tra Musizza e il Capitano ? Questa : che se domani in combattimento il Capitano dicesse a Musizza di avanzare con la sua sezione in luogo esposto, Musizza direbbe :” ci vada lui a farsi ammazzare : io non ci vado per far piacere a lui “. L’egocentrismo cretino dell’italiano fa di tutto una questione personale, vede dovunque le persone, i loro sentimenti, il loro amor proprio e a questi sentimenti e a questo amor proprio sente il bisogno istintivo di contrapporre un altro amor proprio, pien di veleno e di bizze. In un salotto italiano è pericoloso dire . “ io so far delle belle fotografie” perché questa innocente vanteria genera una reazione di veleni e stizze d’ ogni maniera. Nell’esercito italiano, dove tutti si vantano d’esser geni ed eroi e danno del cretino agli altri, è pericoloso per un Comandante di compagnia o di reggimento o d’armata lodare un subalterno perché si è sicuri che tutti gli altri subalterni diranno .” che ha fatto di speciale costui per essere premiato ? Io ho fatto ben di più quando ecc. ecc. “ C.E.Gadda
Purtroppo a tutt’oggi a cent’anni di distanza constatiamo quotidianamente che questo vizio nazionale impera sovrano e la storia del disordine si ripete in questo disgraziato paese.





Kurt Erich Suckert di padre tedesco e madre toscana, conosciuto come scrittore con lo pseudonimo Curzio Malaparte partecipò alla Guerra 15-18 sul Carso come volontario semplice di fanteria e scrisse un saggio-testimonianza di rottura e trasgressivo
“Viva Caporetto - La rivolta dei Santi maledetti “
dove aggredisce luoghi comuni, corrodendo sentimenti diffusi e capovolgendo le verità ufficiali su uno dei drammi più oscuri del nostro paese.
Riportiamo alcune pagine di questo libro.


“Su tutta la linea delle Alpi e dell’ Isonzo la nostra magnifica razza si faceva ammazzare senza una bestemmia, senza mai voltarsi indietro verso le “ greche”, con un coraggio rassegnato che era più bello del solito coraggio soldatesco fatto di spavalderia e d’impeto risoluto. I nostri magnifici fanti, sangue del miglior sangue, giovinezza che si rassegnava a rinunziare alla vita senza nemmeno domandare per qual ragione era necessari morire, uscivano giorno e notte dalle buche fangose, per andare a divellere con le mani i reticolati spinosi. Nessuna specie di inscenatura eroica, di preparazione coreografica, niente, nemmeno la preparazione delle artiglierie : a un tratto ,tranquillamente, la fanteria usciva dalle trincee e s’incamminava trotterellando verso le mitragliatrici austriache, con un vocio confuso che nulla aveva di eroico. Gli uomini cadevano a gruppi, uno sull’ altro. Giunta al fino di ferro, l’ondata sostava, rifluiva, si accavallava a un tratto intorno ai passaggi, e spesso passava oltre, scompariva nelle buche, riappariva più lontano. Toc toc toc toc. Ma spesso tornava indietro: miserabili grappoli umani rimanevano impigliati fra i grovigli spinosi .Toc toc toc toc. La mitragliatrice butterava i morti e i vivi col suo vaiuolo di piombo. Poi l’assalto ricominciava – avanti ragazzi _. I fanti uscivano ancora per la ventesima volta, dalle buche fangose, avviadonsi verso i reticolati nemici con quel trotterello, magnifico di coraggio buono e di rassegnazione, che i dilettanti e i corrispondenti di guerra hanno gabellato al pubblico per “ impeto garibaldino “ e per “ slancio aggressivo” etc..
“ Il fante a un certo punto, si accorse di essere diventato un forzato della guerra, un galeotto della trincea, un condannato. Rarissime le licenze, rarissimi i turni di riposo ,quasi sempre in prossimità della linea, in paesi diroccati, sotto il continuo assillo delle cannonate o della disciplina che doveva, secondo i Comandi della II° Armata – far rimpiangere ai soldati la vita della trincea e invogliarli a tornarvi -.Concezione criminale che la legge cioè il carabiniere non puniva: perché la legge era contro gli umili. Quando il fante, rarissimo caso, scendeva a riposo in pianura, a qualche distanza dalla linea, veniva isolato nei cascinali, in prossimità dei borghi e delle cittadine venete. Pattuglie di carabinieri chiudevano gli sbocchi che conducevano agli abitati di una qualche importanza, dove i Comandi alloggiavano col seguito regolamentare di imboscati e di dilettanti, automobilisti, genio, commissariato, sussistenza, cavalleria. Per questi che nulla conoscevano della trincea, era il paese, il borgo o la cittadina, per questi le donne, il vino i letti, il quadro pacifico e ristoratore di una strada affollata, di una casa civettuola, di una chiesa, di tutto ciò che fa dimenticare la guerra e ricorda l’antica vita familiare. Ai fanti, proibito l’ingresso. I carabinieri erano inesorabili: eseguivano un ordine. Arrestavano, denunziavano. Ai fanti, il cascinale, il fienile, il fango, la paglia umida, durante il rarissimo turno di riposo. Indietro pezzenti, Non venite a turbare i Comandi e l’onorevole seguito con lo spettacolo della vostra miseria !. Miseria così poco militare, se pur tanto vera ed umana! Sua Eccellenza non vuole soldati scalcinati fra i piedi. Indietro galeotti delle trincee !. Allora il fante, solo, disperato, invelenito d’odio, si buttò contro la legge. Cioè contro la nazione. Caporetto.”

“ Viva i “ senza fucile” . Viva i fanti luridi e sudici, strappati e pidocchiosi, magnificati sui giornali e nei nostri discorsi ufficiali ma dappertutto maltrattati nei fatti, al fronte e nelle retrovie, durante i turni di linea e i quindici giorni d’amarissima licenza, viva i fanti conquistatori del Monte Santo, della Bainsizza, delle quote Carsiche, viva i fanti che, dopo tante battaglie e tanti eroismi, ebbero il coraggio di abbandonare le trincee nell’ ottobre del 1917. Magnifichiamo quei soldati : l’ Italia deve loro la gloria di undici battaglie. Magnifichiamo la sincerità e il coraggio del loro gesto disperato : gesto che non fu di vigliaccheria. Ricordiamo sempre, noi che non apparteniamo all’ Italia ufficiale e che abbiamo fatto la guerra senza intenzioni di guadagno, ricordiamo sempre che quel gesto di disperazione fu compiuto da quegli stessi soldati i quali avevano per mesi e mesi trascinato il corpo vivo e sussultante della razza da trincea a trincea, da groviglio a groviglio, mentre il riso grasso ed estraneo della patria si mescolava ai battimani commemoranti, dietro le quinte i morti e i moribondi. Viva i senza fucile ! Anche se essi non furono se non una minoranza, non dobbiamo dimenticare che la folla grande seguì istintivamente il movimento e che il grido di rivolta dei ribelli di Caporetto ruggiva anche nel cuore di quei fanti che sugli Altipiani tenevano testa a furibondi assalti nemici. E ricordiamo all’ Italia ufficiale, ai facili acclamatori, e ai facilissimi insultatori, ai tabù della nostra politica e dei nostri Comandi, che nessuno può insultare con nome di vigliacchi o traditori della patria quanti di noi prima e dopo Caporetto hanno marcito nel fango delle trincee per amore di questa Italia di sangue e carne. Ricordiamo all’ Italia ufficiale che i fanti tutti, anche i difensori del Grappa, anche quelli che non avevano “fatto Caporetto”, quando cascava giù vomitando sangue, non gridavano retoricamente “ viva il Re” , ma rantolavano l’urlo di tutte le plebi eroiche, l’urlo della disperazione contro chi li magnificava senza capirli e li insultava a cuor leggere “ vigliacchi!”. Chi raccoglieva quel grido, chi faceva sua la disperazione dei morti ? Non gli organizzatori di dimostrazioni, ma i morituri, quelli che a testa nuda, senza fucile e senza giberne, scavalcavano i grovigli stringendo il coltello e il petardo nelle mani rudi. Gli analfabeti, i conquistatori del Monte Santo, i ribelli di Caporetto. I fanti. Il ventre d’ Italia tremò di paura alla ventata rivoluzionaria. La “ santa canaglia” delle trincee dilagava verso l’ interno, sputando sui falsi simboli e scagliandosi contro il panciuto patriottismo di chi non la capiva e di chi spingeva gli altri a farsi ammazzare …… I generali declamanti alla moltitudine dei ribelli, erano insultati, sbeffeggiati, fatti scendere dalle automobili e trascinati nel gorgo. La fiumana dei fuggiaschi ( cittadini e contadini, uomini e donne imprecanti) e dei senza fucile, s’incanalava a furia sui ponti, ricacciava indietro gli accorrenti, impediva l’opera dei difensori. Grande era il tumulto. Allora, subitamente, alcuni ponti saltarono. Alcuni ponti zeppi di gente in fuga e di carriaggi, saltarono ad un tratto. Il fiume in piena travolse uomini e bestie e convogli. L’urlo della moltitudine rimasta senza scampo sulla riva sinistra, coprì l’urlo delle acque vorticose. Grande in cielo si alzava la vampa degli incendi. La folla rideva di terrore. Il riso rosso. Chi fece saltare i ponti due giorni prima che gli austriaci arrivassero al fiume ? Chi inventò la storiella degli ufficiali bulgari, travestiti da generali italiani ? Chi sentì la necessità d’impedire ad ogni costo il dilagare degli insorti al di qua del Tagliamento ? La reazione. Bisognava che la massa dei rivoltosi non dilagasse a contaminare le truppe ancora sane, a rodere i tendini della progettata difesa, a seminare il disordine e la rivolta nel cuore del Veneto illeso….etc”

( da Viva Caporetto- La rivolta dei Santi Maledetti ) di Curzio Malaparte.


Altro libro particolare sulla Guerra 1915-1918 è quello scritto da Piero Jahier, nato a Genova ma di antica famiglia Valdese che fu un interventista particolare perché considerava questa guerra necessaria per punire quei popoli tedeschi che sempre furono tracotanti e sfruttatori verso il popolo italiano povero e laborioso. Al comando sul fronte delle Dolomiti di un Battaglione di Alpini Bellunesi nati tra quelle montagne e che difendevano come da sempre quelle valli dalla rapacità austriaca, amò identificarsi con i suoi soldati e dividere con loro tutte le gioie e sofferenze che essi provavano e ne era ricambiato con l’affetto.


Dichiarazione dell’ autore :

“Altri morirà per la Storia d’Italia volentieri e forse qualcuno per risolvere in qualche modo la vita. Ma io per far compagnia a questo popolo digiuno che non sa perché va a morire, popolo che muore in guerra perché –mi vuol bene- per me- nei suoi sessanta uomini comandati siccome è il giorno che tocca morire. Altri morirà per le medaglie e per le ovazioni ma io per questo popolo illitterato che non prepara guerra perché di misera ha campato, la miseria che non fa guerre ,ma semmai rivoluzioni. Altri morirà per la sua vita ma io per questo popolo che fa i suoi figlioli perché sotto coperte non si conosce miseria, popolo che accende il suo fuoco solo a mattina, popolo che di osteria fa scuola, popolo non guidato, sublime materia. Altri morirà solo, ma io sempre accompagnato : eccomi, come davo alla ruota la mia spalla facchina. Sotto ragazzi, se non si muore si riposerà allo spedale. Ma se si dovesse morire basterà un giorno di sole e tutta l’ Italia ricomincia a cantare”.

“ E’ l’ultima consolazione è una consolazione soltanto nostra, riservata ai soldati italiani. E’ la consolazione della buona coscienza che ci si legge sul viso. Noi ci battiamo per una causa di giustizia tra gli uomini. Se la nostra forza severa non lo castiga, l’oppressore diventerà ancora più ingiusto e cattivo. Anche chi non ha nulla, ha da perdere, se l’uomo diventa più ingiusto e cattivo. Questa è la guerra che continua la nostra vita di popolo povero e buono. E’ un lavoro che continua quello della vanga : il lavoro del fucile.
Se non frutterà a noi, frutterà ai nostri figlioli. Ecco la più bella consolazione.
Chi si porta dietro questa, i piedi non gli arderanno mai e lo zaino peserà appena come un sacco di noci per casa.”

Tu non persuaderai,
che quel che è in te persuaso. Abbi le loro scarpe nel fango. Non ti sedere finché stanno in piedi. Salta primo tu e poi dimostra. Nessuno li fermerà se tu sei passato primo.

Reclute
Non erano reclute comuni.
..Niente fiori al cappello, niente allegrezze, niente canzoni. Avevo visto i giovani colare a picco sul fiume le vecchie mutande e camice tra scherzi e grida di evviva. Ma questi son padri tristi e quieti che non si aspettavano la chiamata. 32 anni: saltare non è più un piacere, cambiare non è più distrazione. Stavano silenziosi e tranquilli come una squadra operaia che aspetti il suo turno di paga. Un solo “ signore “ tra loro strano nel suo soprabito a campana. Tutti contadini in giacchetta più usati di me come corpo, quantunque della mia leva, parecchi bevuti, come sempre il montanaro nelle emozioni. Si provano le uniformi, si mettono i fregi con imbarazzo, come roba non da loro, con un senso di ridicolo penoso…..Andavano già al passo da soli, naturalmente disciplinati. E si scusavano di non sapere. Volevo dire loro qualcosa, ma anch’ io, soldato novizio, ero imbrogliato. Quantunque capissi i loro pensieri. Sono al mio stesso punto di vita e come me sono padri. Ogni età ha i suoi pensieri comuni. Questo mi potrà aiutare. Li ho accompagnati ai paglioni. Ogni tre uomini, due. Nessuna osservazione. Poi ,al silenzio, son ripassato. Camminavo in mezzo ai corpi abbandonati sul grigio. Tutto uniforme, tutto uguale, eppure ciascuno i suoi ricordi e i suoi affetti, ciascuno una sua storia di uomo. Ho sentito bisogno di dar loro un segno di cura. Ho detto : buonanotte figlioli. E tutti han risposto: buonanotte. Nessuno era addormentato.

Criticano
Perché sto tanto coi soldati. Anche dopo l’orario. Ma questi son soldati che migliorano i superiori. E’ per migliorarmi che sto con loro. Cerco di farmi a questa virile rassegnazione. A questa allegra bravura. Eppoi, l’assistenza vera comincia dopo l’orario, fuori di disciplina. Questa è assistenza d’amore. Questa sola sarà creduta. Dunque, quando l’esercizio è finito ,vado a sentire cosa pensano in camerata. Scherzo sul loro piccolo bucato. Mi interesso alla scarpa slabbrata, alla lettera che doveva arrivare. Strizzo il foruncolo nero. Presenzio anche l’iniezione, perché offrano il petto fieri, e, reggendo lo sguardo nel mio, nessuno tremi quando penetrerà l’ago, perché salutino calmi, al primo sangue versato.

Criticano
Perché assaggio ogni mattina di rancio. E non una sola volta. Sarà ostentazione. La spesa è pur sempre uguale. Ma nessun rancio è uguale, se pur è uguale la spesa. Disuguale di sale, disuguale di cottura e lo sa valutare il soldato che mangia rancio solo, che ha il fresco appetito di tutto il corpo e non appetito di stomaco, come di borghese viziato.

Parole di verità
Letta nel Kriegs- Kalendar ( Almanacco di Guerra ) di un prigioniero nemico.
La pace produce ricchezza, La ricchezza fa orgoglio, L’orgoglio produce la guerra, La guerra fa povertà, La povertà fa umiltà, L’umiltà fa pace.


Dal libro “ Guerra del 15” di Giani Stuparich triestino e volontario che ci dà a forma di diario impietoso i momenti e sentimenti della sua partecipazione al conflitto sul Carso dal 2 giugno all’ 8 agosto 1915 e l’angoscia di una guerra impari combattuta da uomini impotenti contro macchine micidiali, riportiamo qualche pagina :


“ 24 Giugno Rocca di Monfalcone. Siamo saliti quassù prima dell’ aurora, per prepararci all’ assalto. E’ la volta del nostro battaglione, il quale deve tentar la conquista delle trincee nemiche che tutta l’altra notte e tutto ieri hanno resistito ai nostri assalti. Penso, con calma, che bisognerà morire. Con calma, ma non senza commozione. In fondo, subito dopo i primi giorni, ci siamo accorti che in guerra, avanti tutto, si muore ; poi si combatte, poi si vince o si perde, e da ultimo appena c’è la speranza di poter sopravvivere, feriti o incolumi ; ne abbiamo discorso a lungo e tranquillamente, Carlo e io. E se si muore, meglio morire nell’ assalto. Ma si ha un bel parlarne spesso, un credersi preparati per sempre; no, alla morte bisogna riprepararsi ogni volta. E così, nell’ imminenza dell’ assalto, ci ripenso, e i sentimenti che provo sono nuovi, come se la morte mi stesse davanti per la prima volta. L’anima non ha parole per esprimere, si slarga e palpita in uno spazio senza limiti e senza contorni e si insegue nei suoi ondeggiamenti, nelle sue fughe, e si ascolta nelle sue estasi, ora inquieta, ora paga di sé. Ma la mente cerca, con straziante fatica alle volte, i limiti e le parole. Due sono le parole che, nel mio pensiero della morte, mi tornano più frequenti alla mente: Dio e mamma. Tutto mi rappresenta questo Dio : la mia storia, il mio destino, i miei errori e il mio compito, la mia realtà. E la mamma vuol dire il mio essere migliore, le mie aspirazioni al bene e il mio rimorso. E però esclamo : Dio, sono nelle tue mani! Mamma, perdonami ! La mia coscienza si placa nella luce di questi due concetti; ma l’anima continua a trepidare, muta e sgomenta. Prima dell’ assalto vedrò Carlo e gli darò un bacio.
Ore 8. Fino adesso silenzio da parte del nemico ; la nostra artiglieria non si stanca di sparare; intanto abbiamo rinforzato i ricoveri. Beviamo il brodo: Si aspetta. Quasi nessuno ha voglia di parlare.
Ore 11 .Ancora riposo. E’ arrivata la carne e il formaggio; le razioni sono abbondanti e accurate. Il nemico comincia a provare le nostre posizioni con qualche granata. La nostra artiglieria risponde vigorosamente : per ogni colpo dei loro, cinque, sei dei nostri che sibilano allegramente nell’ aria. Appena tacciono i cannoni, gli uccelli cinguettano tra le fronde dei pini. Ora pioviscola, ora dardeggia il sole. Il bosco odora. Anche le cicale si sono messe a cantare.
Ore 15. Sempre ancora sotto i ricoveri. La nostra artiglieria ha ripreso a battere le trincee nemiche col furore di stamattina. Dal capitano è entrato il colonnello del nostro battaglione, forse per le disposizioni dell’ assalto. Benché vicino e con le orecchie tese, i colpi frequenti m’impediscono d’udire il loro colloquio. Il colonello Coppi e il nostro capitano si trattano da amici e si danno del tu.
Ore 16. Stanno piazzando vicino a noi, a pochi metri dalla trincea, una batteria da montagna. I pezzi, smontati, sono portati a mano dagli stessi artiglieri. Che gente ammirevole ! più di un quintale sulle spalle, e sono sereni. Batteria in linea e segno d’avanzata e aumenta il nostro coraggio, perché saremo validamente appoggiati nell’ assalto. Possiamo fidarci di questi nostri bravi compagni artiglieri : hanno l’occhio buono e sono affezionati ai loro pezzi sino alla morte. Sono stato a chiamare gli ufficiali della compagnia che vengono a prendere gli accordi e gli ordini dal capitano. Sto in ascolto fuori del suo baracchino, sono di turno e devo essere pronto ad ogni chiamata. Ordine del generale: attaccare e conquistare le posizioni nemiche ad ogni costo ; il colonello Coppi è andato dal generale per dimostrargli i pericoli e il quasi sicuro fallimento della nostra azione, se prima non sia occupata quota 121. Si aspetta quindi l’ordine decisivo. Le disposizioni sono queste :si tratta di occupare, in formazione di poligono, la collina che ci sta di fronte; la nostra compagnia ha il lato destro, il drappello zappatori e gli elementi del genio precedono, col compito di fare i varchi nel reticolato; col drappello degli zappatori si muove contemporaneamente, ed è primo all’ assalto, il plotone del tenente padovano; la via che essi devono percorrere è quella della pattuglia, lungo il ciglione sino al fondo della valle e di là fin sotto i reticolati nemici; viene poi a cento metri di distanza il plotone di Sampietro ; segue il primo plotone con il capitano; ultimo il quarto. Trattengo il fiato, il cuore mi batte. Tengo dietro ,con l’immaginazione, a tutte le fasi dell’ azione, che è d’una chiarezza geometrica. La voce lenta e precisa del capitano vibra d’un accento accorato. Egli non nasconde il suo pessimismo; dispera di riuscire; è un buon padre che pensa ai suoi soldati come a suoi figlioli. Ma nel congedare gli ufficiali, il suo tono diventa energico : -andate, attendete l’ordine; le nostre previsioni possono essere sbagliate e la sorte favorirci; in qualunque modo sono certo che ognuno farà il suo dovere-. Gli ufficiali escono a uno a uno, con la gravità dell’ ora espressa nel volto; soltanto quello del primo plotone sembra accennare con la bocca sarcastica al suo solito motto: “ tutte fesserie.”
Ore 18. Aspettiamo l’ordine. Ci muoveremo di sicuro appena il sole sarà tramontato. Le artiglierie tacciono ; si ode soltanto il rimbombo lontano dei cannoni alla nostra sinistra. Anche gli uccelli hanno smesso di cinguettare. Non c’è neppure un alito di vento e nei ricoveri nessuno si muove, nessuno parla: tutti sanno e sono impensieriti. Gli zaini, con i rotoli delle mantelline e dei teli da tenda, deposti in riga fuori dei ricoveri, rispondono malinconicamente, con il loro verde sbiadito e incrostato di polvere e di fango, ai raggi d’oro del sole, che, lunghi e scherzosi, passano tra i tronchi dei pini e sembrano carezzare questa terra tormentata. Improvvisamente arriva il cambio e l’ordine di prendere gli zaini e di scendere alle casette di via del Bosco. La nostra azione è stata rimandata. Il colonnello Coppi è riuscito a salvare il suo battaglione dall’ eccidio. I granatieri sono diventati di colpo loquaci e ilari, scendono per la collina saltellando con leggerezza. Anche i tenenti e il capitano sono allegri. Il capitano mi si avvicina, e, forse vedendomi triste, per confortarmi, mi dice che la nostra sinistra avanza e che noi si è sempre guadagnato se riusciamo a mantenere le nostre posizioni.
Tutto sfuma, la speranza e anche la preparazione alla morte.
(da Guerra del 15 di Giani Stuparich).





Trincee.



“Trincee, confidenze di un fante“ di Carlo Salsa,
un libro bello e terribile ristampato ora da Mursia, che ci riporta l'orribile vita e morte dei fanti sul Carso nella guerra 1915-1918. Riportiamo un bran“. Un capitano dalla grinta nasuta, impartisce ordini con una vocetta acida e stridula - attenzione, se qualcuno s’affaccia, sparare. Avete capito ? sparate – Si mette anche lui ad una feritoia con il fucile imbracciato. Le urla di quel ferito che tenta invano di rialzarsi, che si divincola e ricade, che è solo senza scampo, e che noi lasciamo lì perché serva di esca ai compagni che vorrebbero salvarlo, spremono il cuore. Uno ha tentato ancora di sporgersi. Un colpo solo è partito dalla nostra trincea. La figura s’è inabissata magicamente come una marionetta. – Quello c’è- strilla il capitano volgendosi appena con ghigno di giubilo. – e voi perché non sparate? avete capito o no ?-si appiatta sul fucile intento, con gli occchi ingordi di uccidere“.




I profughi e la fame, finora dimenticati, nella guerra 1915-1918.



Tra i molti libri scritti sulla Guerra 1915/18, mancava, ma non doveva mancare per onestà storica, un libro sulle sofferenze patite dalla gente veneta e friulana nei territori occupati dal nemico dopo Caporetto. Tali sofferenze furono conseguenza delle rapine e vessazioni perpetuate dagli eserciti tedesco e austroungarico nei confronti delle popolazioni occupate che furono depredate di ogni cosa necessaria al sostentamento della gente. Oltre a queste vessazioni la gente dei paesi a ridosso della riva sinistra del Piave luogo di combattimenti, furono costretti ad abbandonare le loro case e averi e cercare un precario rifugio in luoghi lontani dal fronte. Questo esodo durò più di un anno e molte furono le vittime tra uomini, donne e bambini per sofferenze, denutrizione e fame. Questa storia tragica che è stata prima nascosta dal trionfalismo della vittoria poi dimenticata per ignavia, ora a 100 anni di distanza, riappare nella sua crudezza nel libro “Piccoli Uomini, Grandi Guerre“ di Danilo Stramare di Segusino (Edz. DBS), discendente da una di quelle famiglie che furono costrette al profugato. In una bellissima cronaca /romanzo, ci riporta quelle incredibili vicissitudini con momenti storici, sociali, umani, sociali, ambientali ,vissuti da quella gente che dopo un anno di sofferenze nelle peregrinazioni, al rientro nei paesi distrutti, dopo la vittoria, ha dovuto con la loro sola speranza e tenacia, spesse volte nell’ oblio delle autorità, a ricostruire dal nulla un paese e una vita. Il merito di questo bel libro è di aver finalmente riportato queste tristi vicende al pari di tutte le altre di quella sanguinosa e distruttiva guerra.




10 Febbraio, Giorno del Ricordo.



Ricordiamo i martiri delle foibe e gli esuli Istro-veneti e Dalmati morti per la loro Italianità che ora altri poteri oscuri, interni e esterni vorrebbero cancellare.




In alto sopra le nubi, sembra una visione irreale
ed invece è il nostro Grappa dopo una nevicata.







I crocus sul Monte Grappa.



Sul Monte Grappa dove cent’ anni fa c’erano i campi di battaglia, a primavera appena la neve scompare, spuntano un’ infinità di crocus, come stelle splendenti sulla terra, quasi a ricordare i giovani che quassù hanno combattuto e fermato l’ invasore come gli antichi Spartani alle Termopili.
Viaggiatore e turista che vai veloce, fermati un momento ad ammirare questo meraviglioso spettacolo e per ricordare coloro che su questa montagna sono caduti per un’ Italia migliore e non sia stato invano.





All' inizio di Giugno il Monte Grappa profuma di narcisi.





Il vecchissimo faggio sul Monte Asolone contempla l'ennesima alba di cui ha ormai perso il conto.







Tempo de sarese.





Rievocazione storia a Castello di Godego.





Il 16° Reggimento Treviso Repubblica di S. Marco



Onore alla Bandiera di San Marco



Scarica di fucileria



Alla fine ballo settecentesco





CARNEVALE 2016.


Un mostro si aggira per il mondo, si chiama guerra.



Dietro la guerra c'è l'affarista che se la gode.



C'è sempre un don Chisciotte pronto alla pugna.



Il tempo è ladro.



Aiuto, un fisco vorace ci sta sbranando.



Alla malasorte rispondiamo con uno sberleffo.



Alla crisi mondiale, evviva il carnevale.





Sonetto di Giorgio Baffo poeta veneziano del 1700,
parole profetiche che ben si adattano anche all’ Italia di oggi.



Estinguendo se và tanti ricconi,
E cresce sempre più la povertà,
Le gran teste mancando se ne và,
E no resta de quà, se no i cogioni.

Se de quei tanti gran politiconi,
Qualche residuo ancor xe restà,
I cogioni xe in tanta quantità,
ch’i supera quei pochi che xe boni.

No se pensa ch’all’ ozio, al lusso, al ziogo,
E i libri che se studia sulla sera,
xè ‘ l mazzo de carte o quel del cuogo.

Debotto no ghe’ più zente de guera,
E, se ghe n’è, questi no hà visto ‘ l fuogo,
Come puorla durar in sta maniera?




Formaggio Morlacco del Grappa, Sangue Morlacco, Morlacchia, Morlacchi,
chi erano costoro?



Tanti conoscono e apprezzano il buon formaggio Morlacco del Grappa, fresco e saporito, ma pochi sanno perché si chiama così. Dobbiamo risalire al tempo della Serenissima Repubblica di Venezia che dominava la costa della Dalmazia e una parte de vicino entroterra chiamato Morlacchia, ora Croazia e Bosnia. Questa popolazione chiamata Morlacchi erano di antica origine illirico-romana dedita alla pastorizia, rifugiatasi in quella zona dalle invasioni slaver turche, sotto la protezione di Venezia della quale furono anche ottimi soldati. Quando a causa della terribile peste del 1600, parte della popolazione del territorio veneto fu decimata, per ripopolare le zone della pedemontana del Grappa furono trasferiti dai Balcani gruppi di Morlacchi, che da sempre pastori, portarono le loro tradizioni nella preparazione di alcuni formaggi e l’attuale Il Morlacco del Grappa discende dai loro antichi costumi.


Sangue Morlacco. E’ un liquore della Ditta Luxardo originaria della Dalmazia che dopo l’ultima guerra si è rifugiata ed è risorta a Torreglia sui Colli Euganei, ottenuto dal succo di marasche, varietà acidula delle ciliegie che si può considerare una variante del Cherry Brandy. Il nome del liquore “ Sangue Morlacco” lo ebbe per il suo colore rosso cupo nientemeno da Gabriele D’Annunzio durante l’ Impresa di Fiume.




Egidio Maschio.



Quando un Paese e un governo va a salvare migliaia di illustri sconosciuti
ma non è in grado di fermare il suicidio per difficoltà finanziarie di un imprenditore che da lavoro
a 2.000 persone, vale Zero.
Che credito può avere nel mondo?




Sul Monte Grappa a giugno, c’è tanta vita: perfino le rocce fioriscono!





Proverbi venessiani e veneti , veci ma sempre boni.

- Ea fortuna ghe va drio ai orbi.

- Omo sensa prudensa tanto val quanto éa minestra sensa sal.

- El pan fora de casa xe massa salà o desavìo.

- Dopo na causa in tribunal,chi vinse resta in camisa e chi perde resta nuo.

- Co gnente se vive, co poco se more.

- L’oro bon no sciapa màcia.

- A donàr e parlàr se perde el merito

- El baston xe un cativo maestro.

- Chi fida nel loto,no magna né cruo né coto.

- I bauchi casca sempre par tera.

- Chi dixe “ ma” in culo lo ga.

-Ogni maraveja no dura più de tre giorni.

- E bone assiòn xe come e vivande che no e val gnènte coè spussa da fumo.

- Pan, sopressa, vin e compagnia, e xé robe che fa alegria.

- A vita xè na gara, sbagliando s’impara.

- Ogni drito ga el so roverso.

- A osèo ingordo, ghe crepa el gosso.

- El savio no sa gnente,el sapiente sa poco,l’ignorante sa massa ma el mona sa tuto.

- L’ultimo goto xe queo che imbriaga.

- L’omo pien de vin el te parla anca in latin.

- Chi fida nel loto no magna né cruo né coto.

- Ea roba che se buta via coi pié, vien el giorno che eà se rancura coe man.

- Chi se crede manco mato dei altri el xe el pi mato de tuti.

- Oci mori rubacuori, oci bisi paradisi, oci celesti fa inamorar,oci bianchi fa da cagàr

- Bon vin fa bon sangue.

- Ser fa cìaro a ea montagna,magna ,bevi e va in campagna,
se fa cìaro a ea marina,magna, bevi e sta in cusina.

- Del tuo dàmene,del mio no domandàrmene.

- Val de pì un gran de pévare che un stronso de musso.

- Un omo sensa schei xe un morto che camina.

- Co l’acqua riva aea gòea anca i stronsi nua.

- Co l’oste sta sol porton vol dir che el vin no xe bon.

- A chi che no vol far fadighe,el terén ghe produxe ortighe.

- Chi xe morto? Nane porco, Chi xe vivo ? Nane figo, Chi xe in piassa? Nane fugassa.

- Mejo metèr mal un piè che eà léngua.

- Drio un gran omo de certo ghe xe na brava fémena.

- Se ti fa l’onesto, el Signor farà el resto.

- Neve marzariola dura quanto eà paxe tra suocera e niora.

- Xe come andar a Roma e no vedér el Papa

- I parenti i xe boni e bei, sensa lengua, sensa denti e co tanti schei.

- A sentàrse so do caréghe el culo se sbrega.

- Co mor i veci, èa casa se desfa.

- Ghe xe chi che pol pisàr in leto …e dir chel’ ga suà.

- Chi sémena spine, no va descàlso.

- A rasòn la porta i mussi.

- A tola e in leto no se porta rispeto.

- I signori mòr da ea fame se i puàreti no sua.

- Dopo i anta e gambe trema e le tete scampa.

- I Mona i se vede da do robe:
dal parlàr quando i dovarìa tàser e dal tàser quando i dovarìa parlar.

- A ridàr de vènere se pianze de domènega..

- L’amor no xe brodo de fasòi.

- Beati i ultimi se i primi ga creansa..

- Quando ghe manca el gran e gaìne se bèca.

- El cuor dea dona el xe come un meòn, a calchedùn e ghe da na feta, a calchedùn altro un bocon.

- El vin xe el late dei veci e a droga dei puareti.

- Co te vol ridèr dei altri comprate un specio.

- Amor de vilegiatura tanto tempo non dura.

- Ti me xe ‘ndà xò dai calcagni.

- I schéi guadagnai suando, no i se spende bevendo e magnando.

- Ti xe ea regina Taitù, col culo in su.

- A dona bea ocòre farghe da sentinéa

- Vin bon e bea dona i xe i primi che te bandona.

- Val più caséta e cuor contento che palasso pién de vento.

- Ea pasiensa xe a minestra dei bechi,eà speransa xe l’altar dei cojoni.

- Se no te piase i péi sol divàn, no sta sentarte.

- El naso dei gati, i zenoci dei omani e el culo de le femene, xé sempre fredi.

- De vivèr co eà testa nel saco, xé bon ogni macaco.

- Novo paròn, nova lege.

- De sti tempi bisogna avér i oci anca sol culo.

- Col fogo, co a fémena, col mar, ghe xe poco da schersàr.

- Al mona no ghe basta avér rajon.

- Insieme da putéi, da veci i xe fradéi.

- A tola e in leto no se porta rispeto.

- Magna e bevi che a vita xe un lampo.

- Drio i ani ghe va el judizio.

- Ea rajòn dei puareti xe piena de difeti.

- Onor de boca, no se paga e no se toca.

- A l’osteria no vago ma co ghe sò ghe stago.

- Chi che vol justar e braghe coe còtoe dee fémene, i e ga sempre rote.

- Chi camina a testa alta, presto o tardi se rabalta.

- Chi fa piasséri ga dispiasséri.

- Chi se ama se brama.

- El cuor no invécia mai

- Se lavora e se fadìga par la panza e per la figa

- Mal de testa vol magnàr, mal de pansa vol cagàr.

- Parlar co ti xe come ciuciàr un caènasso ruxine.

- No te capissi un casso.

- Vara che te cambio i conotati.

- Ti xe na cagaùra

- Chi magna candèe, caga stopini.

- Can che baia no mòrsega

- Can no magna can

- Voja de avòrar saltime dosso, avòra ti che mi no posso.

- Chi vol pescàr del bon pésse, bisogna che ‘l se bagna e braghesse.

- E xe tre e robe che no se pol far:
far tasér e fémene, far còrer i veci e tegnìr fermi i putéi

- Parché a fémena sia perféta, eà ga d’aver 4 M:
Matrona in strada, Modesta in césa, Massaia in casa e Mata in leto.

- Ma da pìcoeo ti xe cascà dal caregòn col ciucio in boca.

- Descanta bauchi, sveja macachi.

- Vàrdite da prete, contadin, da comare visìn e da acqua par confìn.

- E cése e xe fate: co e ciacoe dei siori, co e bestéme dei murari, e co i schei dei poareti.

- Sul comercio e sui afàri chi xe sensa cosciensa i fa i denari.

- Stuco e pitura fa bea figura.

- No bisogna far fogo fora de èa pignata.

- Sanità e libertà, se xe richi e no se o sa.

- E visite più bee… e xe quee più curte.

- Vivi e assa vìver.

- Gata coi guanti no ciàpa sorzi.

- Tuti i stronsi fuma.




Palio di Asolo - Arriva la squadra vincente.





Palio Asolo - Bagno rituale dopo la vittoria.





Napoleone… il grande impostore e ladrone.
Disse: Sarò un Attila per lo Stato Veneto (1.800 - 2.000) - (Libro di Gianfranco Cavallin).



A 200 anni da quelle tragiche vicissitudini, nonostante tutto, ancora una volta,
il 17 Maggio 2015 giorno dell’ Ascensione, è stato rinnovato a Venezia con grande festa, il millenario sposalizio della Città con il mare ( La Festa dea Sensa ). Sul nuovo Bucintoro le autorità della Città come da tradizione, dopo una solenne regata fino alla Bocca di porto del Lido, hanno gettato in mare un anello in segno di sposalizio, tradizione che risale a prima dell’ anno mille quando Venezia liberò dai pirati slavi le coste della Dalmazia, tradizione che si ripeté ogni anno per secoli fino alla caduta della Repubblica a opera di Napoleone. L’esercito francese con a capo questo “falso liberatore” non solo tradì la parola data violando la neutralità della Repubblica Veneta, ma dopo aver saccheggiato e depredato tutto il territorio veneto riducendolo alla miseria, con una scusa risibile dichiarò anche guerra a Venezia per poter liberamente appropriarsi completamente della città. L’odio del suddetto generale verso Venezia era tale, e non se ne capisce il motivo o era solo la giustificazione per depredarla impunemente, che dopo aver saccheggiato il possibile e l’impossibile, ordinò oltre alla distruzione di tutti i Leoni simboli di Venezia, anche l’incendio del Bucintoro simbolo della millenaria tradizione della Serenissima. Attila forse si sarebbe comportato con più riguardo e dignità. Napoleone fu veramente peggiore di Attila ,non si accontentò di essersi impadronito della Repubblica Veneta, volle annientarla, umiliarla, distruggerne il mito, fece che dopo di lui non sarebbe più esistito e non sarebbe più stato possibile rifar esistere lo Stato veneto del 1797. Poi per completare la sua infamia ha ceduto infine il Veneto all’ Austria in cambio dei Paesi Bassi. E a Parigi lo considerano un’ eroe, quando dovrebbe avere l’oblio. L’elenco di questa rapina è impressionante e per rendersene conto basta scorrere quanto riportato dalle cronache del tempo :

“Napoleone, occupata Venezia, depredò l’Arsenale, fonte di lavoro per tanti Veneti, portando via dalle vecchie sale d’armi, armi sufficienti per armare 20,000 uomini e dalle nuove sale d’armi, armi da fuoco ( fucili, archibugi, pistole, con relative munizioni) e armi bianche sufficienti per armare 30.000 uomini, dal reparto artiglieria furono depredate 5.293 bocche da fuoco delle quali 2.518 in bronzo e le altre in ferro ; altre migliaia di bocche da fuoco furono depredate dalle varie fortezze, dai castelli e dalle città dell’ intero Stato Veneto. Solo che in Laguna c’erano 750 pezzi di artiglieria tra colombine, cannoni, falconetti, petriere, obusiere, furono trafugate le bocche da fuoco dalle munitissime fortezze delle isole Ionie ( da Corfù a Cerigo, da Zante a Cefalonia ) dal Parco delle Bombarde detto Giardin de Fero trafugò l’intero deposito di munizioni per l’artiglieria, trafugò pece, sebo, fanali, cavi, sartiami, vele, telerie, ferramente, legno frassino e faggio, chiodi, remi, ancore, catene per chiudere i porti, stoppa, bale di canapa, carbone, strumenti nautici, salnitro, piombo, paranchi, il tutto sufficiente per allestire e armare 12 navi da 74 cannoni. Prima di consegnare Venezia all’ Austria, tutte le navi che erano già armate furono inviate a Tolone ( Napoleone si impossessò di 188 navi e imbarcazioni da guerra),tutte le altre navi che erano nell’ Arsenale furono affondate distruggendo la marina da guerra veneta, tutte le navi sugli scali furono danneggiate, tutte quelle ormeggiate nelle darsene, affondate, tutte le artiglierie furono smontate e mandate in Francia, tutti i sartiami di riserva dei vascelli, le gomene, le vele, portati via, il Bucintoro, simbolo della signoria veneta sui mari, fu bruciato e le ceneri mandate a Napoleone, tutti gli edifici furono devastati, i magazzini della flotta furono depredati, gli arsenalotti furono licenziati e l’immenso cantiere dato alle fiamme. Strozzando l’Arsenale, Napoleone strozzò l’industria navale veneta che era la più grande industria dell’ epoca e mise sul lastrico non solo gli arsenalotti ma anche tutto l’indotto, nell’ Arsenale abbandonato anche dagli Austriaci non si costruirono più navi né imbarcazioni creando grande disoccupazione, fece scalpellare tutti i leoni di Venezia con le statue dei dogi, tutti i preziosi scranni del maggior Consiglio furono incendiati, rubò i cavalli della Basilica di San Marco, simbolo dei veneti, fece fondere in lingotti d’oro tutto il tesoro di San Marco che trovò e raccogliere le pietre preziose,( il tesoro era composto da preziosissimi reliquari e da oggetti sacri databili dai primi anni della Repubblica -500 d.C. e dalle famose Roe d’oro doni dei Papi etc. ) rubò manoscritti e opere d’arte, saccheggiò disperdendo i loro tesori e le opere d’arte , non meno di 107 chiese di Venezia,30 monasteri, 4 oratori, 5 ospedali, ridusse alla fame i contadini sottoposti a ripetute razzie di bestiame e di generi alimentari; il settore manifatturiero entrato in crisi si trovò ancor più in difficoltà per lo scioglimento delle corporazioni e per la concorrenza, la dissoluzione dell’ apparato politico-amministrativo e giudiziario veneto creò un’ ulteriore massa di disoccupati, ridusse in povertà i Veneti, in particolare i patrizi, aumentando le tasse gravanti sulla proprietà fondiaria del 780%, rispetto a quanto si pagava ai tempi della Repubblica Veneta, Fu imposta una tassa personale che colpì sia i ricchi che i poveri, fu tassato il commercio e professioni liberali, fu introdotta una tassa del 12% del reddito a carico degli esentati dal servizio militare o dal servizio della Guardia Nazionale. Napoleone gravò i Veneti di un ulteriore esborso pari a 800.000 franchi l’anno e 1.200.000 franchi di rendite per ogni città dell’ ex Stato veneto per ricompensare i suoi fedeli collaboratori, introdusse imposte indirette sui generi di consumo come vino, carni, latticini, pesce ,farina, legna. Svuotò la Zecca dai capitali depositati mandando improvvisamente in rovina tanti cittadini; i contadini che non riuscivano a pagare finirono con il vendere gli animali, le biade, le4 masserizie ed emigrare; più di 100 navi mercantili furono distrutte dai proprietari perché non avevano i soldi né per mantenerle né per le manutenzioni e riparazioni; più di 60 palazzi furono demoliti dai proprietari perché impoveriti, non avevano i soldi per restaurarli e per pagare le tasse.; un gran numero di palazzi e case furono lasciate disabitate; il disastro economico causò una massa di disoccupati, le persone occupate nella sola Venezia passarono da 25.323 prima del 1797 a meno di 3000, i gondolieri de casada scesero in vent’ anni da 2.854 a 297, quelli de parada scesero da 1.088 a 607, il crollo delle fabbriche dei caratteristici drappi veneziani in seta misti oro e argento fecero diminuire i telai da 950 del 1780 a 250 del 1808 e gli operai scesero da 6.650 a 750, le maestranze dell’ Arsenale che erano 3.302 nel 1797 scesero a 773 nel 1824, i commercianti scesero nello stesso periodo da 10.884 a 3,628, le cererie passarono da 18 fabbriche a 5, le concerie da 26 a 8 con soli 10 operai, a Murano si passò da 30 fornaci con 478 operai a 13 con 209 operai, a Chioggia gli operai che lavoravano negli squeri passarono da 300 a 180, nelle fabbriche di merletti gli operai passarono da 3.000 a 1500; il blocco navale francese del 21 novembre 1806 ed il controblocco inglese annientarono il commercio marittimo veneto impedendo qualsiasi sbocco alle superstiti navi venete.. lo stesso accadde quando i veneti passarono sotto l’occupazione austriaca, Vienna impose la barriera doganale sul Mincio e non fece nulla per aiutare il porto veneziano ad affrontare la concorrenza del porto di Trieste. Inoltre napoleone impose a tutti i giovani tra i 20 e 25 anni un servizio militare obbligatorio di 4 anni ed impose una quota di coscritti veneti persino più alta che in Francia e dei 27.397 italiano che Napoleone mandò nella sua campagna di Russia ne tornarono poco più di 1.000. Questo era l’eroe di cui tanto i francesi si vantano !”In altri tempi sarebbe stato un volgare ladrone.


Veneti attenzione !!! a 200 anni questa storia disastrosa può ripetersi:
al posto di Napoleone c’è un nuovo mostro, uno Stato famelico ed una Casta irresponsabile che ci potrebbero portare di nuovo a quelle disastrose conseguenze!





Nelle elezioni del Veneto 2015 la Lega ha stravinto.






Verso la luce.



Nelle giornale di Maggio, gloria del Creato, ogni essere vivente, piante, fiori, erbe, animali, uomini, è attratto irresistibilmente verso la luce del sole sfolgorante che inonda copiosamente ogni cosa e attrae a sé in modo irresistibile e misterioso tutte le creature che l’inverno aveva assopito : è una gara per raggiungere per primi i raggi benefici che per un grandioso disegno universale regalano la vita.






Da antica poesia cinese T’ang.



Tenere erbe nella pianura,
tutti gli anni seccano e ricrescono.
A nulla riescono il gelo e i fuochi selvaggi.
Al soffio primaverile esse rinascono,
profumano l’antica via di fragranza,
la colorano di verde smeraldo
e accompagnano chi percorre quella strada
che porta alla meta lontana.






Giovinezza.



Mentre camminavo lentamente sul sentiero mi è venuta incontro una ragazza in corsa, leggera ed elegante come una gazzella che sorridendo mi ha salutato ed è volata oltre. Più avanti ho visto una vecchia signora inanimata su una carrozzina spinta da una badante, la testa coperta ripiegata sul petto, ed ho ricordato in quel momento i versi del poeta latino Ovidio che dicevano:

Godete i vostri anni, finché è dato, e può dirsi l’età vera;

come acqua fluente gli anni scorrono via.

L’onda che è andata oltre, non sarà richiamata un’ altra volta,

né l’ora che è passata potrà mai ritornare,

La vostra età vivetela, che con rapido piede se ne fugge,

e quella che segue non è bella altrettanto.

Quei cespugli ormai grigi, erano campi di viole, etc.






Sfumature di colori a primavera a Bocca di Serra, Possano.






La chiesetta di Castelcies ha più di 1000 primavere
ma non le dimostra perché nella sua semplicità è bella.







Carlo Menem ex presidente dell’Argentina, alla domanda perché tradì spudoratamente tutte le promesse fatte agli elettori argentini durante la campagna elettorale, candidamente rispose perché se un candidato non racconta bugie non è preso in considerazione e non viene eletto. Purtroppo questa è attualmente la “democrazia”,uno specchietto per le allodole a vantaggio dei furbi sugli ingenui elettori. Aristotile diceva che la vera democrazia non è per elezione che crea clientele e corruzione ma per sorteggio tra un gruppo di ben preparati.





Un gattino senza nome.

C’era un gattino bianco e nero, figlio di nessuno, senza nome, vagabondava tranquillo tra le case, la piazza e il nostro giardino. Non miagolava, non chiedeva nulla, mangiava poco, ma gli piaceva da buon gatto godere del sole al mattino e stare all’ombra nel pomeriggio. Ci guardava tranquillo ed indolente, come fosse lui il proprietario e noi i suoi ospiti. Una mattina lo abbiamo visto disteso sulla piazza, composto e sereno: era morto nella notte inspiegabilmente. L’ho sepolto nel nostro giardino dove amava trascorrere il tempo della sua breve vita.






Il poeta veneziano Giorgio Baffo nel 1700 era un magistrato veneziano che pur giudice severo come quelli della Serenissima , si dilettava a comporre poesie sulla Mona dimostrando un’ apertura mentale ben diversa dagli attuali bacchettoni, politicamente corretti che interpretando alla lettera leggi balorde, mandano in libertà uno spacciatore arrestato mentre vendeva droga a studenti minorenni davanti ad una scuola.

Sora a Mona del veneziano Giorgio Baffo (1700)

La Donna ga una cosa tanto bona
che tutti la vorria, tutti la brama,
co tanti vari nomi la se ciama
ma el più beo de tuti xe la Mona.
Oh, come ben sto nome in boca sona,
a solo nominarla el cuor s’infiamma,
questo fa che la Donna tanto s’ama,
e che dell’ Omo la se fa parona.
La ga rason se la tien si streta
e come na reliquia ben coverta,
perché la xe na cosa benedeta.
E quei che la vol veder descoverta
e che i voggia toccarghe la sfesetta,
bisogna che in ghe fazza la so offerta.
Come che mi me piase assae la Mona,
cussì al Procurator ghe piase el Corno,
mi sempre studio per andar in Mona
e lù el so studio xe d’aver el Corno.






Cogito ergo sum (penso dunque sono).


È la formula con cui Cartesio esprime la certezza indubitabile che l’uomo ha di se stesso in quanto soggetto pensante.
Dopo i fatti di Parigi noi Europei dobbiamo porci una domanda: Chi siamo? Quale  è la nostra cultura? Quale è la nostra identità? Quali sarebbero le nostre leggi fondamentali che sentiamo essere degne di interesse comune e superiore? A parte la matrice  culturale greco-romana e quelle religiosa ebraico-cristiana la nostra carta d’identità sono  le conquiste libertarie dell’illuminismo europeo: parità di diritti tra gli esseri umani, libertà di pensiero, libertà di azione, libertà di associazione, libertà di religione tutti traguardi raggiunti dopo anni di lotta e che   altri popoli non hanno o parzialmente ancora raggiunto. E’ questo solo che fa la differenza non le varie religioni. Purtroppo anche questi alti principi sono stati banalizzati dalla massificazione e standardizzazione delle idee e dal consumismo che ne h svuotato l’essenza lasciando l’involucro. Urge pertanto ripristinare la vera essenza di quei valori che non possiamo barattare con altri che è sono solo illusioni.




Non c’è bisogno di una religione che ti dica
cosa sia giusto o sbagliato da fare.
Se non sai distinguere il bene dal male, non è
la religione  che ti manca ma la coscienza.




Paesaggio Asolano con neve di Mary Vardanega, Possagno.





Paesaggio Asolano di Mary Vardanega, Possagno.





Paesaggio Asolano di Giampietro Martini, San Zenone degli Ezzelini.





Paesaggio Asolano di Giampietro Martini, San Zenone degli Ezzelini.




Stamane l'Aurora era vestita di rosa.


Opera di Giampietro Martini




L'Amore viene volando e se ne va volando.


Opera di Giampietro Martini




Le prime primule del 2015, le dedico a .....





Marija Skapskaja (S. Pietroburgo 1891 - Mosca 1952)
Così anche noi ci separiamo.

Solleva il capo e osserva il cielo :
l’un l’altra si inseguono le nubi,
si sfiorano appena e già son divise,
perdute l’un per l’altra.
Così anche noi ci separiamo,
anche noi ci perdiamo, in questo mondo.
Abbassa il capo e guarda il mare:
l’ un l’altra si rincorrono le onde.
Si scontrano appena e già son divise,
perdute, l’una per l’altra.
Così anche noi ci separiamo,
anche noi ci perdiamo, in questo mondo.





Pensiero per il 2015 e oltre.

Vivi senza tante spiegazioni
perché i tuoi amici non ne hanno bisogno,
i tuoi nemici non ci crederanno
e gli stupidi non capiranno.











A Cittadella Manifestazione Veneta con la partecipazione dei Sindaci.





Ci hanno tolto anche le mutande.







Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio.
(ma quanto dobbiamo dare a Cesare?).


Ha risposto la Cei per bocca del cardinale Angelo Bagnasco il quale nell’omelia di fine anno ha fatto anche una chiara e logica lezione di economia dicendo: Non basta inasprire il regime fiscale senza produrre nuova ricchezza e ridistribuirla equamente. Non basta incassare se non si investe fortemente per innovare e cercare nuove eccellenze, per inventare con l’aiuto dei giovani che hanno preparazione e creatività. Non si può pensare ad una società di servizi e rinunciare al patrimonio produttivo. Vogliamo diventare un paese che tutto importa e nulla produce, mettendosi alla mercé di imperi e monopoli internazionali? Se non si produce non ci si può servire di servizi, poiché questi naturalmente costano. Vogliamo diventare un paese di assistenza agli anziani, di turismo per le nostre inestimabili bellezze passate?
Anche il Governatore della BCE Draghi ha detto chiaramente che l’Europa per far ripartire l’economia deve ridurre le tasse che sono ora dal 45 al 55 per cento (in Italia 65%) mentre negli Stati Uniti in piena ripresa economica sono del 35% ed il Giappone 33%.
Renzi ha detto che per il 2015 vuole ritmo: a buon intenditor poche parole.





L'albero storto.

L’Italia è come questo albero cresciuto malamente orizzontale, chi lo raddrizzerà ora?
Si può, basta tagliare la parte orizzontale e lasciar crescere i polloni verticali.





Protesta.








Piscis primum a capite foetet - Il pesce comincia a puzzare dalla testa.


In questo paese ormai al collasso, dove gli intrallazzi e le ruberie sono all’ordine del giorno e l’ attività criminale spesso e volentieri collegata alla politica sembra l’unica attività facile e redditizia, vige per la casta che ci “ amministra” un’ unica parola d’ordine : arraffare a più non posso. Questa classe di politicanti e pseudo amministratori che si è ritagliata le prebende, i vitalizi e le pensioni d’oro le più alte del globo terrestre e di tutti i tempi alla faccia di chi non ha di che vivere, sia per incapacità, ingordigia o nefandezza, non si occupa minimamente delle necessità della gente comune anzi infierisce sempre con nuovi balzelli e con una burocrazia asfissiante: cose da alto medioevo se non peggio. Non ci sono soldi per il popolo italiano che nella sua storia ha portato avanti questo paese con il lavoro, le tasse e anche col sacrificio della vita ; pure con l’enormità delle tasse pagate, non si trovano i fondi necessari per le scuole, la sicurezza, la viabilità, la sanità, i terremotati, gli alluvionati, i pensionati con pensioni da fame, le aziende in crisi costrette a chiudere e licenziare, ma si trovano sempre, anzi i denari corrono allegramente per quel sottobosco e quelle cricche che sguazzano in attività discutibili e poco chiare. Lo scandalo di Roma, ultimo di una lunga serie, è emblematico : in una città che come una idrovora risucchia continuamente i nostri soldi guadagnati con il lavoro e la fatica senza risolvere alcun vero problema, sono venuti alla luce gli intrallazzi della classe politica con scambio di voti per favori illeciti che permettevano ad organizzazioni e onlus pseudo umanitarie di lucrare spudoratamente sull’assistenza agli zingari e agli stranieri sulla pelle dei contribuenti italiani. Ecco come si sperperano i soldi dei tartassati contribuenti e se qualcuno si permette di alzare la voce e tacciato da sovversivo. Questa è la punta dell’iceberg ma chissà cosa c’è ancora sotto : il detto “ il più pulito ha la rogna “ di adatta perfettamente a questa casta pronta anche succhiarci il sangue pur di perpetuare i loro privilegi e relativa dolce vita. Un importante personaggio inglese ha detto recentemente che quando gli italiani scopriranno come sono stati ingannati e defraudati in questi anni, scoppierà qualcosa di grosso: giorno dopo giorno ora lo stanno riscoprendo.




Dopo giorni di maltempo rispunta tra le nubi, immutabile e solenne la familiare cima del
Monte Grappa; sembra un’isola che appare improvvisa al navigante desideroso
di un approdo sicuro nel mare agitato.





L’inverno di un poeta antico.



Vedi come sta di neve candido
alto il Soratte (Grappa) e la foresta curva
non tiene il peso e per l’acuta
crosta del gelo è fermo il fiume.
Se vuoi sciogliere il freddo metti
grossi ceppi sul fuoco e versa
dalla coppa Sabina, o Taliarco,
quadrienne vino  e lascia
il resto ai numi. Quando
sarà quieta la zuffa dei venti
col fervore acre del mare
né i cipressi allora né i vecchi
frassini più si muoveranno.
Del tuo domani incerto
non chiedere, accetta per guadagno
i giorni dalla sorte e i dolci
amori e le danze
e il campo e la palestra
non disprezzare
finché la tarda canizie è lontana.
Intanto si ripetano
i lievi sussurri dei convegni
a sera e il riso e l’inganno
di fanciulla che si svela da un angolo
e il bracciale strappato dal polso
o l’anello dal dito che tenta
di resistere appena.
Orazio- Carmi I -9





A Leuconoe.


Tu non chiedere (tanto non è dato
sapere) quale a me, quale altra a te
sorte gli dei concedano, Leuconoe;
e i giri delle stelle non tentare.
Meglio sporgersi al buio del domani
quale che sia, anche se molti inverni
ci assegna Giove o sia l’ultimo questo
che su le opposte rocce stanca il mare
Tirreno : appronta vini, saggia, e accorcia,
poi che lo spazio è breve, il desiderio
lungo. Parliamo, e il tempo invido vola :
godi il presente, e il resto appena credilo.
(carpe diem, quam minimum credula postero).
Orazio- Carmi  I-11






L’eterno fascino.


“Mi brucia il candore di Glicera
fulgido più di marmo Pario,
mi brucia il suo impeto caro,
il volto che a guardarlo incanta.”
( Orazio Carmi I-19 )
...non saprei cosa dire...
...ogni parola è superflua.





Quest'anno Natale coi Kaki.




Un paese della campagna veneta parecchi anni fa, quando l’inverno durava a lungo, le case poche e fredde erano appena riscaldate dalla cucina o da una piccola stufa e nella stalla si approfittava del calore di qualche animale. Per le strade ghiacciate ancora non asfaltate senza macchine, si vedeva la gente a piedi, in bici o con il carretto, cavallo o asino, e per il viaggiatore infreddolito, l’unico segno che lo rincuorava era scorgere tra la nebbia la sagoma del campanile, segno che era finalmente arrivato a casa o vicino al paese dove in qualche osteria, si poteva riscaldare e ristorare magari con un buon vino caldo, per poi affrontare nuovamente il gelo della strada. Altri tempie altri Natali!
Natale 1945-1950. Prima del consumismo e del Natale commercializzato, i quegli anni e par tanti anni prima, per secoli, il povero Bambino nasceva al freddo e al gelo come recitava la canzone di allora: non servivano parole e cose superflue e false ma bastava un cappotto, un piatto di minestra con un po’ di carne e un pezzo di legno sul fuoco per tutti i poveri Cristi nati e nella vita rimasti nudi.






L'acqua.

L’acqua che scende con impeto lungo il fiume è trascinata da una forza possente e misteriosa che la porta a ricongiungersi al mare dove la stessa forza muove le correnti degli oceani che  causano il corso dei venti che a loro volta modificano le stagioni in un ciclo perenne che crea e consuma la vita sulla terra. E’ la forza immane dell’Universo. Anche noi siamo acqua che sgorga dalla terra e come un fiume scivoliamo verso un destino misterioso.







Al marcà.

Nee piasse dee nostre sità
Sia d’inverno che d’istà,
piova, nebia, vento, soe,
no manca mai el marcà.

Luni a Fonte e Sitadéa
Marti e Venere a Castéo,
Mercore a Montebeuna,
Zoba e Sabo a Bassan,
Domenega a Grespàn.

Se vende un poco de tuto
drio a stajon,
dal scampoeo al vestito
dal formajo al meon.

Anca se adesso
i supermercai ghe fa concorensa,
xe el contato umano
che fa a diferensa.

Par sécoi xe sta cussì
parchè a zente, ancò come ieri,
se ritrova a comprar calcossa
ma anca a far quatro ciacoe voentieri.






A Castelcies nea festa de San Martin no manca el vin.







Il giorno dei morti.

Il giorno dei morti era un tempo il giorno della paura per noi ragazzi: in chiesa paramenti, preghiere e canti richiamavano gli inferi, poi la sera, i rintocchi lugubri e continui della campana a morto ci seguivano con angoscia fin sotto le coperte nelle gelide stanze da letto. Ora il giorno dei morti è una festa, fiori a profusione al cimitero dove si incontrano parenti e amici, si conversa, si ricorda, si chiacchiera e poi a casa, in compagnia si mangiano dolci e castagne arroste, accompagnate da buon vino. Forse e meglio così e piacerà anche ai nostri defunti essere ricordati in allegria.




Umanizzazione animale.

Il gatto che tanto amorevolmente il vicinato accudisce quasi come un figlioletto, oggi ha preso tra le unghie delle sue zampine un uccellino caduto dal nido e assiste indifferente all’agonia dell’animaletto straziato dai suoi dentini. Ora che l’uomo ha elevato le bestie praticamente al suo livello o si è quasi abbassato al loro, dimentica che le leggi della natura codificate in millenni rimangono pressoché immutabili. La legge del più forte tra le bestie e sovente tra gli uomini non prevede la pietas.





Lungo il sentiero del Muson, un miracolo della natura:
su un vecchio tronco ormai corroso dal tempo ancora un segno di vita, un ciuffo di ottimi piopparelli.
Mai perdere la speranza.





Quanta acqua e quanti autunni ha visto passare questo vecchio ponte sul Muson ma mentre noi  ammiriamo questa tavolozza  di colori che sempre ci  affascina, il Tempo implacabile ci ruba un’ altra stagione.





Puzzle di colori.





La casa nel bosco sulle colline asolane.





La fiammata prima del grigio inverno.





Sinfonia di colori autunnali.





Gioco di colori in autunno lungo il Muson.






Giornata di inizio novembre.

E’ una luminosa giornata di inizio novembre ma il sole, pur spendente, dà solo tepore al corpo. L’ aria è immobile non più percorsa dai venti incontrollati della stagione estiva, da tempo non si vedono lampi accecanti né si ode il sordo brontolio del tuono. La terra dopo l’immane fatica creativa della primavera e dell’estate, esausta, finalmente si riposa, ha già donato tutti i suoi frutti. Da una vigna quasi spoglia, si staccano silenziosamente alcune foglie tra l’indifferenza delle altre ormai assopite. Nel cielo, alti, alcuni uccelli volano lontano. Quello che fino a ieri era prorompente vigore della natura ora è spento. Tutto è quiete in attesa silenziosa di qualcosa: tra poco arriverà l’ostico inverno. Ma sul campo arato e seminato, i tenui fili d’erba appena spuntati ci dicono che più in là, con pazienza, tutto ritornerà a nuova vita.





Nùvoe.

In cieo e nùvoe
e xe parone,
e va dapartuto
e fa e sparonsone.

E xe bianche, scure, zae e rosse
tute dea stessa fameja,
ma e xe difarente una dall’ altra
e nessuna se someja.

Ghe ne de grosse
piene de rissi,
altre xe longhe
cofà i bissi.

Ma e sparisse tute
co vien sera,
ch’el sia un segnae.
par chi sta in tera!




Notizie del giorno.

E’ apparsa su un giornale la sconcertante dichiarazione del Giudice Francesco Florit a proposito della delinquenza in Italia : Questi “ signori” sono convinti che qui da noi, se mai ti beccano, fai un patteggiamento e ti rimettono in libertà. Sanno che la giustizia non è efficiente ( …) e il sistema è tale che, dopo poco si è rimessi in libertà e si può ricominciare come prima. Rispetto a tali condotte (...) è necessario adottare la giusta severità.”
Contemporaneamente si annuncia su altro giornale che in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale migliaia di scolari di recheranno a Cima Grappa per ricordare e commemorare giustamente chi è morto per l’Unità d’Italia. Ma come è possibile ricordare ed esaltare un amor di Patria quando il nostro paese è oggi ridotto ad un’ Italia commiserata e derisa. Di chi la responsabilità imperdonabile d’aver portato in queste condizioni la Nazione. Di sicuro dei Super garantisti che rappresentano e difendono consciamente o inconsciamente anche gruppi criminali. Non mancano i buonisti cattocomunisti che intrisi dell’utopia ideologica di essere buoni a tutti i costi anche con chi di mestiere fa il delinquente, ci consegnano nelle loro mani non curandosi delle conseguenze sempre pagate poi dal popolo italiano. Aggiungiamo il menefreghismo altolocato ci chi da posti di potere e persegue solo i propri interessi , facendo finta di non vedere quello che tutti gli altri vedono. Per finire una miriade di leggi a volte assurde, supportate da una burocrazia che non ha eguali nel mondo. E’ allora inutile commemorare il passato senza aprire bene gli occhi sul presente: è un doppio imbroglio sia per chi ricorda , sia per i ricordati che in questo caso sono morti invano.





Corruzione in Cina.

Il Governo cinese ha intrapreso una dura lotta contro la corruzione nell’amministrazione pubblica di quel paese che oltre alle dure pene prevede la confisca dei beni dell’amministratore corrotto e della sua famiglia. Alcuni di questi funzionari inquisiti si sono suicidati evitando così la confisca dei beni della famiglia come finora era in uso in Cina dove la morte cancellava tutto. Ora è stato deciso che chi ricorre al suicidio verrà perseguito anche nella tomba e la confisca rimarrà valida anche nei confronti della famiglia. Davanti al Politburo il Presidente della Cina Xi Jnping avrebbe detto “nessun compromesso con i corrotti a costo della vita; preparate cento bare e lasciatene una per me, sono pronto a morire in questa battaglia per il futuro”. La Cina si dimostra anche in questo, maestra di realismo e decisione che l’ha portata in pochi anni ad essere una grande Nazione e dalla quale c’è da imparare, ma quando sentiremo discorsi di questo tenore in Italia dai nostri alti politici. Mai, per questo rimaniamo un paese da operetta.




Distruzione.

Per avidità di guadagno di qualcuno, hanno importato dalla Cina (sempre questa Cina) legname di castagno infetto da un’insetto che colpisce il fiore della pianta e ne inibisce la formazione del frutto. Naturalmente in questa Italia inesistente nessuno è intervenuto a bloccare l’importazione. Questo insetto chiamato vespa cinese, ha ormai contagiato tutti i belli e antichi castagni italiani che da qualche anno non producono più o in quantità ridottissime il simpatico e saporoso frutto autunnale gioia dei bambini e anche degli adulti che per secoli è stato il pane di tanta povera gente. Ora si può camminare sotto gli imponenti alberi senza calpestare un solo riccio, quando fino a qualche anno fa si calpestava un grande tappeto del quale è rimasto solo un ricordo e si è presi da una grande tristezza e da una forte rabbia.






I Veneti sono ospitali o egoisti?

Alcuni pennivendoli si ostinano a scrivere o dire che il popolo Veneto è egoista perché non è aperto verso chi proviene da altri regioni o paesi. Non è esattamente così perché i Veneti essendo di indole pacifica, sono stati sempre ospitali e tolleranti ma non accettano che la loro terra venga occupata da gente che non rispetta il loro modo di vivere, di pensare, le loro tradizioni e approfittando della buona disponibilità truffano la gente o peggio come ultimamente succede, portano disordine, criminalità, discordia. L’ ospitalità dei Veneti è testimoniata nei secoli passati, quando tanta gente perseguitata nelle altre regioni italiane per motivi politici e religiosi, trovava rifugio nella Repubblica Veneta che difendeva gelosamente la sua autonomia.
Esempi notissimi sono quello di Renzo nei Promessi Sposi che, perseguitato nel Milanese, attraversa l’Adda per trovare rifugio nel dominio di San Marco e quello di Michelangelo Buonarroti che nel 1500, in fuga da Firenze, si rifugiò a Venezia.
Se vogliamo andare più indietro al tempo dell’Impero Romano, il poeta Marziale che era un Latino/ Iberico e viveva a Roma, in un suo epigramma esprime il desiderio di trascorrere la sua vecchiaia tranquillo in questa terra della quale aveva evidentemente constatato l’ospitalità.
Aemula Baianis Altini litora villis /et Phaethontei conscia silva rogi,/ quaeque Antenoreo Dryadum pulcherrima Fauno / nupsit at Euganeos Sola puella lacus, / et tu Ledaeo felix Aquileia Timavo,/ hic ubi septenas Cyllarus hausit aquas:/ vos eritis nostrae requies portusque senectae, / si iuris fuerint otia nostra sui.
Il diritto al riposo : Rive d’Altino, che rivaleggiate / con le ville di Baia, selva dove / fu il rogo di Fetonte e tu fanciulla / Solana, la più bella delle Driadi, / maritata col fauno padovano / lungo le rive del tuo lago euganeo, / e tu Aquileia, lieta del Timavo / sacro ai figli di Leda, i due Dioscuri,/ alle cui sette bocche bevve il loro / cavallo, voi sarete il mio rifugio,/ il porto della mia vecchiaia ,posto / che mi si accordi il diritto al riposo.





Veneto culturale.

Alla faccia degli intellettualoidi che sputano balordaggini sui Veneti interessati secondo loro solo al mangiare al bere e alla mona (attività che rallegrano la vita), nel Veneto è molto viva come da sempre la sensibilità artistica che si manifesta in molte manifestazioni culturali e storiche. Solo nel mese di Settembre, tante sono le rievocazioni storiche tra le quali le più famose sono la Regata Storica a Venezia e la Partita a Scacchi di Marostica in costumi d’epoca. A queste manifestazioni si affiancano mostre artistiche e culturali minori tra le quali quella recente a Costalunga e Bocca di Serra nel Comune di Cavaso del Tomba che pur essendo piccolissimi paesini di collina, hanno saputo dar vita ad un evento annuale “Arte e Natura” per pittori, scultori, poeti che richiama tante persone appassionate di opere artistiche.






Artisti veneti. Piergiorgio Rebesco, San Zenone:


Studiando si impara.


Il sole è tutto mio.


Ho l'elettricità in corpo.



Imperscrutabilità.

Il sole tramonta splendente dietro il campanile di Loria. Il tempo ha aggiunto un’ altro giorno alla storia di un paese come tanti altri, dove la gente per secoli ha chinato la schiena verso la terra e alzato gli occhi al cielo, fatica e speranza, accompagnata dal sorgere e tramontare del sole. Di tutto questo tempo passato, delle vite vissute e scomparse, nulla è rimasto. Solo l’astro immutabile continua, stagione dopo stagione, il suo regolare corso indifferente, come se una generazione di uomini fosse una briciola nella grandiosa storia dell’universo.






Un grosso masso di duro granito nel mezzo del torrente, da secoli forse da millenni sfida la corsa dell’acqua che scende impetuosa dalla montagna. E’ una lotta continua e senza interruzioni, apparentemente senza esito come quella tra il bene e il male, ma sappiamo che la vittoria finale sarà della morbida sfuggente acqua che allegramente giorno dopo giorno con l’aiuto del tempo, lima e consuma quello che sembra perenne.






L’acqua scorre veloce, quasi precipita nel torrente tra i massi,
pare il tempo che ci fugge inarrestabile.






La tela dell’acqua che cade si fa e si rompe in continuazione come i momenti della vita.





Spremuti dalle tasse.

L'Italia ha finalmente un record mondiale.
La più alta pressione fiscale al mondo!



Fantasie della Natura.





Quando la natura è generosa.





Cavalli moderni: mi raccomando solo ferri firmati!





Attenti uomini:

prima del matrimonio e....



...dopo il matrimonio





"Per una valle verde vorrei andare e sotto un albero riposare,
vedere il sole tra le foglie filtrare e tutto il mondo dimenticare"
massima buddista.





L'ho conosciuto: era un duro.
Dopo aver letto questo libro ho capito perché.








Giardino naturale.






Fiore selvaggio tra i sassi del Piave: un ricordo per i Caduti.





Centenario Guerra 1915-18.

I cannoni sono pronti, si avvicina la tempesta.






Non soffro di vertigini!






Venezia: Festa della Sensa (Ascensione)

Da mille anni Venezia celebra la Festa della Sensa (Ascensione)
ed il rito del suo Sposalizio con il mare.





Quando la natura dipinge supera i più bravi pittori.






Il tempio di Possagno adornato da nuvole di ciliegi in fiore.






La collina dei desideri.






In primavera nelle nostre colline sbocciano milioni di fiori per il felice connubio tra la Terra e il Sole che ci regalano questa misteriosa ed inimitabile bellezza che sempre ci stupisce e affascina.






In Aprile sul Grappa come da millenni dopo un lungo inverno un’esplosione di vita.








7 Aprile 1944 Venerdì Santo della passione di Cristo e di Treviso.
Una cartolina ricordo dalle forze aeree americane per ricordare il bombardamento con 1000 morti di cui 123 bambini e 80 per cento di distruzione del centro storico.






Carnevàe
Carnevàe xe na bea invensiòn
parché te permete de fare
queo che nea vita
te vol desiderare.
Coea scusa dea mascara
te pol far na volta a fémena,
el poitico, el prete o el papa,
méterse a goba, caminar soto,
far el buffon in publico
mandar sbarleffi e farla franca.
Tuti dovaria na volta
provàr sta ebressa,
parché come dixe el deto,
val pì na sodisfassion
che aver in scarséa un milion.
Carnevàe se nol ghe fusse
bisognarìa inventarlo.




Come il velocista Renzi, Willy Coyote
con il suo potente missile insegue Road Runner,
ma non lo prende mai (il debito pubblico).





A scuola dai baucoti.





Carnevae col Papa.







Colli Euganei.

Dalla piatta pianura veneta si ergono inaspettati e misteriosi i coni dei Colli Euganei
che ora amene colline, un tempo remoto furono originate da violente eruzioni vulcaniche,
come dire tutto è bene quel che finisce bene.





Il 10 Febbraio è il giorno del Ricordo della tragedia degli Italiani Istro-Dalmati e delle Foibe. Per raccontare e far rivivere quei fatti dolorosi il cantante/autore Simone Cristicci ha messo in scena un’ opera “ Magazzino 18” partendo appunto da quel luogo del Porto vecchio di Trieste dove sono depositati da più di 50 anni oggetti personali e affettivi dei profughi nell’attesa di un ritorno alle loro case che non è più avvenuto. Quest opera che vuole solo ricordare la verità di quell’esodo drammatico e di quelle morti atroci per tanti anni dimenticato dalla politica italiana per disinteresse o connivenza riconosciuta perfino dall’ex comunista Napolitano, viene ancora schifosamente contestata dai rigurgiti dei soliti zombi veterocomunisti che continuano ad apparire solo in Italia e da fantomatici partigiani (quelli veri sono tutti estinti) che della Storia conoscono solo false e idiote versioni e “non ricordano” le purghe, i gulag e gli eccidi dei comunisti che fecero milioni di morti.






18 Febbraio 2014 60.000 Artigiani e commercianti (oltre 5.000 dal Veneto) alla grande manifestazione di Roma per non morire di tasse e banche. Dopo anni di crisi, inascoltati da una politica impazzita e suicida che ha prodotto migliaia di fallimenti, chiusure e purtroppo tanti suicidi, il ceto produttivo degli artigiani e commercianti ha voluto dare un ultimatum al nuovo “ forse” governo Renzi. Lo vorrà capire la classe politica e la casta burocratica che non serve andare a piatire per il mondo finanziamenti e aiuti all’Italia quando qui si sono le idee e le capacità per risollevare il nostro malandato (per colpa loro) paese e portarlo ad una esistenza decente pari a quella dei migliori paesi europei.






Tanti soldi e poltrone d'oro





L’indimenticabile poeta e cantautore Giorgio Gaber
con la collaborazione di Sandro Luporini,
aveva visto giusto anni fa all’inizio del 2000
con la canzone “La Razza in Estinzione“




La razza in Estinzione

Non mi piace la finta allegria
non sopporto neanche le cene in compagnia
e coi giovani sono intransigente
di certe mode, canzoni e trasgressioni
non me ne frega niente.
E sono anche un po' annoiato
da chi ci fa la morale
ed esalta come sacra la vita coniugale
e poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
ma io non riesco a tollerare
le loro esibizioni.

Non mi piace chi è troppo solidale
e fa il professionista del sociale
ma chi specula su chi è malato
su disabili, tossici e anziani
è un vero criminale.
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
fra tutti gli assuefatti della nuova razza
e chi si inventa un bel partito
per il nostro bene
sembra proprio destinato
a diventare un buffone.

Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.

La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata
sicura di ridare un senso alla propria vita
ma ormai son tutte cose del secolo scorso
la mia generazione ha perso.

Non mi piace la troppa informazione
odio anche i giornali e la televisione
la cultura per le masse è un'idiozia
la fila coi panini davanti ai musei
mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano
c'è di buono che la scuola
si aggiorna con urgenza
e con tutti i nuovi quiz
ci garantisce l'ignoranza.

Non mi piace nessuna ideologia
non faccio neanche il tifo per la democrazia
di gente che ha da dire ce n'è tanta
la qualità non è richiesta
è il numero che conta.
E anche il mio paese mi piace sempre meno
non credo più all'ingegno del popolo italiano
dove ogni intellettuale fa opinione
ma se lo guardi bene
è il solito coglione.

Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.

La mia generazione ha visto
migliaia di ragazzi pronti a tutto
che stavano cercando
magari con un po' di presunzione
di cambiare il mondo
possiamo raccontarlo ai figli
senza alcun rimorso
ma la mia generazione ha perso.

Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio
una specie di massa
senza più un individuo
e vedo il nostro stato
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente
e vedo anche una Chiesa
che incalza più che mai
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.

Ma questa è un'astrazione
è un'idea di chi appartiene
a una razza
in estinzione





Detti e fatti de na volta (e anca de adesso):
Quando a neve vien zo dal monte,
chi no ga fredo ai pie xe el conte.





D’inverno gli alberi lungo il fiume attendono pazienti la primavera mentre l’acqua continua la sua corsa come pure scorre il tempo. Dove sarà tra un anno la goccia d’acqua d’ora?
Di sicuro dispersa nel grande mare come questo momento frazione di vita nell’immenso universo.
Restano le piante, la terra, le montagne ed un flebile ricordo.





Il grande Occhio.

Una sera, per un gioco di luce e nuvole, al tramonto è apparso ad occidente un grande occhio che sembrava osservarci. Forse era l’occhio del Creatore o della Provvidenza o del Destino o del tecnologico Grande Fratello, che dall’alto protegge, accompagna, vigila. Difficile saperlo, ma desideriamo di non essere soli sulla terra e che ci sia Qualcuno lassù a cui rivolgerci per ottenere delle risposte che alle volte sono più complicate delle domande.





La vita è un sogno.

Come un pezzo di legno
che sotto una cascata rimbalza senza tregua,
pare si diverta, alle volte scompare sott’acqua,
poi riemerge per continuare a ballare senza sosta
sotto l’urto incessante dell’acqua che cade,
lo afferra, lo scuote ma non lo lascia allontanare,
così la vita ci tiene legati, ci innalza e ci affonda
poi ci riprende senza mai lasciarci, finché non decide diversamente.
Sono i nostri sogni e le nostre illusioni che ci spingono a galla,
per poi scomparire e ricomparire in continuazione.
Ci permettono nascondendola, di difenderci dalla cruda realtà
che diversamente ci renderebbe insopportabile la vita.
Poi viene il momento che la corrente implacabilmente ci trascina con sè,
vorremmo fermarci in qualche ansa tranquilla, in qualche approdo, a sognare ancora un po’,
ma ci è impossibile perché il flusso si fa sempre più forte e imponente:
il percorso è già indicato, e nulla lo ostacola,
sempre più giù lungo il fiume, verso un mare immenso e sconosciuto.

(Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni
e nello spazio e nel tempo di un sogno e racchiusa la nostra breve vita.- W. Shakespeare.)

(Ed io essendo povero ho solo i miei sogni ed i miei sogni ho steso ai tuoi piedi.
Cammina leggera perché stai camminando sui miei sogni.- William Butler Yeats )





Avviso agli addetti ai lavori per il nuovo mattarellum o porcellum:
da Balzac-Caterina de Medici ”Il potere è azione e il principe elettivo è discussione
Non v’è politica possibile con la discussione permanente“.




Sensazionale scoperta: L’ Homo neanderthalensis italicus già 50.000 anni fa sapeva parlare.
Queste le loro incomprensibili parole:…tare…ius..imi..tasi..tari..trise…irpef…ilor…irap...





Solstizio d’Inverno.

Tramonta il sole al Solstizio d’Inverno, termina il suo declino e da domani comincia giorno dopo giorno a risalire e dare con nuova luce vita alla natura addormentata. Per questo da tempi immemorabili gli uomini festeggiano. I Romani antichi il 25 Dicembre celebravano il “Dies Natalis Solis Invictii“, oggi noi celebriamo il Santo Natale.





Il parco deserto.

Nel parco d’inverno, il silenzio e il tempo grigio e triste avvolgono le panchine ed il tavolo coperti di foglie cadute. Non si sente profumo d’erba, canto di uccelli o voci umane, tutto è immobile nella morsa del freddo: il parco abbandonato è in attesa come l’Italia, di tempi migliori.





Nella nebbia.

In una giornata d’inverno il sentiero lungo il Muson si perde nella nebbia... ma c’è sempre qualcuno che lo percorre… come buoni amici che l’un l’altro si tengono compagnia.







Bandiere di San Marco sul Ponte vecchio a Bassano.





Aiuto! Ancora in giro politici dinosauri.






Castello di Godego:
passeggiata in rispetto del sentiero natura del Muson.





21 Novembre - Venezia
Festa della Madonna della Salute.

La Festa della Madonna della Salute è con la festa del Redentore la più sentita dai Veneziani di un tempo e di oggi poiché ricorda , come per il Redentore, il voto del Doge di costruire una Chiesa per ottenere l’intercessione della Vergine Maria per la fine della terribile pestilenza del 1630-1631 (la peste del Manzoni). In quegli anni di guerre nei territori del Nord Italia, gli Spagnoli che avevano con loro truppe mercenarie tedesche, diffusero il morbo della peste bubbonica che arrivò anche nel territorio veneto e a Venezia , portata dagli ambasciatori di Mantova duramente colpita e in cerca di aiuto, in un anno e mezzo fece solo in città 50.000 morti tra i quali lo stesso Doge e il Patriarca.
A tutt’oggi un ponte votivo di barche viene costruito sul Canal Grande per permettere ai cittadini di visitale l’imponente Basilica della Salute costruita dal Longhena, per chiedere grazie alla Madonna.
La ricorrenza è osservata in tutto il Veneto che con Venezia ricorda la fine di quel terribile flagello.






Il bel paese dei cachi.





È arrivato il Generale Inverno.





Asolo, la Rocca e la prima neve sul Grappa.





La Serenissima ci insegna come fare le leggi e applicarle.

Constatando con disgusto quanto è emerso dall’indagine fatto dalla Base americana sull’acqua di Napoli inquinata a causa dello smaltimento incontrollato di rifiuti industriali pericolosi, l’avvocato Cacciavillani ha scritto sul Corriere del Veneto che ben altra era l’attenzione che già nel 1500 la Serenissima prestava a questi problemi, diversamente dalle attuali leggi italiane. Prima di iniziare qualsiasi tipo di attività che comportava rifiuti più o meno pericolosi, doveva essere informata l’Autorità competente che stabiliva come e dove dovevano essere smaltiti quei rifiuti. Allo scopo erano incaricati dei barcaroli appositi che se non ottemperavano alle specifiche disposizioni incorrevano a pene severe quali la distruzione della barca, 3 anni ai remi sulle galere e una multa che veniva divisa tra chi denunciava e l’Autorità statale. Vuoi vedere che la cosa funzionava.




Nel centenario della nascita di Primo Visentin "Masaccio"
Attualità della figura di Masaccio.

Il personaggio di Primo Visentin , nome di combattimento “ Masaccio , seppure famoso in un contesto diverso, è proponibile anche ai giorni nostri. Premesso che i valori dell’ agire umano e dei comportamenti relativi nella società sono universali e validi in ogni luogo e tempo, ricordare e riproporre la figura di Masaccio può insegnarci ed indicarci dei punti fermi nella vita che purtroppo oggi constatiamo smarriti.
Partendo anzitutto dalla sua infanzia, rimaniamo colpiti che pur nato in una famiglia povera quando quel tempo voleva dire non solo essere sprovvisti di tutto il benessere di oggi ma provare la vera fame, rimasto orfano a 3 anni del padre caduto nella Grande Guerra, ma possedendo una intelligenza vivace ed una volontà determinata, studiando con impegno, ottenne ottimi risultati, fin da proseguire gli studi fino alla laurea universitaria aiutato da chi credeva in lui. La sua determinazione di raggiungere quella meta l’ aveva ben presente quando annotava nel suo diario…… (da riportare alcune righe del diario).
E’ da rilevare che ha indirizzato la sua intelligenza e capacità verso obiettivi importanti ed essenziali nella vita, non verso cose futili e senza valore. I risultati di questa sua capacità e determinazione furono presto riconosciuti da tutti con i quali aveva rapporti di parentela o amicizia e di conseguenza era una persona stimata e con una personalità che attraeva il consenso degli altri sia in famiglia che nella società. La sua passione per l’arte, tanto da prendere come nome di battaglia “ Masaccio” il pittore toscano del 400che metteva per la prima volta al centro dei suoi quadri l’uomo, e per la natura che con sensibilità ben descrive nel suo diario, si associano alla stima ed amicizia che ricevette da personaggi di spicco e alle sue sincere relazioni amorose che ebbe nella sua breve vita. (da riportare alcune righe del diario).
Primo Visentin che pur in un primo momento era stato attratto dal fascismo che lo aveva aiutato a studiare quale orfano di guerra , si rese presto conto di quante sventure al popolo italiano portasse la guerra voluta da Mussolini e dopo la sconfitta, durante la guerra civile, abbracciò con determinazione il movimento di liberazione dall’ occupazione tedesco-fascista: dopo l’eccidio del Grappa, paragonò fascisti e tedeschi a feccia e iene dell’ umanità. Erano tempi disastrosi quando nel caos generale, una scelta che poteva significare vita o morte, comportava capacità ed impegno non comuni. Non era, anche se sembrava, un avventura giovanile ma era un impegno cosparso di difficoltà e di passione ma anche di viltà e tradimenti., tra gente sbandata, esaltata, ormai senza più regole, quando tutto sembrava lecito ed ammazzare una persona era come ammazzare un gatto. In questo clima di anarchia la figura di Masaccio si evidenzia per la chiarezza dei suoi principi che non vennero mai meno anzi si rinforzarono ed ebbe la capacità di creare ordine e operatività tra quei gruppi ben poco organizzati. Quando sarebbe stato facile e scusabile per chiunque chiudere un occhio o tutti e due sulle violenze che allora erano all’ ordine del giorno, lui forte delle sue idee e della sua coscienza, anteponeva su tutto, con fermezza ed ostinazione l’onestà e la correttezza e nelle azioni belliche da lui ordinate non ci furono mai uccisioni o violenze gratuite. Alla costituzione del battaglione Mazzini che Masaccio volle per riunire sotto un’ unico comando i gruppi sparsi di partigiani della pedemontana, il suo avvertimento fu duro e chiaro :”Chi ha coscienza sporca o sente che non potrà conservarla si ritiri subito. D’ora in avanti i comandanti avranno il diritto, anzi il sacrosanto dovere di punire all’ istante, anche con la morte, quegli elementi che durante un’ azione si rendessero colpevoli di fatti contrari alla legge morale od agli interessi della organizzazione.” Purtroppo questo suo impegno di onestà si scontrò con chi aveva forse secondi ed inconfessati fini e pagò con la vita, colpito da una pallottola “amica”.
Queste note sulla sua vita riportate qui da chi ha vissuto quell’ epoca, oltre ad essere una doverosa testimonianza ed un ricordo, ci sembrano opportune per queste generazioni quale esempio di onestà e chiarezza di agire per cui Masaccio è caduto e che la confusa società dimenticandole, tanti guai ci sta procurando.





“Certo, noi siamo abituati ad ammirare ogni giorno dei grandissimi banditi, di cui il mondo intero venera con noi la ricchezza e la cui esistenza si dimostra, non appena la esamini un po’ più da vicino, come un lungo crimine rinnovato ogni giorno, ma quelli si godono la gloria, gli onori e il potere, i loro misfatti sono consacrati dalle leggi, mentre per quanto indietro ci si spinga nella storia, e lei sa che son pagato per conoscerla, tutto ci dimostra che un furtarello veniale, e soprattutto di alimenti poveri, come la pagnotta, il prosciutto o il formaggio, attira immancabilmente sull’autore l’obbrobrio formale, la scomunica categorica della comunità, i maggiori castighi, il disonore automatico e la vergogna inespiabile, e questo per due ragioni, anzitutto perché l’autore di tali misfatti è generalmente un povero e questa condizione implica per se stessa una indegnità fondamentale e poi perché il suo gesto comporta una sorta di tacito rimprovero verso la comunità. Il furto del povero diventa una maliziosa rivincita personale, mi capisce ?. Così la repressione dei furtarelli da niente viene esercitata, osservi bene, ad ogni latitudine con estremo rigore, non solo come mezzo di difesa sociale, ma anche e soprattutto come monito severo a tutti gli sventurati di doversene restare al loro posto e nella loro casta, tranquilli, allegramente rassegnati a crepare lungo i secoli e all’infinito di miseria e di fame … “
“ Ve lo dico io, gentuncola, coglioni della vita, bastonati, derubati, sudati da sempre, vi avverto, quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia.. E’ il segnale…E’ infallibile..E’ con l’amore che comincia.”

I grandi ideali sono i nostri piccoli istinti vestiti di paroloni.

(da Viaggio al termine della notte di Céline)


Elogio del camminare.

Camminare in una bella giornata tra colline e campi, soli o in compagnia, non è come andare in macchina, in moto o in bici quando la velocità ci allontana dalle cose. Oltre a dare un benessere fisico e liberare i pensieri, camminando si può osservare e toccare con mano le erbe e le foglie delle piante, vedere una farfalla o una lucertola che si godono il sole, udire il misterioso fruscio del vento tra le foglie e il canto degli uccelli che sempre incanta, sentire con piacere il profumo dei fiori e della terra, senza fatica o ansia, nel pieno appagamento dei sensi che non chiedono altro che mettersi in sintonia con la natura per raggiungere un equilibrio appagante.






Questo è il 793 ° autunno che tiene compagnia alle mura di Cittadella.





Dai “Racconti“ di Guy de Maupassant.

“Esistono angoli di mondo deliziosi, che hanno un fascino sensuale per gli occhi. Si amano di un amore fisico. Noi, che ci lasciamo sedurre dalla natura, abbiamo ricordi teneri di certe sorgenti, di certi boschi, di certi stagni, di certe colline, visti spesso, e che ci hanno commosso alla stregua di avvenimenti felici. A volte, addirittura, il pensiero ritorna ad un angolo di foresta, o a un tratto di sponda, o a un frutteto incipriato di fiori, visti una sola volta, in una bella giornata, e rimastici nel cuore come quelle immagini di donne, incontrate per la strada una mattina di primavera, con un abito chiaro e trasparente, e che ci lasciano nell’ anima e nella carne un desiderio insoddisfatto, indimenticabile, la sensazione della felicità sfiorata.”



Da "Bel-Ami" di Guy de Maupassant.

“Era uno di quegli uomini politici dalle molte facce, senza convinzioni, senza grandi mezzi, senza audacia e senza una seria preparazione, un avvocato di provincia, un personaggio nella sua cittadina, un furbo che si manteneva in equilibrio fra tutti i partiti estremi, una sorta di gesuita repubblicano e di fungo liberale di dubbia natura, come ne spuntano a centinaia sul letamaio popolare del suffragio universale. Il suo machiavellismo da paesano lo faceva brillare fra i colleghi, fra tutti gli spostati e i falliti che finiscono deputati. Era abbastanza azzimato, abbastanza corretto, abbastanza cordiale e abbastanza amabile per riuscire. Aveva successo in società, nella società eterogenea, torbida e piuttosto volgare degli alti funzionari in carica“.
Siamo nel 1800, ora nel 2013 di quanti nostri deputati questa potrebbe essere la loro radiografia ?




Toponimi Dolomitici Ladini.

Le Dolomiti dette anticamente anche i Monti Pallidi per il loro particolare rosa pallido derivato dal calcio e magnesio componenti le rocce formate da sedimenti marini vecchi di centinaia di milioni di anni, oltre ad essere un paesaggio pieno di fascino per tutti, un’ attrazione unica per gli escursionisti e alpinisti, un libro di lettura della storia della terra dove si può camminare dove un tempo c’erano lagune e banchi di coralli e spugne, ambiente di leggende straordinarie, risuona anche di nomi talmente belli e armoniosi che ben si addicono all’ ambiente meraviglioso e fiabesco dal quale nascono. L’unicità ed espressività di questi nomi deriva dalla bella lingua ladina sonora perché ricca di vocali che nei secoli ha saputo fondere l’antico rustico retico con la dolcezza di un latino adattato ai luoghi e alla realtà del posto. Ecco che” les Odles” sono aghi di roccia ,” la Gusela del Vescovà” l’ago del vescovo, “l Ciadinac” il gran catino, “ il Burel “ il burrone, “ il Sass de Pelf “ il Sasso del Pelmo, una montagna massiccia “i Pizzes da Cir “i pizzi frastagliati,” i Ludins” i pattini della slitta, “ il Sorapiss “ sopra la pissa-cascata, “ la Pala di San Lucano”, una parete alta e aperta, “ vallon “ valle ampia, “ Furcia “ una forcella etc. Altre denominazioni riflettono l’impressione che dà il posto: le Tre Cime di Lavaredo perché sorgono maestose da un campo di pietre, appunto detto lavaredo, Croda dei Toni perché evidentemente attira i fulmini, Sass Rigàs perché la roccia è a strati colorati, Pisciadù perché c’è una cascata. Poi troviamo altri luoghi e monti dai nomi misteriosi che si perdono nel tempo e nelle antiche e belle leggende ladine quali Latemar, Antermoia, Plan de Corones, Fanes, Sennes, Lavinores, Antruilles, Travenanzes, Conturines, Lagazuoi, Falzarego, Tofane, Nuvolao, Averau, Formin, etc. A Ra Stua nell’ Ampezzano ci sono dei antichi abeti rossi vecchi anche di 300 anni, talmente fitti che non lasciano passare pioggia o neve, ottimo rifugio per armenti e pastori. Li chiamano familiarmente“ Cioces “ per la loro capacità di proteggere come la chioccia con i pulcini. Nelle valli i nomi delle” viles” che erano piccoli gruppi di case, riportano con piacevole fantasia il posto: Corvara, Pralongià, Longiarù, Pederù, Sottrù, Colfosco, dove nelle “ stues” stanze di soggiorno, un tempo gli anziani raccontavano le “ cunties “ storie e leggende dei “salvans, ganes, crestanes e bregostanes,” creature immaginarie che abitavano i boschi o di rapimenti della sposa “ rubè la nevicia” usanze in uso nel passato. Tutte queste belle ed interessanti tradizioni si possono rivivere visitando il Museum Ladin Ciastel de Tor nel castello sopra San Martino in Badia dove è offerto un percorso dei Ladini e la loro lingua che per dire buon giorno dicono “ bun dé ”, arrivederci “ a s’odei”, albero “legn”, sentiero “ tru”, grazie “ dilan”. Per un vero rispetto di questi luoghi e relativi nomi che li rappresentano vecchi di secoli, sarebbe giusto che solo questi apparissero nelle indicazioni o carte topografiche, non accompagnati da traduzioni fasulle in italiano o tedesco che non hanno nulla da spartire con questa lingua, fatte per imporre qualche cosa o qualche potere. Le cose belle non si storpiano ! Italiani o Tedeschi quando vengono nelle Dolomiti è bene che conoscano il ladino, la lingua Madre, almeno dei luoghi, come quando vanno in altri paesi e ci faranno anche una bella figura.






Si avvicina il centenario della I° Guerra Mondiale. Quando e chi sparò il primo colpo sul Fronte italiano delle Dolomiti che diede inizio a quel massacro autorizzato ?
A Forcella Lavaredo ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, dove c’era un presidio-rifugio degli Alpini alle ore 8,45 del 24 Maggio 1915 scoppiò la prima granata seguita da altre sparate dai cannoni austriaci trincerati nell’ inaccessibile Monte Rudo. Il giorno prima alle ore 19 del 23 Maggio l’ufficio postale di Landro aveva ricevuto la comunicazione che l’Italia aveva di chiarato guerra all’ Austria, comunicazione che le nostre autorità militari che avevano dichiarato la guerra, incredibilmente dovevano ancora trasmettere al presidio di Forcella Lavaredo. Le artiglierie austriache il cui tiro era diretto dalla guida Sepp Innerkofler di Sesto gestore del rifugio Tre Cime appostato sul Monte Paterno, continuavano a colpire il nostro avamposto costringendo gli alpini ad arretrare e ripararsi dietro le rocce della Cima piccola e solo con un successivo assalto alla baionetta riuscirono a riconquistare Forcella Lavaredo e Forcella Passaporto da cui con colpi di artiglieria distrussero il rifugio Tre Cime punto di osservazione avanzato austriaco. Da quei giorni fino all’ ottobre del 1917 quando in conseguenza della rotta di Caporetto dovettero ritirarsi perdendo tutto quello che avevano conquistato con il sangue e sacrifici inimmaginabili, una guerra eroica e sanguinosa si svolse tra queste cime sopra i 2000 metri tra tormente di neve, valanghe, assideramenti, fame, sete e con migliaia di morti, in un epico duello che non verrà mai dimenticato. Gesta al limite del sovrumano rimarranno scolpite nelle rocce della Marmolada, del Col di Lana,del Costabela, delle Tofane, dei Lagazuoi, del Monte Piana, delle Tre Cime , di Cima Dodici, del Monte Popera che nella loro lunghissima storia, in questo grandioso e magnifico scenario, hanno dovuto anche essere involontarie spettatrici e partecipi di questa pazzia umana voluta dalla storia.





D’estate in montagna anche le case fioriscono.







Sono bella, please una foto.





Dopo aver camminato molto…





I colori del Vessillo Veneto: giallo-oro-porpora.





Edimburgo:
Bandiere Venete alla marcia per l'indipendenza scozzese.





L. I. F. E.

L’ Associazione che difende veramente le nostre aziende costrette a chiudere o emigrare a causa dei costi insostenibili e della concorrenza micidiale e sleale straniera






Il segnale.

Non passa giorno che il governo di questo disgraziato paese nel mezzo di una crisi spaventosa che riduce alla povertà molta gente non metta una tassa, poi le leva e la rimette sotto altro nome o insegua chimere ideologiche pazzesche come porte aperte all'immigrazione in una confusione mentale schizofrenica. Sa solo mettere tasse a chi non ha nemmeno i soldi per comperarsi da mangiare.
Diceva il poeta Euripide nel 400 A.C.: Quelli che Dio vuole distruggere, prima li fa impazzire.
Siamo a questa fase perché pari alla pazzia è la totale confusione che viene dalla mancata comprensione della società.





Così ci hanno ridotto.





15 Luglio - La Festa del Redentor - La notte famosissima
Nina, da bando i scrupoli,
no dirme, via, de no,
se compagnarte in gondola
sta note mi vorò.
La note xé belissima,
le stele brila in ciel
xé un specio l’acqua, e l’aria
xé un balsamo, xé un miel.
La note famosissima
del nostro Redentor,
Nina, via, persuàdite
l’è fata per l’amor.
Varda che festa splendida,
La Zueca xé un bisù,
tuti se sente in gringola,
Nina no posso più.
Vien qua, mia bela còcola,
in barca vien co mi
fra canti, soni e ciàcole
sino che spunta el dì.



La Festa Cristiana del Redentore, la più bella e sentita festa veneziana, istituita nel 1575 quale ringraziamento per la liberazione della pestilenza di quell’ anno, ha probabilmente assorbito e sostituito un’ antica usanza popolare di origini antiche forse paleovenete. Il fatto che la Festa si svolga di notte nelle barche, alla luce delle lanterne che le antiche religioni collegavano al culto dei morti e successiva rinascita alla vita, in un clima di festa e allegria con fuochi pirotecnici meravigliosi, tipiche cene, canti e abbondanti bevute e si concluda tradizionalmente all’ alba al Lido in riva al mare per assistere al sorgere del Sole, simbolo di rinascita , è interpretabile come un antico rito propiziatorio di buon auspicio in analogia delle credenza degli antichi Egizi, Greci e Romani sul mitico viaggio notturno del Sole che incontra di notte le divinità dei morti datrici di fertilità, dispensata poi al suo sorgere nel nuovo giorno.




Antonio Pigafetta , vicentino, nell’ impresa di Magellano.

All’ alba dell’ 8 settembre 1522 arrivò con difficoltà al porto spagnolo di Sanlucar de Barrameda un veliero, una caracca a 3 alberi di 85 tonnellate di stazza e 42 uomini di equipaggio, con appena 18 uomini superstiti per lo più ammalati, con il trinchetto rotto, una vela di fortuna, imbarcando acqua, unica nave superstite delle 5 salpate quasi 3 anni prima da Siviglia con 234 uomini agli ordini di Ferdinando Magellano per la prima circumnavigazione del globo. Tra quei 18 superstiti c’era anche Antonio Pigafetta che s’era offerto all’ impresa e oltre ad essere destinato a primo aiuto di Magellano in quanto anche uomo d’armi, stese il diario di bordo che al ritorno pubblico con il titolo” Relazione del primo viaggio attorno al mondo”. Se la buona fortuna non lo avesse protetto oggi non si saprebbe di quella memorabile impresa. Antonio Pigafetta era nato a Vicenza nel 1492 e dopo aver fatto gli studi classici al pari di molti nobili vicentini, si arruolò nei Cavalieri di Rodi che combattevano contro gli Islamici, perciò era uomo di fede e d’arme. Fu poi a Roma al servizio del vescovo Francesco Chiericati diplomatico del Vaticano che lo condusse con sé in Spagna alla corte dell’ imperatore Carlo V. dove in cerca di gloria, si offrì a partecipare alla spedizione di Magellano. Ferdinando Magellano era un esperto navigatore portoghese, già capitano di marina del suo paese, dopo essere stato degradato e cacciato per insubordinazione offrì i suoi servigi a Carlo V e lo convinse ad allestire una spedizione per raggiungere le isole Molucche allora eldorado e fonte della pregiate spezie, via Atlantico e poi Pacifico attraverso un possibile passaggio alle latitudini meridionali delle Americhe. Fu allestita una piccola flotta di 5 navi i cui nomi sono entrati nella storia: la Trinidad ammiraglia dove era inizialmente imbarcato il Pigafetta, la San Antonio, la Conception, la Victoria e la Santiago. Salpate il 20 settembre 1519 fecero il primo scalo alle Canarie dopo aver evitato uno scontro a fuoco con navi portoghesi intenzionate a bloccarle. Diressero quindi costeggiando l’Africa verso Capo Verde e da lì attraverso l’Atlandico dove in pieno oceano ci fu il primo ammutinamento di alcuni capitani uno dei quali fu messo ai ferri, giunsero il 26 dicembre nella baia di Rio de Janeiro. Il 10 gennaio 1520 erano nell’ estuario del Rio della Plata che essendo largo ben 220 chilometri scambiarono per cercato passaggio ad ovest. Resisi conto dell’ errore dopo aver perso alcune settimane arrivarono il 31 marzo in Patagonia e approdarono nella baia nominata da Magellano di San Julian dove i vascelli trascorsero tutto il periodo dell’ inverno australe. La lunga sosta aveva di conseguenza ridotta la quantità di viveri per cui scoppiò un nuovo generale ammutinamento che Magellano domò con ferocia giustiziando due comandanti e lasciandone un terzo abbandonato in quella terra inospitale. Nonostante la generale contrarietà Magellano decise di spingersi ancora più a Sud per cercare l’ agognato passaggio. Disgraziatamente la Santiago mandata in avanscoperta fece naufragio e pochi uomini si salvarono. Finalmente giunsero in un ampio golfo che effettivamente metteva in comunicazione i due Oceani attraverso una via d’acqua stretta e rischiosa comunque migliore del più meridionale famoso Capo Horn. Fu chiamato stretto di Magellano. Qui l’ammiraglio Magellano chiamò a rapporto gli altri comandanti e diede loro l’opportunità di proseguire nel Pacifico o di ritornare per la via percorsa. Solo il San Antonio abbandonò la spedizione, mentre le rimanenti 3 navi il 28 novembre 1520 attraversato lo stretto si inoltrarono nell’ ignoto oceano Pacifico dove varie sciagure purtroppo colpirono la spedizione causa dallo scorbuto che uccise una ventina di marinai prima di arrivare alle isole Marianne e poi per iniziative errate di Magellano che voleva sottomettere alla Corona di Spagna i nativi dell’ isola di Mactan nelle Filippine che reagirono ed in uno scontro oltre a 30 uomini cadde ucciso lo stesso Magellano colpito da una freccia avvelenata come pure fu ferito Pigafetta che cercava di soccorrerlo. A causa di queste perdite mancando uomini, furono costretti ad abbandonare la Conception che incendiarono e con le 2 navi rimaste raggiunsero finalmente le desiate Molucche dove provvidero a caricare le preziose spezie. Poi alla partenza si divisero: la Trinitad optò per il ritorno rifacendo in percorso dell’ andata e solo 5 uomini dell’ equipaggio dopo un’ odissea di ben 4 anni avrebbero raggiunto la patria. La Victoria su cui era imbarcato il Pigafetta proseguì per la rotta del Capo di Buona Speranza nell’ Africa Australe perse altri 20 uomini ed altri 20 dovette lasciarli in ostaggio ai Portoghesi a Capo Verde per non farsi sequestrare il prezioso carico di spezie. Giunto finalmente il Spagna dopo quasi 3 anni pubblicò la sua Relazione ed ebbe la gloria nella storia. In seguito non si ebbero più notizie di lui. Si suppone che essendo Cavaliere di Rodi sia caduto combattendo contro i Turchi presso Modone in Grecia. Di lui rimane la sua Relazione e l’encomio del grande geografo veneziano Gian Battista Ramusio suo contemporaneo, che scrisse: Et la città di Vicenza si può gloriare fra tutte l’altre d’ Italia, che oltre l’antica nobiltà e gentilezza sua, oltra molti eccellenti, et rari ingegni, sì nelle lettere, come nell’ armi, habbia anche avuto un gentil’huomo di tanto animo come il detto Messer Antonio Pigafetta, che avendo circondata tutta la balla del mondo, l’habbia descritta tanto particolarmente.
(riass. Da Andrea Minchio).





Giuseppe Verdi inedito.

Lettera del 9 novembre 1846 di Giuseppe Verdi a Francesco Maria Piave-veneziano e principale librettista del musicista per le opere Macbet, Rigoletto, La Traviata, Simon Boccanegra, La Forza del Destino “Mio bel Mona te la prendi comoda con questo Macbet !!... Sappia addumque mio Sig. Mona dei Mona che io non posso più aspettare che a momenti ho finito il mio primo atto e che non posso perder tempo per Lui Sig. Mona dei Mona Monissimo. Mandami subito il secondo atto e studia subito per il terzo! Hai capito? in quanto alla prima donna non voglio crucciarmene né tagliarmelo via perciò. Sia anche il diavolo non m’importa. Se non ne trovo una a modo mio, faccio tagliare i coglioni a te Sior Mona e tu farai la Lady Macbet! Che bella figura ! E che effetto faresti ? Con una vocina e colla tua attitudine al canto. Per Dio che fortuna per te ?!!.. Va là : tagliali, tagliali… fammi un piacere !..
G. Verdi.





Gli Alberi.

All’ombra degli alberi d’estate.
Dopo aver percorso una strada assolata nel caldo dell’estate stanchi e accaldati, trovare una panchina accogliente all’ombra di un gruppo di alberi mossi appena da un fresco venticello è una delle gioie più genuine del corpo e dello spirito. Gli alberi sono nostri padri e fratelli : non chiedono nulla e danno molto. Meritano considerazione e rispetto.





Incompatibilità.

I platani lungo le nostre vecchie strade, maestosi e coriacei, erano un tempo belli e amici, partecipi di una civiltà passata che premiava la calma ed una vita a dimensione umana. Ora che domina la frenesia delle macchine sono diventati brutti e ostili. Loro sono sempre gli stessi, messi per dare ombra d’estate e legna per l’inverno, sono gli uomini che si muovono troppo in fretta. Qualcuno vorrebbe tagliarli per far circolare le macchine senza vecchi intralci. Non so se sarà la giusta soluzione, so che rappresentano due mondi incompatibili.





Le colpe degli alberi (articolo di Andrea Cason).

Ho letto tempo fa, con pena e fastidio, che in un viale di Treviso c’è stato chi ha avuto la premiata vigliaccheria di far morire alcuni alberi, bucandoli e poi instillando ad essi, con una siringa, del veleno : naturalmente, queste verdi creature davano fastidio al traffico, alle automobili, ai ciclisti, a tutti insomma. Questa disinvolta morale mi fa spavento: questo nazismo arboreo potrebbe anche prefigurare, come in taluni racconti di fantascienza, un mondo con giardini di plastica, in cui sboccino fiori e maturino frutti liofilizzati da staccare e far rinvenire in acqua distillata. Cero, questo può essere un piccolo fatto che può far sorridere e anche muovere all’ironia: ma io non credo che persone di cuore possano lasciar cadere nell’indifferenza un fatto come questo. A me è capitato più volte di veder sradicare un albero, al colmo della sua bellezza e della sua vigoria, per far luogo ad un distributore di benzina o ad un chiosco di bevande o ad un parcheggio: le belle fronde a terra, calpestate da tutti e le possenti radici capovolte ora come se chiamassero ,che parlassero ai passanti incuranti e distratti. Dovremmo pensare più spesso che, in questo mondo, in cui abbiamo avuto la ventura di capitare, la natura non ci appartiene affatto; e che un albero impiega decine e decine di anni per crescere e diventare un monumento verde, sorgente ossigenante e ricostituente della nostra atmosfera, sempre più sporca ed irrespirabile. E poi, un albero, una quercia, un leccio, un noce è uno spettacolo continuo che si rinnova in ogni stagione : nel bruno sonno dell’inverno, nel tenero verde di primavera, nel rigoglioso solare dell’estate, nell’oro dell’autunno. E chi ha visto la conca stupenda del Cansiglio, nel coro di tutte queste infinite creature, sa che un albero, anche uno solo, non si può ferire.



Tagore, poeta indiano (1861-1941)
“Gli Alberi sono lo sforzo infinito della Terra per parlare al Cielo in ascolto“





Verrò solo
Verrò solo, solo a rivedervi,
alberi fraterni,
laggiù nel grande parco.
Alzerò gli occhi
per vedere la vostra cima chiomata,
verrò, senza testimoni ciechi,
a contare le rughe del tempo,
a disegnare la curva
dei grandi rami
fortemente, umilmente
volti alla terra
richiamo eterno di tutte le cose.
Verrò solo, senza testimoni,
ad ascoltare la parola
di un popolo di foglie,
con la notte, con il giorno,
con i venti lievi,
con i venti violenti.
Virgilio Guidi.
“Gli Alberi sono lo sforzo infinito della Terra per parlare al Cielo in ascolto“





Una violenza primordiale.

In una notte tempestosa quando le nuvole sospinte dal vento impetuoso si rincorrono e si scontrano nel turbinio della tempesta e l’acqua precipita sulla terra quasi percuotendola, uomini e animali cercano riparo da quella violenza mentre gli alberi, sempre al loro posto, la subiscono in pieno. Un vecchio e grande pioppo lungo il fiume, pur sbattuto dagli elementi scatenati, resiste impavido come tante altre volte a quel diluvio, quando nell’ oscurità, una luce accecante e un tuono fortissimo lo investe ed una forza potente e misteriosa lo percuote dalla cima alle radici dilaniando le sue forti fibre. La saetta, questa violenza cieca e imponderabile caduta dal cielo, questa volta ha colpito lui, lasciandogli dopo la rovina, una profonda cicatrice lungo tutto il suo fusto. Un tempo gli antichi credevano che i fulmini fossero scagliati dagli dei irritati con gli uomini. Ora che la scienza ci ha chiarito che si tratta di un fenomeno fisico-elettrico tra masse di nuvole o tra nuvole e la terra, siamo più tranquillizzati ma non del tutto perché rimane sempre nel nostro inconscio il mistero e la paura ancestrale di queste forze primigenie potenti ed oscure che subiamo impotenti e non possiamo allontanare, come succede con le paure nei sogni.





Gioielli.

La luce del sole che si fonde con l’acqua spumeggiante del Piave è puro argento e gli alberi attorno sono sprazzi di pietre preziose.





Quando sul Grappa, in giugno, anche le rocce fioriscono.





La Natura ha i suoi colori e i suoi profumi che gli uomini imitano.









Fantasie, ma non tanto.

A maggio il profumo dell’acacia
trasportato dal vento sale in alto
dove le nuvole lo catturano
per poi restituirlo alla terra
con la benefica pioggia.
Lo stesso purtroppo vale per i fumi inquinanti
che salgono e ritornano sulla terra con l’inconsapevole pioggia.
Diceva un famoso detto latino :
Ricevi quello che dai !





Una bella copia naturalmente tradizionale.





Un sogno: è arrivato il cavaliere nero: tremate ladroni.





A fameja de fungheti.

Dentro el buso de un vecio moraro caroéa,
su un mucéto de legno marsìo,
xe spuntà na copia de fungheti, quasi moroséti.
Anca lori, o par caso o par destinassion,
i xe apparsi nel nostro gran mondo
soeo par pochi dì e dopo i xé sparii,
ma dopo quìndese dì
i xé riaparsi moltiplicai
par dopo sparir de novo.
El xé un mistero come par tuto.









Traforo del Monte Grappa, un tunnel di ben 10 Km!!!





SBILANCIAMENTO con Relativa FREGATURA.
Si farà o non si farà in ottobre il Referendum per l’indipendenza del Veneto:

Ecco chi non lo vuole e perché (dall’articolo sul Corriere del 30-06-2013 dell’Assessore Regionale al Bilancio Roberto Ciambetti (Lega Nord).

Premesso che, riferendosi alle richieste sui referendum indipendentisti della Scozia e Catalogna, il segretario generale dell’ONU Ban-Ki-moon ha detto che le Nazioni Unite rispettano i processi di autodeterminazione, anche in Catalogna il disagio e la rabbia nei confronti del governo di Madrid nasce dalla sperequazione tributaria che vede il cittadino catalano con un residue fiscale a credito di 2.700 Euro. Cosa dovremmo fare noi Veneti che paghiamo 4.000 Euro pro capite in più di quello che riceviamo da Roma? Sia Veneti che Catalani sono contribuenti netti, versano più di quanto ricevono e difficilmente i governi italiano e spagnolo si priveranno tanto facilmente dei loro finanziatori.
Il problema del referendum a Madrid come a Roma, non è una questione di diritto, ma di soldi, quelli che se venissero a mancare li costringerebbero ad abbattere quell’architettura complessiva di privilegi perché, come spiegava bene Sergio Romano, “esiste una nomenklatura politica, amministrativa, economica, sindacale, per cui l’Italia deve restare "una e indivisibile". Per coloro che ne fanno parte non è soltanto una patria: è anche un grande collegio elettorale, un serbatoio di voti, un datore di lavoro, la ragione sociale del loro mestiere”. Fino a quando il malgoverno potrà contare sui soldi delle regioni virtuose, né l’amministrazione centrale, né le aree malgovernate avranno alcun motivo per affrontare ogni riforma. Per difendere l’inefficienza e lo spreco ogni arma è buona.




Tuffo nel passato.
Ora in primavera, solo alle sorgenti del Sile,
senti ancora le rane gracchiare ed i loro tonfi nell’acqua,
ascolti il concerto di tanti uccelli che il bosco ospita,
osservi il lento scorrere dell’acqua appena emersa per magia dalla terra ,
vedi la grande quercia emblema degli estesi boschi del passato,
il tutto nel silenzio di un tempo antico ormai dimenticato.





Un fiore misterioso.





25 Aprile.
A Venezia la festa di San Marco è stata ricordata con centinaia di Bandiere del Leon.




Il top della stupidità dei parlamentari italiani. Nel discorso per l’insediamento bis del presidente Napolitano alle sue parole di rampogna rivolte ai parlamentari: siete irresponsabili, applausi da parte degli stessi, siete inconcludenti, altri fragorosi applausi, siete incapaci, super applausi con ovazione in piedi. Cose mai viste sulla faccia della terra. Mamma mia in che mani siamo !


Italia paese dei video-giochi, non del lavoro.
Al Sindaco di Vicenza Achille Variati che aveva provato a fermare la proliferazione delle sale da gioco, un flagello in questi tempi di crisi, il Tar Veneto ha risposto che non è possibile perché tale attività è competenza dello Stato Italiano. A tale decisione in Sindaco Variati ha risposto così:
”La decisione dei giudici tocca aspetti molto pericolosi, ci sono famiglie in povertà a causa del gioco.
Il governo ha riconosciuto la ludopatia ma non fa nulla per prevenirla e questo è un atteggiamento vergognoso di chi è ostaggio di interessi economici“.
Non ci sarà lo zampino di qualche associazione di bricconi?
Diceva il Divo Andreotti: a pensar male si fa peccato ma spesso... ci si azzecca.




Vecchi castelli e nuove primavere.
Castelli,
che hanno visto un tempo
primavere cruente,
ora sono solo muri vetusti
che nuove primavere
adornano allegramente di fiori.






Il Monte Grappa.


Salve, sono il Monte Grappa, ma già tutti mi conoscono nella regione e, se mi è permesso, desidererei dire qualcosa. Sono milioni di anni che da quassù vedo tutto quello che succede giù nella pianura, ne ho viste di tutti i colori e posso dire con cognizione di storia che mai ho assistito ad uno stravolgimento come in questi ultimi anni: case, costruzioni, capannoni, strade hanno alterato l’ambiente e sempre meno terra è rimasta a disposizione per le colture, la buona terra che in milioni di anni ho pazientemente contribuito a formare affinché le specie vegetali, animali e umana indispensabili le une alle altre, potessero sopravvivere. Ora questa terra è stata violentata dal cemento, dall’asfalto, dall’inquinamento, dai diserbanti e pesticidi che hanno quasi cancellato in pochi anni molte forme di vita che Madre Natura ha formato pazientemente nella sua lunghissima storia.
Così non va, non si deve gettare via un bene così prezioso, ve lo dice un vecchio saggio che ne ha dell’esperienza. Bisogna rispettare le leggi naturali che regolano la vita sulla terra affinché si mantenga quell’equilibrio miracoloso indispensabile alla sopravvivenza e all’armonia dell’ambiente che ci circonda che consente a tutte le creature di vivere.
L’ha detto anche Papa Francesco: Custodiamo il Creato.




25 Marso - Festa del Popolo Veneto.
La marcia è partita e la meta è vicina, come la primavera.



Il Consiglio Regionale Veneto attraverso la legge 08/2007 ha stabilito che il
25 Marzo diventi la Festa del Popolo Veneto.
Questa data ci ricorda che secondo la tradizione il 25 Marzo del 421 d.C. i Veneti provenienti dalla
terraferma per sfuggire alle invasioni dei Goti e degli Unni si rifugiarono nella laguna dando inizio di
fatto alla Civiltà Veneta moderna, una civiltà che nei secoli sarebbe diventata la più lunga e prospera
Repubblica del mondo, conosciuta da tutti come la Serenissima.
Una staffetta partendo dalla parte occidentale della terra Veneta il Lago di Garda arriverà
a Piazza San Marco portando il testimone rappresentato dalla gloriosa Bandiera di San Marco,
passata di mano in mano quale esempio vivente della solidarietà e dell’ unione del Popolo Veneto





Ai piedi del vecchio tronco spuntano le violette di primavera.
Così va la vita!





Su e giù per i Colli Euganei.
Sono caratteristici i Colli Euganei che si ergono improvvisi nel mezzo della piatta pianura veneta a sud di Padova con i loro particolari profili a cono o rotondeggianti che ci ricordano la loro antica origine derivata da vulcani attivi 34 milioni di anni fa ormai spenti ma che riservano attualmente parecchie sorprese. La più nota e principale sono le attività termali che fin dall’antichità furono e vengono tuttora sfruttate a fini terapeutici. I centri principali per questi trattamenti sono Abano e Montegrotto più altri centri minori. Dette località nell’ antichità erano caratterizzate da laghetti e pozze d’acqua fumanti dal caratteristico odore di zolfo come ci hanno lasciato scritto alcuni autori latini quali Svetonio, Livio, Marziale. Ma già nell’ età precedente e nella preistoria la zona era considerata sacra dai Veneti antichi , Euganei e popolazioni preistoriche per l’azione salutifera delle acque poiché da scavi eseguiti in questi siti termali sono emersi molti ex voto , vasetti, riproduzioni di parti del corpo lasciate in offerta dai fedeli per propiziarsi la divinità che in epoca romana era identificata con il nome di “ Aponus” da cui il nome di Abano. L’origine di queste acque che fuoriescono alla temperatura di circa 80 gradi era stata un tempo considerata di origine vulcanica ma recenti studi dell’ Università di Padova hanno appurato che queste acque sono di origine meteorica. Esse provengono dalla zona dei Monti Lessini a nord di Verona e dalla Catena del Pasubio e Piccole Dolomiti a nord di Vicenza, rocce carsiche che consentono alle acque piovane di penetrare fino alla profondità di 3.000 metri e nel loro lentissimo flusso, giacché impiegano dai 30 ai 70 anni per percorrere la distanza di circa 100 Km, assorbono vari sali minerali data l’alta temperatura di profondità e la pressione. Queste falde acquifere, incontrando ad un certo punto nel sottosuolo la barriera delle rocce vulcaniche dei Colli Euganei che ne impediscono il proseguimento, sono costrette a risalite in superfice dove arrivano ricche di sali salso -bromo -iodiche ed ad alta temperatura, tanto che per il loro utilizzo l’acqua viene portata a 34-38 gradi nelle alle piscine termali ,nella terapia inalatoria e nell’ applicazione con i famosi fanghi termali. Detti fanghi, prelevati da originari laghetti termali della zona, trattati con acqua termale, purificati e rigenerati da una flora batterica, servono efficacemente per impacchi antidolorifici per varie sindromi dolorose e per riabilitazioni da traumi ed interventi chirurgici ed ovviamente per riattivare la circolazione sanguigna e rigenerare la pelle. Fanghi veramente miracolosi ! Tra un trattamento e l’altro si ha la possibilità di percorrere i colli e scoprire quello che riservano al visitatore. Nella parte sud c’è la ridente cittadina di Arquà Petrarca famosa per aver ospitato il poeta trecentesco nell’ ultimo periodo della sua vita accompagnato dal ricordo dell’ indimenticabile Laura. Il posto è noto anche per la coltivazione delle giuggiole da cui si ricava il famoso “ brodo di giuggiole” talmente delizioso da cui il detto “ andare in brodo di giuggiole “. Salendo poi verso nord tra colli e vigneti pregiati perché coltivati su ottima terra vulcanica, si arriva a Valsanzibio in quel di Garzignano dove nel 1600 il nobile veneziano Francesco Barbarigo si fece costruire una villa circondata da un parco monumentale all’ italiana con interessanti alberi secolari, cascate d’acqua, statue, ed un labirinto in siepi di bosso, tutto perfettamente conservato e fruibile per il visitatore. Più avanti a Torreglia merita una sosta l’ antica distilleria dei Luxardo originari di Zara ora tra i Colli Euganei, dove si possono gustare il classico Maraschino, il Sangue Morlacco etc. Nei paraggi a Luvigliano c’è da visitare la bella Villa Vescovi del 1500 e poi volendo si può salire il Monte Rua dove sulla cima un eremo fondato nel 1500 ospita alcuni monaci in perfetta solitudine ( non sono ammesse le donne). Per completare la giornata è prassi una visita all’ antica Abbazia di Praglia dove solerti monaci oltre a pregare, preparano infusi, erbe e vini per la salute e la delizia dei visitatori. Buona permanenza !

 


Piscina termale con acqua a 34°


Paesaggio euganeo
 


Casa Petrarca ad Arquà


Parco villa Barbarigo
 


Labirinto villa


Villa dei Vescovi


Elezioni 2013:
Tutti i politici vogliono prendere la Cuccagna, ma si sporcano di grasso.




Aggiogati e spogliati, così ridotti Veneti e Italiani piacciono alla casta.




Par fortuna xè Carnevàe.




Coea crisi me sa che resto disocupada!






Mondo alla rovescia.


Veneto ultimo della classe e bastonato.
Fondi dallo Stato Italiano: Veneto ultimo. I Veneti sono gli “italiani“ che ricevono dallo stato meno denaro pro capite (Euro 3.185 pro capite). Primi i Valdostani con Euro 11.500 (chissà cosa avranno fatto per guadagnare il primo premio), poi naturalmente i Trentini con 7.000 euro ed i Friulani con 6.500, i Laziali con 6.104, i Sardi con 5.000, tutti molto bravi, meno bravi i Lombardi con 3.342 ed ultimi maglia nera i Veneti cattivi con appena 3.185. Però evviva, siamo tra i primi a pagare le tasse per cui il Veneto tra quello che ha pagato e quello che ha ricevuto dal 2001 ad oggi è in credito nei confronti dello stato italiano di 200 Miliardi (diconsi duecento miliardi) di Euro. In seguito a rimostranze sulla questione da parte dei Veneti al tempo del governo Prodi 1996, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di allora Adriana Vigneri ha risposto che con quelle richieste i Veneti stavano minando l’unità d’Italia. L’unico partito che ha fatto una battaglia politica allo scopo di riequilibrare un po’ i conti è stata la Lega ma purtroppo con pochissimi risultati stante l’ostruzionismo, mentre i parlamentari degli altri partiti se ne sono pienamente strafregati. Sarebbe ora che chiunque eletto in questa regione di qualsiasi partito alle prossime elezioni debba rispondere ai Veneti delle loro azioni e di cosa effettivamente fanno per la nostra Regione. Tutto il resto sono solo chiacchiere inutili. Meditate gente.
(dati da Corriere)










Nel frattempo, alla faccia… delle disgrazie, gustiamoci la giornata mondiale del Tiramisù,
in nostro famoso dolce trevigiano.
Ingredienti: 250 gr. Mascarpone, 125 gr. di panna da cucina, 4 uova fresche tenendo separati gli albumi dai tuorli, 5 cucchiai di zucchero, savoiardi, cacao amaro.
Preparazione: Montare a neve i 4 albumi con un pizzico di sale. Sbattere i tuorli con lo zucchero poi aggiungere mescolando il mascarpone, la panna, ed infine gli albumi.
A strati stendere la crema ottenuta con i savoiardi, imbevuti nel caffè con un po’ di liquore.
In superficie spolverare con cacao amaro e raffreddare.
Degustare con un buon vino bianco secco e…….. se ciave el mondo.





Crisi nera.
Se va avanti così ci lasciano, noi Veneti ed Italiani, tutti in... mutande !!!
Solo gli immigrati fanno fortuna qui. Sono forse diventati improvvisamente più bravi di noi o lavorano senza regole ???... e quante tasse pagano o dobbiamo pure pagarle noi per loro???
C’è nessuno tra i tanti sapientoni, politici, religiosi, burocrati, sindacalisti, giornalisti, opinionisti, quelli che non perdono occasione per parlare di solidarietà e amor di Patria, che se ne preoccupi prima che sia troppo tardi ??? o sono solo Farisei !!!





Ottobrata sul Monte Grappa.

A dispetto della crisi oscura che stiamo vivendo, anche quest'anno come da millenni,
la natura ha ostentato indifferente la sua bellezza con i meravigliosi colori dell’ autunno.

 





 





 





 








Corruzione, cancro italiano.

La corruzione in Italia viene da lontano, già all’indomani dell’Unità d’Italia. La storia di Cristiano Lobbia di Asiago ne è la testimonianza, come ci racconta Gian Antonio Stella nel suo libro “I Misteri di via dell’Amorino”. Cristiano Lobbia laureato in ingegneria ,aveva creato nel 1848 la Legione Cimbrica che si battè nei moti di quell’anno contro la dominazione austriaca, distinguendosi in alcune battaglie della prima Guerra d’ Indipendenza. Più tardi si arruolò con alcuni vecchi compagni tra i garibaldini e nel 1867 dopo l’Unità d’Italia con Firenze capitale del Regno fu eletto alla Camera dei Deputati tra i liberali. L’anno dopo nel 1868, il governo decise di affidare per vent’anni la gestione dei tabacchi monopolio di stato, ad una società privata nella persona di Domenico Balduino rappresentante della Società del Credito Mobiliare e di altri Istituti di credito che della gestione tabacchi non avevano assoluta esperienza ma anticipavano allo Stato 180 milioni di lire ( di allora !). Era una convenzione iniqua osteggiata da molti deputati tra i quali Giuseppe Lanza presidente della Camera e Quintino Sella che erano contrari all’appalto delle imposte che riservava poco allo stato, molto agli appaltatori e spremeva la gente. Ma la legge fu approvata grazie a consistenti elargizioni di svariati milioni sottobanco al re ed a molti deputati. Dopo poco però Giuseppe Ferrari repubblicano e federalista, chiese ed ottenne che fosse costituita alla Camera una Commissione d’ inchiesta sull’affare dei Tabacchi ed il Maggiore Cristiano Lobbia annunziò alla Camera che era in possesso di documenti e testimonianze sul caso.
La sera prima di essere convocato dalla Commissione, il Lobbia mentre transitava verso mezzanotte in via dell’Amorino dove abitava un suo amico, venne aggredito da un individuo che lo pugnalò tre volte ma pur ferito riuscì con alcuni colpi di pistola a mettere in fuga l’aggressore riparando poi nella casa dell’amico. Per fortuna non aveva avuto ferite gravi ma nei giorni successivi era continuamente spiato e seguito la strani figuri e per di più ricevette dalla magistratura ordine di comparizione in tribunale accusato di simulazione di reato. Il 26 ottobre 1869 iniziò il processo farsa ed il tribunale, i cui magistrati nominati era contrari al Lobbia, compiacente al potere, non diede tempo ai difensori di leggere le carte, rifiutò la prevista autorizzazione della Camera nonché il ricorso in Cassazione, non accettò le testimonianze a favore di molta gente e di tre generali ritenendo invece valide le testimonianze di persone per vari motivi ricattabili. Il Lobbia accusato di essersi inventato tutto, fu condannato ad un anno di penitenziario militare, sentenza che diede luogo a molte manifestazione di piazza a favore del condannato. Il re nell’occasione della nascita del futuro Vittorio Emanuele III concesse un’ amnistia che Lobbia ed i suoi amici rifiutarono perché volevano un nuovo processo.
Solo nel gennaio del 1875 a Lucca il caso fu riaperto e fu dimostrato che non c’era alcuna prova che il Lobbia abbia inscenato l’attentato per cui fu pienamente assolto ma i giornali di allora, prima molto prodighi di notizie sul primo processo, relegarono la notizia in posti appena leggibili. Per Cristiano Lobbia, un persona onesta e di intransigenza morale, questa amara esperienza segnò la sua vita e demoralizzato ed avvilito morì a soli 50 anni e venne sepolto nella sua Asiago. Per ironia della sorte si ricordò di lui la moda: quando dopo l’attentato Lobbia esibì in Parlamento il cappello pestato al centro da un colpo di bastone, un cappellaio fiorentino lanciò la moda dei cappelli schiacciati nel mezzo che da allora si chiamarono “Lobbia”. Così va il mondo e la politica in Italia.




Se al posto dello Stato Italiano ci fosse la Repubblica di Venezia “el Batman“ avrebbe beccat
“sette anni a remar coi ferri ai piedi nelle galere“ con dimagrimento assicurato.
Ma tipi come Batman non avrebbero avuto vita sotto la severa giurisdizione della Serenissima
perché ci avrebbero pensato “i Scansador a le Spese Superflue“ a bloccarlo in tempo.
Il loro scopo era infatti di controllare il funzionamento degli uffici pubblici, la loro utilità
ed eliminare le cariche inutili e dannose per la collettività e le relative prebende ingiustificate.
“Cossa spetémo a copiar semplicemente el passà par castigar tuti i deinquenti che ghe xe”!







Elezioni Americane.

Tutto il mondo ha ammirato l’efficienza delle ultime elezioni americane che seguono tuttora la procedura ispirata dalla Costituzione Repubblicana del 1787. E’ orgoglio per noi Veneti ricordare che in quella lontana occasione, una delegazione di Saggi dei primi Stati Americani per ben documentarsi prima di redigere la Costituzione, visitarono alcuni paesi europei tra i quali Venezia che a quel tempo tra Regimi Assolutistici, era l’ unica Repubblica esistente al mondo ed era retta da un sistema elettorale effettivo ed universale in quanto tutte le cariche politiche ed amministrative lo prevedevano.
Pertanto è bello pensare che un po’ dell’antica saggezza politico-amministrativa veneziana sia stata travasata in quell’occasione nella nuova Costituzione-Elezione americana.




  Nel Museo di Selva di Cadore è conservato
un cippo confinario di epoca preromana
con scritte venetiche ritrovato vicino
alla sommità del Monte Pore a 2400 metri,
unica montagna di origine vulcanica tra i
maestosi gruppi dolomitici del Pelmo,
del Civetta, dell’ Averau-Nuvolau,
e delle Tofane. Dai tempi più antichi
questa montagna con rocce ricche di ferro
era fortemente contesa per avere
il prezioso minerale.




Salita Monte Pore in una bellissima giornata d’Agosto.

 


Verso il Monte Pore


La pecora nera

 


Sulla cima del Monte Pore


La Marmolada

 


Il Nuvolau-Falzarego


Il Civetta




Nel Museo di Belluno si possono vedere i resti di un cacciatore di 12.000 anni
del periodo Epigravettiano trovati in una grotta della Val Rosna-Val Cismon durante i lavori
di ampliamento della strada, ricoperti con pietre dipinte con l’ocra raffiguranti disegni stilizzati.







Sopra Cortina, sulle Tofane, è stata trovata dell'ambra con imprigionati acari che studiosi
dell'Università di Padova fanno risalire a 230 milioni di anni fa, i più vecchi del mondo.







Molto interessante è la zona archeologica di Lagole-Calalzo insita nell’ attuale area naturalistica-termale.
Già nel V secolo A. C. o anche prima era un importante centro della civiltà per gli antichi Veneti, per i Celti e poi Romana, legato alle sorgenti di acque carbonate e solforose terapeutiche per varie malattie.
Nel laghetto alimentato dalle sorgenti dove si immergevano gli infermi, sono stati rinvenuti una stipe votiva all’antica divinità veneta Tribusiate Sainate, triforme e sanatrice, identificabile con la veneta-atestina Reitia e parecchi ex voto, quali tazze per la libagione, manici di tazza con iscrizioni votive in venetico, statuette rappresentanti animali, figure umane e pezzi anatomici. Ricorreva la parola Teuta che in veneto antico significava comunità quale conferma che era un punto importante di incontro per le genti del territorio.
Il sito con le sorgenti tuttora attive, tra i boschi e le acque sorgive che creano l’incantevole laghetto detto delle Tose, conserva incredibilmente la sua antica e mistica atmosfera che attraeva un tempo le antiche genti del Cadore. I numerosi reperti sono ora esposti al Museo di Pieve di Cadore, mostra importante per la conoscenza dell’ antica civiltà venetica.

 


 


 




Calalzo - Borgata Rizzios.

Addossate al ripido costone della montagna, in mezzo al bosco, un gruppo di antiche case alcune ancora in legno stile cadorino. In una di queste nacquero i Fratelli Frescura fondatori alla fine del 1800 della prima fabbrica di occhiali del Cadore e d’Italia. Ora è in vendita.

 





 








Val Morel nella Val Belluna, famosa per i racconti “I Miracoli di Val Morel di Dino Buzzati, originario del luogo, è un posto davvero magico: Il paesaggio dolce a prati e boschi ben curati e le case semplici ma ordinate danno l’impressione di un modello perfetto, una simbiosi unica tra la natura e l’uomo. Poi, dentro il bosco di abeti che fiancheggia la strada che sale la montagna, si ha la certezza di essere entrati in un antico silvestre mondo magico del quale avevamo perso la memoria: tra gli alberi appaiono di quando in quando inattese figure misteriose di gnomi, folletti, animali fantastici intagliati negli alberi da artisti locali che sono un tutt’uno con il bosco vivente. La fantasia umana per fortuna sostituisce la persa memoria e ci sorge un dubbio che non è solo immaginazione ma può essere vero.

 





 





 








Valle del Mis - Belluno. Amica Acqua.

In una giornata torrida d’agosto, quando nell’ora più calda, la terra, le rocce, l’aria, gli alberi e naturalmente gli uomini sono oppressi dall’ impietosa calura, stanco e accaldato ho immerso i piedi nella limpida e fresca acqua che scende nei Cadini del Brenton. Dono più bello non potevo ricevere dal Cielo e dalla Terra. Poi ho risalto la valle del Mis selvaggia e tortuosa fino al paesetto di California dove al posto dell’oro ho incontrato la pioggia che d’estate vale più dell’oro.

 








Mel ed il Castello di Zumelle.

La bella cittadina di Mel nella Val Belluna, ricca di edifici rinascimentali, è stata fin dal VIII secolo A.C. un importante insediamento Veneto antico dell’ età del ferro testimoniato dalle numerose necropoli ritrovate. Vicino a Mel all’ imbocco della valle che porta al passo di Praderadego, in posizione strategica, c’è il bel Castello di Zumelle di epoca medioevale. Anticamente era un punto di controllo romano sulla via Claudia Augusta che collegava Altino sulla costa adriatica veneta a Augusta Vindelicum attuale Augsburg in Germania. La strada di carattere essenzialmente militare fu ideata da Druso e poi fortificata dall’ Imperatore Claudio nel 46 d.C. come testimonia un cippo ritrovato a Cesiomaggiore in Val Belluna che dice : Seguendo il tracciato che per primo suo padre Druso aveva aperto verso la Germania fece fortificare da Altino al Danubio per 350.000 passi . La strada partendo da Altino sulla costa risaliva il fiume Piave poi alle Prealpi nei pressi di Cison di Valmareno per il passo di Praderadego arrivava in Val Belluna, Feltre, Croce d’Aune, Faller, Lamon, Castello Tesino, Borgo Valsugana, Trento, Bolzano, Merano, Passo Resia, Danubio.

 





 







D’estate, sul Monte Grappa anche le rocce fioriscono.

 

 

 




Sul Monte Avena, il famoso astronomo Petrus Sanctus, con un telescopio di sua invenzione,
sta scrutando il cielo alla ricerca del pianeta ancora sconosciuto della “Vera Felicità”.






Agordo - Canale d’Agordo, Val di Garés.
  Dalla Val Belluna, dopo aver ammirate
le ninfee nel laghetto di Vedana,
si prende la strada per Agordo che risale
la lunga ed aspra valle del Cordevole,
dove a metà percorso, c’è l’ antico posto
di sosta chiamato “Alla Stanga” che ora
è un accogliente bar-ristorante con ancora
il bellissimo tradizionale “larin” dove
d’inverno il fuoco è sempre acceso
per accogliere i viaggiatori infreddoliti.










Canale d’ Agordo, tipico paese agordino, è famoso per aver dato i natali a Papa Luciani-Giovanni Paolo I,
Papa per un mese. Nel bel paese ci sono ancora parecchie vecchie case di montagna piene di fiori.
Risalendo la valle si giunge a Garès dove si può mangiare (bene) al Rifugio-Ristorante Comelle
ed ammirare tra meravigliosi prati e boschi racchiusi da alte montagne le cascate di Garès.

 

 

 

 




Un tuffo nella preistoria sulle... Dolomiti Bellunesi.

Dopo l’ultima glaciazione “Erano davvero molto lunghi i tempi allora. Le albe si susseguivano meravigliose ed arcane al illuminare scene di caccia temerarie e necessarie, scandite dai ritmi immutabili dei millenni “Per ritornare a quei tempi, in quei luoghi rimasti pressoché immutati e provare primitive emozioni, basta a piedi prendere il sentiero che parte da Passo Giau che sta tra la Val Fiorentina e la conca di Cortina, risalire la forcella Giau costeggiando la grande muraglia dei Lastoni di Formin ed affacciarsi agli alti prati di Mondeval, con le Tofane ed il Pelmo , il Re delle Dolomiti, da millenni maestosi testimoni. Qui, sopra i 2000 metri, in questi prati aperti percorsi allora da cervi maestosi, orsi ed altri animali, cacciava l’uomo del Mesolitico con quel poco che disponeva, riparandosi dalle intemperie sotto grossi massi di pietra sparsi sul terreno. Sotto uno di questi un appassionato ricercatore Vittorino Cazzetta nel 1987 fece la sensazionale scoperta della sepoltura e dello scheletro integro di un cacciatore di 7.000 anni fa, corredato dei suoi utensili in pietra che ora si possono ammirare nel bellissimo museo di Selva di Cadore (Belluno).

 


Passo Giau


Lastoni di Formin

 


Tofane


Becco di mezzodì e prati Mondeval

 


Pelmo


Cacciatore di 7.000 anni fa

 


Sasso riparo


Scheletro del cacciatore





Il 19 maggio è stato inaugurato ufficialmente il
Sentiero degli Ezzelini lungo il Muson.

Sentiero lungo il Muson, Sentiero dell’ Amicizia.

Chiusi nelle nostre macchine, sempre di corsa, non abbiamo più tempo di fermarci con gli altri per i saluti
o per scambiare qualche frase di cortesia come era buon costume un tempo quando la vita era a misura
d’uomo e non di macchina. A poco a poco la frenesia moderna ci ha fatto perdere questa buona abitudine
che è un’esigenza umana per mantenere i buoni rapporti sociali.
Ora il nuovo sentiero pedonale lungo il Muson, oltre che permetterci di fare un po’ di moto, di godere di
una bella giornata di sole, del verde, dell’acqua che scorre e di un po’ d’aria pulita di cui abbiamo bisogno,
ci dà l’opportunità camminando, di riprendere la bella abitudine di un tempo di dare un saluto a chi si incontra, di scambiare qualche parola o chiacchiera, di rinnovare magari dopo anni un’amicizia dimenticata e di
conoscere altre persone che frequentano questo sentiero con la stessa passione per la natura e lo sport,
allacciando con l’occasione anche nuove simpatiche amicizie.
Per tutto questo, un grazie a chi ha progettato e fatto questo bel Sentiero, vera opportunità per tutti noi.

Gli amici del Muson.

 

 

 

 

 


Un gruppo scolastico portava un particolare “albero della natura”
dove c’erano fiori e pensieri:


  “La Terra è madre di tutti gli esseri viventi
ed è sorgente di vita qualunque forma essa prenda: di fango, di pietra, di pianta.
Ricorrere alle sue risorse significa perciò riconoscere e tributarle un dovuto rispetto e ringraziamento per “sopportarci“ da millenni”.




Parco Naturalistico Risorgive “Le Fontane Bianche” Fontigo,
Moriago della Battaglia-Sinistra Piave

“Laudato sì, mì Signore, per sor’acqua
La quale è multo utile et humile,
et pretiosa et casta”
(dal Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi)

Dalla terra sgorga una sorgente d’acqua limpida e fresca che proveniente da chissà dove,
per vie misteriose appare qui come per miracolo.
È l’ennesimo segno che la Natura è amica dell’Uomo e per questo è doveroso rispettarla.

 

 

 




"Laudato si', mi' Signore per sor'acqua,
la quale è multo utile, et umele,
et pretiosa et casta"

Cantico delle creature di San Francesco D'Assisi.




Isola dei Morti - Grave di Papadopoli - Moriago della Battaglia.

 

Testo della canzone del Piave di E.A.Mario:

“Si vide il Piave
Rigonfiar le sponde
E con i fanti
Combattevan l’ onde,
Rosso del sangue
Del nemico altero,
Il Piave comandò
Indietro lo straniero.”





E’ stato presentato a Vicenza il libro di Massimo Malvestio
“La Mala Gestio: perché i Veneti stanno tornando poveri”.
Riprendendo vecchi articoli scritti per il Corriere veneto, Malvestio fa una radiografia e mette in risalto come una cattiva gestione economica della politica abbia portato ai Veneti notevoli danni e per giunta la beffa che chi li ha provocati ,continua come se niente fosse a dirigere i posti di comando.
I casi sono molti, dalle partecipazione alle Autostrade ed altre Società private che nulla hanno di istituzionale e che si sono risolte generalmente con perdite per le Amministrazioni.
Una gestione semplicistica e senza una vera strategia programmatica ma condita con slogan e dichiarazioni ad effetto che hanno consentito a questa classe dirigente di perpetuarsi e garantirsi i privilegi che sono sotto gli occhi di tutti. La radice di questa situazione vergognosa sta a monte nella partitocrazia, quando i partiti (tutti) hanno messo su posti di alta responsabilità persone a loro gradite e fedeli ma senza meriti, incompetenti all’ impegno che assumevano e perciò causa di enormi dissesti sia nella gestione che nella finanza.
Al contrario di questo andazzo istituzionale c’è però per fortuna un Veneto che si sa organizzare nel sociale in molteplici associazioni allo scopo di perseguire con coesione valori comuni e che con il lavoro serio, la ricerca e la formazione riesce ancora a competere nella sfida globale ed avere un posto in quel mondo dove la parola incompetenza è sconosciuta. Ma se contemporaneamente per tamponare un deficit pubblico che non sono capaci o vogliono ridurre, il Governo impone un’ abnorme tassazione che ha raggiunto per le imprese il 68,6 per cento senza uguali, l’energia e i carburanti più cari al mondo, i servizi più scarsi, è chiaro che questa situazione insostenibile porta inevitabilmente alla chiusura di molte imprese, licenziamenti, giovani senza futuro e purtroppo anche a casi disperati di suicidio.
Se il Governo di Roma sa solamente imporre tasse ed è sordo alle grida di dolore di chi a causa di questa gravissima crisi si trova in estrema difficoltà arrivando anche al suicidio, la Regione Veneto invece con il suo Presidente Luca Zaia e gli assessori competenti Ciambetti e Coppola, nel solco della tradizionale solidarietà veneta, hanno raccolto subito queste grida di aiuto e tempestivamente con facili e rapide formalità, hanno creato un fondo per anticipare la liquidità a quelle imprese che hanno crediti certificati ma ancora non esigibili nei confronti di privati o delle pubbliche amministrazioni.
Un piano straordinario contro la crisi. Lo Stato e le Banche non sono in grado di farlo, il Veneto si.
Un segnale forte per dott. Monti

Il Presidente Napolitano ha detto che gli evasori fiscali sono indegni di essere Italiani ma si è dimenticato di tanti altri da aggiungere alla lista: quelli che non rinunciano ad un Euro dei loro favolosi stipendi, che accumulano cariche su cariche con un’ ingordigia bulimica, quelli corrotti che rubano in continuazione alla Stato cioè a noi, quelli che spendono e sprecano allegramente soldi dello Stato cioè i soldi a noi prelevati, guadagnati con vero e duro lavoro, la burocrazia irresponsabile che soffoca la gente, quelli che ci raccontano in tv o nei giornali le quotidiane bugie, i mafiosi che strangolano l’Italia, i banditi che ogni giorno terrorizzano la gente, gli spacciatori di droga venuti da fuori (accolti amorevolmente come profughi) che distruggono la nostra gioventù.
Sono talmente tanti gli indegni che è meglio non fare il conto!
A proposito di Casta : da ben 316 giorni un veneziano Gaetano Ferrieri è accampato in piazza Montecitorio a Roma davanti al Parlamento per protestare contro la Casta. Nessun giornale o tv ne ha mai dato notizia. Ora è stato allontanato dai vigili del nucleo Decoro Urbano di Roma.
Al posto di risolvere è più facile nascondere.

Ma per fortuna c’è ancora la primavera



Personaggi veneziani del 1700.
Il 700 Veneziano che la storia ufficiale descrive come il secolo della decadenza di Venezia e della sua vita effimera, ebbe invece grandi personaggi che influirono non poco nella cultura europea dell’epoca. Tutti conoscono nella pittura le opere del Canaletto, del Bellotto, del Guardi, dei Tiepolo, del Piazzetta, del Longhi che operarono anche nelle corti europee e nella musica le composizioni di Antonio Vivaldi, Benedetto Marcello, Baldassare Galuppi, Tommaso Albinoni, nel teatro di Carlo Goldoni e di Gaspare Gozzi, e nelle lettere lo stesso Giacomo Casanova che scrisse la poderosa ”Storia della mia vita” e le poesie di A.M. Lamberti che scrisse tra l’altro la famosa canzonetta “La biondina in gondoeta“ ma ci sono altri personaggi importanti che sono stati alquanto dimenticati.

Francesco Algarotti: chi era costui? Caduto nell’ oblio ed ora riscoperto dall’ Università di Stanford.
Fu un eclettico veneziano del 700, intellettuale, filosofo, gran viaggiatore, poliglotta, che nel secolo dei Lumi fu uno dei principali divulgatori delle idee illuministiche e progressiste, grazie alla sua eccezionale capacità di intrattenere rapporti con le più importanti personalità del tempo, dagli scienziati delle Università di Padova e Bologna, alle Società Scientifiche inglesi e francesi, dalle celebrità quali Voltaire, Celsius, Maupertuis ed altri, ai sovrani più illuminati e potenti d’Europa quali Federico II di Prussia, Augusto III di Sassonia, grazie anche al grande successo ottenuto dalla sua opera
“Il Newtonianismo per le dame“ che a quel tempo ritenuta sovversiva fu dal clero naturalmente messa all’ indice.

Giorgio Baffo, patrizio veneto, magistrato nonché poeta satirico ed erotico del 700, osteggiato al suo tempo, poi dimenticato ora riscoperto.

Sto andar in leto co xe sera,
sto averse da vestir e despogiar,
sto pensar ogni zorno per disnar,
sto pagar el salario alla massera.
Un abito vestir de primavera,
un altro quando el sol me fa suar,
un altro co i scomenza a vendemar,
un altro co la neve xe par tera.
Sto pissar, sto cagar, sta malatia,
che una cosa che ancò la me par bona,
doman una gran buzzara la sia.
La xe una vita tanto buzzarona,
che al cospetto de Dio me mazzaria,
se al mondo no ghe fusse più la mona.

Venezia - i 100 anni del ricostruito campanile di San Marco
Crollato il 14 luglio 1902 il vecchio campanile si San Marco senza provocare ne danni ne vittime, semplicemente adagiandosi su se stesso, fu subito deciso di ricostruirlo “dov’era e com’ era“ e dieci anni dopo il 25 Aprile festa di San Marco, fu inaugurato il nuovo campanile alto 98,60 metri che tuttora domina il panorama di Venezia e ammiriamo.




Colli Asolani, tra antiche dimore una nuova primavera.
 

 




Lo Statuto della Regione Veneto e l’Autogoverno del Popolo Veneto.
“L’Autogoverno del Popolo Veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni
della sua storia“ art. 2 Statuto della Regione Veneto.
La Lingua Veneta come Lingua del popolo Veneto.
“Le specifiche parlate storicamente utilizzate nel territorio veneto e nei luoghi in cui esse sono
state mantenute da comunità che hanno conservato in modo rilevante la medesima matrice
costituiscono il veneto o la lingua veneta“ art. 2 legge regionale 13 aprile 2007 n° 8.



Il Grappa con la neve.





  Questo gravissimo incidente ha purtroppo
dimostrato ancora una volta platealmente
a tutto il mondo la stupida supponenza
e bambinesca incoscienza di una certa
casta o meglio cricca italiana che
malauguratamente spesso ci rappresenta.
Che voto dovrebbero darci le agenzie di
rating dopo una cazzata del genere?
Anche a Venezia abbiamo di questi
personaggi che tuttora sostengono che
le grandi navi nel Bacino di San Marco
possono transitare e non costituiscono un
pericolo (tempo fà dicevano invece il
contrario). C’è voluta una catastrofe come
quella del Giglio per capirlo.
Povera Italia !







Poesie in venessian de Luisa Scrizzi Guerrini.

L’Amore è….sostenersi a vicenda (problemi esistenziali)

El xe tuto un programma
sto discorso, lo savemo,
che pol esser anca drama
se dabon no’ ragionemo.

Xe ‘na lege de Natura
par i bei, par i bruti;
cofà l’ora xe maura,
la rebalta tuto e tuti !

Tuto casca a sto mondo,
e se anca xe difeto,
la fortuna xe in fondo..
na’ manina.. un spagheto !


Altre poesie su: "Art Gallery"




Buone notizie:
il Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano batte la Crisi
  Con 65 milioni di bottiglie nel 2010 in 8 anni
ha raddoppiato le vendite, ed allora vista questa prestigiosa performance, brindiamo
al 2012 col Prosecco sperando che ci trascini
al successo !





Aviso ai Poitici par el 2012
Atenssion, el Leon rugisse ancora e se uno slonga a man par aprofitàr, el ghe a magna.
Poitico avisato, mezo salvato!






Il Veneto impiccato

La crisi mondiale ed italiana in particolare oltre ai licenziamenti di molti operai, ha causato ben 40 suicidi di piccoli imprenditori nella nostra regione che per difficoltà finanziarie, hanno preferito togliersi la vita che reggere all’ impossibilità e alla vergogna di dar seguito agli impegni presi con i propri dipendenti e clienti.
Sono i piccoli imprenditori che fino a ieri erano sbeffeggiati e criticati dalla“ intellighenzia italiota sinistroide” che li etichettava come sgobboni, avidi, ignoranti etc.
e che ora sono vergognosamente dimenticati.
La Casta, il Clero, i vari Presidenti, I Ministri, i Grandi Industriali, gli Intellettuali famosi non hanno spesa una parola per queste vittime della loro incompetenza o ingordigia. Per altri ci sono parole a iosa. Solo Beppe Grillo e qualche giornale locale si sono ricordati di loro. Ora dopo la 40 ° vittima quella di Giuseppe Schiavon strangolato dai” crediti !! “non esigibili ( anche dello Stato) e un appello del giornalista Dario di Vico sul Corriere diretto al Presidente Monti forse qualcuno si sveglierà dal sonno e prenderà coscienza di questa tragedia. Povera Italia e che 150° disgraziato!







Non occorre essere dei genii...
Un famoso giornalista/opinionista internazionale ha scritto che le tanto temute Agenzie di Rating danno i voti senza cognizioni di causa ed oltre aver fatto in passato madornali errori, continuano a sputare sentenze non comprovate da dati e valutazioni certe, che però pesano negativamente sulla vita dei paesi e della gente di tutto il mondo. Ma ci si pone una banale domanda: perché si chiede l’uomo della strada, se queste valutazioni sono cervellotiche c’è chi le prende sul serio come i Fondi di Investimento internazionali, gli speculatori e qualche paese? Evidentemente c’è un accordo o meglio una ”combine” tra valutazioni artificiosamente campate in aria e chi spudoratamente specula.
Qualcuno ha interesse a fare la guerra a qualche altro? A buon intenditor poche parole !





  Col radicio de Castéo, olè,
te deventi un toréo!





Magnari de stajon racomandai.
  - Fasòi, poénta e poeastréo
se leca i dei anca el putéo!


  - De sti tempi
un piato de tajadée col fungheto,
el xe un piato benedeto!


  - Pan e nose fa vegnér el late ae spose!


  - Verze, museto e puré, un magnar da re!


  - Pan fresco, sopressa de casada, bon vin
xe l'ideae par un otimo spuntin.




25 Aprile Festa di San Marco
 

La Milizia Veneta rende onore
al vessillo del Leon.
Il colore azzurro della divisa
della Milizia riprende quello
tradizionale degli aurighi veneti
che gareggiavano nelle corse
dei cavalli ai tempi
dell’antica Roma.











 

Per combattere le stragi sulla strada
idea choc a Vigonza-Padova
dove in vari incroci sono stati esposti rottami di auto incidentate
con scritte in veneto che di sicuro
faranno pensare i giovani.

Corriere.





PRESENTIMENTO
 

Co ga scomissià a girar e machine
e go visto soea strada
el primo gato morto,
me so impressionà.
Da aèrora, dopo de queo,
go visto tanti gati e cani
drio a strada distirai
e go pensà:
vuto vedàr che dopo
ghe toca anca ai omani a stessa sorte,
parché a veocità
ciama a morte.(s.p.)





1° Marzo
 

Capodanno Veneto e batti marso.






A proposito di Crisi:
 

quando usciremo dal tunnel…
…ci sarà tanta nebbia!





Deisie de staion
 

Sparasi e ovi


 

Risoto de bruscandoi



Ricordi
 

Era il solstizio d’estate del 1918
ed i narcisi profumati, i ranuncoli gialli,
gli azzurri nondiscordardimè
e cento altri fiori rivestivano
gli aerei prati dei Colli Alti sul Grappa.
All’ improvviso,
il canto lugubre della mitraglia cominciò
a falciarli e con loro, molti uomini caddero
tra quei fiori spezzati e sangue copioso
bagnò quella terra.
L’anno dopo, quando tutto era finito,
i fiori spuntarono nuovamente,
belli, profumati, innocenti,
come nulla fosse accaduto.
La natura non si era accorta
di quella tragedia.
Solo il nostro ricordo ne mantiene
la memoria.




I nuovi eroi
 

Gli eroi combattono ancora
sulle strade del Giro e del Tour
contro gli altri e contro se stessi.
Lottano contro il tempo e la paura,
contro la sorte avversa,
contro la fatica e la sfiducia,
contro pianure infuocate,
contro montagne ostili e gelate,
contro un muro di gente urlante.
Hanno lo spasimo dell' ultima sofferenza
di chi ha una sola occasione
per essere acclamato Eroe.

s.p.





A Ramon di Loria grande Festa Alpina.

 

Dopo la cerimonia
ed il pranzo comunitario,
le vecchie canzoni alpine e popolari
dell’ orchestrina “ El Canfin”
ci hanno allietato con le genuine,
allegre melodie dei nostri monti:
-Le stellette, Figli di nessuno,
La colpa fu, Cuore Alpino,
La Gigia l’è malada, Chiesetta Alpina,
El barcarol del Brenta, Le mie valli,
Vinassa Vinassa, Sul rifugio,
La Teresina, Sul ponte di Bassano etc. Una boccata di aria fresca!
www.fonola.it







IL MONTE GRAPPA
Quante volte il Grappa
ci ha accolto a braccia aperte
tra i suoi boschi odorosi e prati fioriti
sopra pianure nebbiose,
montagne,terre e mari lontani,
in solitudine o in allegra compagnia.
Ci ha donato
i profumi della primavera,
il calore ed il fresco dell’ estate,
gli incredibili colori dell’ autunno,
il sole nella neve dell’ inverno,
senza chiederci nulla,
solo un po’ di fatica e poesia.
Le sue rocce antiche ed eterne,
la sua storia semplice ed epica,
le sue albe e tramonti dorati,
le stelle alpine che adornano le pareti,
i fiori che impreziosiscono i prati,
i nuovi Icaro che volteggiano nell’ azzurro,
gli Sportivi che scalano la cima
la Madonnina che sta sulla vetta,
ci dicono che è la Montagna più vicina al Cielo
dove i Caduti riposano
tra i fiori d’estate e la neve d’inverno.
(Sante Petrini)






Il Piave, un’Arteria vitale del Veneto
L’ Epopea del Fiume dall’Età della pietra alla globalizzazione.


Testo su: "Note Storia"





Il mondo alla rovescia, ovvero nel paese dove:
 

-La repubblica è fondata sul lavoro
ma ha il record europeo delle
tasse sul lavoro.

- Il mondo rovesciato sarà difficile
raddrizzarlo, poi essendo rotondo...










Na bea tradission.
 

Aea seconda domenéga dopo Pasqua,
xe costume dea zente de Loria de andar
come da antica tradission e devossion
in peegrinajo aea Madona de Sendroe.
Dopo a messa soéne, tuti se ritrova
aea Caneva dei Biasi par na bona marenda
a base de fugassa, ovi, sopressa e vin bon
in alégra compagnia.
Albino che da ani el xe animatore de sto
incontro, za da qualche dì el se ga dato
da fare par preparar e fugasse coi ovi
de casa, el ga impastà e fato levar a
massa diverse volte come vol a régoea
e dopo le ga cusinàe sol so forno a legna,
mandando un profumo e na fragansa uniche.
Altro che quee industriai ! Bisogna esser
grati a Albino e quanti par passion i porta
vanti sta tradission che a ne permette
de tornar par un dì ai tempi passai fora
ell’anonimo e banàe andasso moderno.











L'erba e el forajo: un regaeo dea Natura.



Testo su: "Note Storia"





D’Estate quando il Monte Grappa diventa un giardino
dove i fiori sbocciano su antichissimi libri di pietra
che raccontano la storia della terra.

































La ”villeggiatura” delle mucche in montagna d’estate
 

- Al mattino bevono
e si bagnano nel laghetto



 

- Poi libere vanno a pascolare
nell’aria fresca tra fiori
ed erbe profumate



 

- Fanno qualche incontro



 

- Nel pomeriggio, quando il caldo
si fa sentire, si riposano tranquille
osservando il panorama.



 

- Per questo, nella quotidiana mungitura,
ci regalano un ottimo latte che darà
uno squisito formaggio,
specialità per i buongustai.






Eroi Veneti ora dimenticati, quando Venezia sosteneva da sola
lo scontro secolare con il potente Impero Ottomano.

 

Questi Eroi e Capitani da Mar sono i figli della Serenissima che nei suoi 1200 anni di storia ha sempre lottato per difendere il suo territorio e la sua libertà di azione in particolare contro il potente Impero ottomano, le imprese dei quali ebbero a quei tempi fama e ammirazione internazionali per poi essere dimenticati dalla “storiografia ufficiale, che solo Gabriele D’Annunzio” celebrò nella Poesia “ La Canzone dei Dardanelli.” I nomi di Lazzaro Mocenigo, Biagio Zulian, Cattarin Corner, Angelo Emo,Francesco Morosini, Sebastano Venier, Marcantonio Bragadin e tanti altri che hanno fatto la storia di Venezia, d’Italia e d’Europa sono praticamente scomparsi dai libri di storia mentre sono riportati personaggi ed avvenimenti di molta minor importanza. Nessuna pagina riporta il sacrificio di Biagio Zulian da Capodistria e di sessanta soldati che nella lunga guerra d’assedio di Candia ( oggi Creta) durato ben 22 anni( il più lungo assedio della storia), appiccò il fuoco al deposito delle polveri nello scoglio di San Teodoro per non farlo cadere in mano turche, azione che suscitò quasi l’incredulità e l’ammirazione perfino del Re Sole. Ma come si può cancellare mille anni di storia e di civiltà Veneta come sta facendo la Croazia che ora occupa le coste Istriane e Dalmate già Venete, ottenebrata da un nazionalismo stupido che non porta ad alcun futuro. Con che cosa sostituisce i nomi di quelle Regioni (Istria e Dalmazia vecchie di millenni) di quelle Città, quelle Chiese, quei Monumenti, quell’ aria particolare che la civiltà Veneta diffondeva, con il vuoto della storia ?. Dopo la pulizia etnica anche quella storica e culturale. E la “storiografia ufficiale Italiana” riporterà sempre e solo “ La disfida di Barletta”, il Tumulto dei Ciompi, Pier Capponi, I Vespri Siciliani, Pietro Micca ”e continuerà a dimenticare le gloriose imprese della Serenissima? La storia di Venezia è sempre stata in primo piano negli avvenimenti italiani, europei e mondiali, perciò è doveroso per noi Veneti ricordarla e tramandarla.

Testo su: "Note Storia"







Discorso di Perasto
Discorso di Perasto (Dalmazia) pronunciato il 23-08-1997 al momento dell’ ammaina bandiera del Gonfalone di San Marco, deposto sotto l’altare della chiesa di Perasto,l’ultima città a restare veneziana dopo la cancellazione della Repubblica Veneta avvenuta il 12-05-1797 ad opera di Napoleone.

“ In sto amaro momento,in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, al Gonfalon de la Serenissima Republica, ne sia de conforto, o citadini…….

Savarà da nù i nostri fioi, e la storia del zorno farà savér a tuta l’Europa,che Perasto la ga degnamente sostenudo fin a l’ultimo onor del Veneto Gonfalon, onorando co sto ato solene e deponendolo bagnà del nostro universal amaro pianto….

Par 377 ani le nostre sostanse, el nostro sangue, le nostre vite le xe sempre stae par Ti S. Marco e felicissimi sempre se gavemo reputà Ti con NU,Nu con Ti e sempre con Ti sul mar semo stai ilustri e virtuoxi: Nisùn co Ti ne ga visto scampàr, nisùn co Ti ne ga visto vinti e spauroxi…

Ma xa che altro no ne resta da far par Ti, el nostro cor sia l’onoradisima to tomba e el più duro e el più grando elogio le nostre làgreme.

Capitan Giuseppe Viscovich





A storia dea poenta



Testo su: "Note Storia"





Le Stagioni
Mutano le stagioni,
anno dopo anno,
da secoli e da millenni
e continueranno a mutare nei tempi.
Sono un segnale grandioso del misterioso Universo
del quale noi siamo momentanei stupefatti spettatori.

 


Primavera

Estate
 


Autunno

Inverno




El vecio larìn
 

Miet sol Monte Tomba el xé un posto
speciae parché quando se riva a piè,
in bici o in machina,
specialmente nea stajon freda,
ghe xé sempre un bel fogo alegro
sol vecio larìn
che scalda el corpo e l’animo.
Se dopo te ghe zonti un otimo piato
de cusina nostrana
e na carafa de bon vin, in alegra
compagnia, te passi un momento
veramente straordinario.
Provare par credere.





Percorso storico per ricordare
Guerra 1915-1918 sul Monte Grappa e Ortigara

Nell’ avvicinarsi al Centenario della Prima Guerra Mondiale (1914-1918) durante la quale il fronte Italiano si svolse e sconvolse il Territorio Veneto, è suggestivo e commovente ripercorrere a piedi in varie tappe il teatro di quella guerra e scoprire dopo quasi cento anni i resti ed i segni lasciati dalla grandiosa battaglia che si svolse lungo alcune centinaia di chilometri
dall’ Adamello fino al Carso Triestino.
Il punto centrale di quell’ epico scontro fu il Massiccio del Grappa che si erge al centro dello schieramento e fu il fulcro delle operazioni nella seconda parte della guerra dopo Caporetto. Tutto il crinale del Massiccio del Grappa che va dalla Val Sugana alla Valle del Piave con un’altitudine di 1400-1700 metri è tuttora segnato da cippi commemorativi e da resti che ci ricordano il sacrificio di tanti soldati che in prima linea, prima dovevano sopravvivere alla freddo feroce dell’ inverno e d’estate alla all’ arsura opprimente, per poi combattere e possibilmente vincere o morire. Partendo da ovest sul Col Moschin dove oltre il baratro della Valsugana il fronte proseguiva nel vicinissimo Altopiano di Asiago, con il Monte Fior, Cima Dodici e l’ Ortigara teatri di altre sanguinose battaglie, una colonna antica romana ci ricorda che il IX Reparto d’assalto Arditi nel giugno del 1918 con una decisa contro offensiva cacciò da quel posto strategico e dai vicini col Fenilon e Fagheron le forze austroungariche che già li avevano occupati. Ogni anno la brigata Folgore IX Reggimento Paracadutisti d’assalto col Moschin, custode della bandiera degli Arditi, si ritrovano sulla cima per ricordare.

 


Col Moschin


Ortigara

Testo su: "Note Storia"



NEVE A VENEZIA
E’ caduta un po’ di neve a Venezia ed ha imbiancato i vecchi tetti, i camini, le barche nei rii.
Ma le barche sono ferme e vuote e dai camini non esce alcun filo di fumo.
E’ la rappresentazione struggente di un mondo lontano che non esiste più.

 



 



 



 






Momento storico per l’Arte Veneta.
 

Il Congresso degli Stati Uniti ha elaborato
e votato all’ unanimità una risoluzione
che eleva Andrea Palladio (1508-1580)
a Padre dell’ Architettura Americana
avendola influenzata in modo preponderante.
Si ricorda che il secondo presidente
americano Thomas Jefferson ha voluto
la Villa di Monticello a Charlottesville
(Virginia) costruita tra il 1768 ed il 1782
sul modello della Rotonda del Palladio a
Vicenza. In seguito pure la Casa Bianca
e molte altre residenze importanti furono
costruite sullo stile palladiano ed i “Quattro
Libri dell’ Architettura“ del Palladio
furono considerati la base
dell’ architettura occidentale.

Altri Vicentini famosi nei tempi
moderni sono:
Olindo De Pretto che scoprì la formula
E= mv2 prima della teoria di Einstein:
non c’è differenza fra materia ed energia
,si tratta di fenomeni coesistenti
tra loro nell’ etere.

Federico Faggin, padre del microcip
creato con un gruppo di ricercatori
nella Silicon Valley–Usa,
punto base dell’ elettronica.




Veneti che hanno fatto sognare

Emilio Salgari - nel centenario



Un “ avventuriero “ veneto del 900 che ha fatto sognare con le sue imprese generazioni di ragazzi fu Emilio Salgari veronese ( 1862-1911) che dal suo studio, con la fantasia ci ha trasportato in terre lontane ed in imprese mirabolanti. Frequentò l’Istituto Nautico di Venezia per conseguire la patente di Capitano di Marina ma non riuscì ad ottenere il titolo desiderato ed i suoi viaggi si limitarono ad una navigazione di 3 mesi lungo le coste dell’ Adriatico. Tutti i luoghi ,i mari lontani, le genti che con profusione ci ha descritto nei suoi romanzi sono il frutto di assidue frequentazioni di biblioteca. Al contrario dei suoi racconti stupefacenti la sua vita fu sempre costellata da disgrazie : il suicidio del padre, la pazzia della moglie,i debiti, i figli finiti male ed infine il suo suicidio con il harakiri. Trasferitosi a Torino la sua enorme attività letteraria fu sempre ostaggio degli editori che con contratti capestro lo costrinsero a scrivere pagine su pagine in continuazione per ricevere appena il sufficiente per vivere. I suoi romanzi si raggruppano in cicli, i principali dei quali sono:
-I pirati della Malesia (I misteri della giungla nera-Le Tigri di Monpracem –Sandokan)
-I Corsari delle Antille ( Il Corsaro Nero etc)
-I Corsari delle Bermude
-Le avventure nel Far West- Le avventure in India ed altri.
Un doveroso ricordo nel centenario della sua morte.


Dopo Salgari nel 1900 altri due veneti hanno stimolato l’immaginazione di tanti lettori in tutto il mondo:

Ugo Pratt - Corto Maltese



Ugo Pratt (1927-1995) famoso fumettista veneziano e cosmopolita che fu in Etiopia durante la guerra poi in Sud America infine a Venezia dove ambientò alcuni suoi importanti racconti ( Corte Sconta,Favola di Venezia).Nel suo immaginario colto popolare diede vita al personaggio più famoso, Corto Maltese, un avventuroso marinaio inglese dei primi del 900 dal cuore d’oro, difensore degli umili,nato a Malta, figlio si un marinaio della Cornovaglia e di una zingara di Gibilterra. Convinto di esser lui stesso a decidere del proprio destino, da piccolo si è inciso sulla mano la linea della fortuna e sull’ orecchio sinistro porta un anellino d’oro simbolo dei marinai inglesi ma anche d’anarchia. Debutta con Pratt con la “ Ballata del mare salato” una storia ambientata nel Pacifico durante la 1° Guerra Mondiale a cui seguiranno mille altre avventure.
A Venezia la città magica amata da Hugo Pratt dove ambientò alcune avventure del suo personaggio Corto Maltese (L’Angelo della finestra d’Oriente-Favola di Venezia- Sirat al Bunduqiyyah e con la collaborazione di Guido Fuga e Lele Vianello Corto Sconto) a cura di Manuela Marchesani e Cristina Borghetti è stata da poco aperta in Rio Terà dei Biri la casa di Corto Maltese dove è possibile immergersi nell’atmosfera unica creata da quel personaggio singolare e dalle sue avventure.
La casa è aperta a tutti.


Milo Manara



Amico nonché allievo e collaboratore di Ugo Pratt fu Milo Manara (1945- veronese) che collaborò con Pratt nelle “ Avventure di Giuseppe Bergman” ,” Tutto cominciò con un’ estate indiana”e “ El Gaucho” Fu amico e collaboratore anche di Federico Fellini ( Viaggio a Tulum e Il Viaggio di G. Mastorna) E’ attualmente un maestro del fumetto erotico ammirato in tutto il mondo.







Pillole



In Italia ci sono 10 categorie di Generali (Generale di Stato Maggiore etc…)che moltiplicati per X numero danno in totale Y Generali con un ottimo stipendio o pensione. Tutti costoro all’ombra del Tricolore festeggiano ora i 150 anni dell’ Unità d’Italia che il Generale Giuseppe Garibaldi da solo portò a termine ritirandosi poi a Caprera con un sacco di fagioli. Altri tempi!

Amministrazione Veneta in tempo di vacche magre.- A Rovigo negli uffici della Regione Veneto certi dipendenti timbravano e uscivano. Un dipendente ha detto: per forza, eravamo in 350, ora che le competenze sono diminuite siamo in 550!

Amministrazione Italiana in tempo di vacche magre. Le spese di Rappresentanza del Presidente del Consiglio Regionale del Lazio sono di un milione e 841 mila Euro bel 23 volte della somma stanziata per il precedente Presidente della Repubblica Tedesca. E noi paghiamo alla grande !

Sanità Veneta: un modello per gli altri !. Un certo Simplicio in un giorno d’inverno del 2011 viene ricoverato urgentemente al pronto soccorso per una colica addominale dovuta a cause da accertare.
Il pronto soccorso, nota bene reparto ospedaliero, dopo le cure del caso lo dimette e consiglia una colonscopia. Il povero Simplicio va a prenotarla e si sente rispondere che non c’è posto o se tutto va bene per fine anno ed incredulo si fa l’idea che quello della Sanità Veneta è un modello da sorvegliare più che imitare.

Sanità Italiana. In Italia le leggi e la loro applicazione sono fatte con il record della stupidità.
A Milano due transessuali brasiliani con il virus dell’ Hiv ,clandestini recidivi, non possono per legge essere espulsi perché hanno diritto di curarsi in Italia gratis mentre nel loro paese pagano.
Va bene perché noi siamo tanto buoni e tanto mone. Ma nel frattempo per non annoiarsi continuano a battere ed impestare i loro clienti (600 clienti al mese). Allora oltre alla stupidità c’è dell’ altro.







Una Veneta bella, di classe ed intelligente.
 

La vicentina Giulia Nicole Magro che per un soffio non è stata eletta Miss. Italia 2010, anni 18, mt.1,80, 57 chili, taglia 44, studentessa in perfetta forma fisica e lo si vede, non è stata accettata alle sfilate di moda di Milano perché ha rifiutato di rinunciare a qualche peccato della buona tavola e conseguentemente di dimagrire. Sarebbe stato come sfregiare un’ opera d’arte. Ha finalmente rotto un tabù ed iniziato una crociata sacrosanta contro chi vuole le modelle
anoressiche al motto: per la moda non faccio dieta. Lo stilista Renato Balestra d'accordo l’ha voluta nelle sue sfilate di Roma.


(foto Corriere)






Inaudito, Clamoroso, Pazzesco !!!
Scoppia come una bomba a Venezia la notizia che Roma ingorda, dopo le tasse, la Mostra del Cinema, le Olimpiadi ora vuole scippare a Venezia nientemeno che il Canal Grande.
I Veneziani sono sconcertati ed infuriati e sono pronti ad una insurrezione tipo 1849.



Sensazionale, impensabile, incredibile !!!
Roma dopo 145 anni dà l’indipendenza al Veneto. I Venetisti in festa. Abrogato il decreto regio n° 3300 del 4 Novembre 1866 che stabiliva l’annessione del Veneto all’Italia.

Ma… arriva il contrordine: fermi tutti..calma!.
C’è un errore, è solo un pesce d’Aprile in anticipo ! Scherzi da ministero.

Preoccupante avvertimento ???
Strani e sordi rumori provenienti dal sottosuolo sul Fadalto a Vittorio Veneto e sul Monte Baldo a Malcesine sul Lago di Garda sono forse un avvertimento per la fine del mondo prevista dal calendario Maia per il 31-12-2012 ?





Anniversari



Il Caffè Pedrocchi di Padova famoso per essere conosciuto come il “caffè senza porte, ideato
dall’ architetto veneziano Giuseppe Jappelli in stile neoclassico e neogotico su commissione di Antonio Pedrotti fu inaugurato nel 1831.Situato in una posizione centrale della città di Padova, al piano terra aveva un Salone principale con il bancone in marmo per il servizio del caffè e le contigue sala verde destinata a chi voleva leggere i giornali senza consumare, utilissima per gli studenti squattrinati della vicina Università,da cui il detto essere al verde, la sala bianca e la sala Borsa per le contrattazioni.
Al piano superiore o piano nobile c’erano diverse stanze per feste e banchetti decorate in stili diversissimi ed il Museo del Risorgimento e dell’ Età Contemporanea con il ritratto del Fondatore Antonio Pedrotti. Il 180 compleanno di questo Caffè in concomitanza con i 150 anni dell’ Unità d’Italia, daranno l’occasione a mostre ed eventi per ricordare la vita di questa istituzione che già nel 1848 era punto d’incontro d’intellettuali e di giovani universitari che si opponevano al governo austriaco.Ancor oggi si può vedere infissa sul muro della sala bianca una palla austriaca sparata contro uno studente.






Festival di San Remo

Il veronese Giammarco Mazzi è stato riconfermato per il 2011 direttore artistico
della Manifestazione Canora dato il successo ottenuto nella precedente del 2010.





Vajont



Quando il 9 Ottobre 1963 alle 10 di sera la parte settentrionale del Monte Toc precipitò nell’ invaso sottostante della diga del Vajont colmo di 150 milioni m3 d’acqua creato e una massa mostruosa di 50 milioni di m3 d’acqua volò sopra l’orlo della diga che resistette ad una pressione ben 7 volte superiore al previsto, ed in un sol colpo si abbattè nei paesi sottostanti nella valle del Piave, Longarone, Castellavazzo e Fais e sui paesi di Erto e Casso situati per fortuna in alto sulle sponde, non ci fu scampo per i paesi e per 2000 persone, tante furono le vittime. Da allora tutto è rimasto come al momento della tragedia, solo la massa informe della montagna che ha preso il posto dell’ acqua nel lago con gli anni si è rivestita di verde, ma la diga è sempre salda al suo posto e su un percorso del Parco della Memoria i visitatori possono vedere e rendersi conto cosa accadde quella notte quando a causa della superficialità e della meschinità umane, furono sottovalutati gli avvertimenti che la montagna da diverso tempo preannunciava. Ora dopo 48 anni da quella tragedia si ritorna a parlare della diga perché si vorrebbe utilizzare il salto d’acqua del torrente Vajont , essendo il lago scomparso, installando una piccola centrale per produrre energia elettrica, in cambio i Comuni interessati riceverebbero 300.000 euro annui. Le Amministrazioni Comunali sono d’accordo dati i tempi magri di risorse, ma il Comitato dei sopravvissuti si oppone temendo una dissacrazione della Memoria, richiamando al rispetto dei Caduti quale monito per le future generazioni. Un grosso dilemma !





Era Ora !! - La Lingua Veneta ha pari dignità della Lingua Italiana

A Venezia presso la Biblioteca Marciana si è aperto un Convegno organizzato dall’ UNESCO e dalla Regione Veneto con il Patrocinio dell’ Accademia della Crusca e dell’ Università Ca Foscari sulla Lingua Veneta, tradizione, tutela e continuità.
Non a caso questo Convegno si tiene a Venezia, città che vide nel 1500 codificata nella sintassi e nella grammatica ad opera del Bembo, del Manunzio e del vicentino Gian Giorgio Trissino la nascente Lingua Italiana derivata dal Fiorentino e dove contemporaneamente la Lingua Veneta era d’uso corrente nella società, nei commerci, in politica e nella letteratura. Il contemporaneo uso delle due lingue non fu di ostacolo l’una all’altra, anzi contribuì ad affinarle. Solo più tardi con l’occupazione francese, l’impostazione centralista data da quel sistema favorevole ad una sola lingua unitaria a scapito delle altre, produsse una emarginazione ufficiale del Veneto che peraltro resistette e resiste tuttora egregiamente a tutti i livelli della società veneta. In un clima di globalizzazione e di appiattimento linguistico culturale, tenere vive e valorizzare le parlate dei vari popoli è un salutare bilanciamento per tutti anche a livello internazionale, perché solo una forte coscienza della propria identità che si esprime essenzialmente con la lingua, potrà permetterci di tenere testa e rapportarci pari pari con le altre culture.





10 Febbraio Giornata della Memoria per il Martirio e l’Esodo degli Istro-Veneti dall’ Istria, Fiume e Dalmazia.

Finalmente, dopo anni di indecisioni presso l’Università di Padova è stata scoperta una lapide per ricordare il Martirio e l’Esolo degli Italiani di quelle regioni che furono massacrati dai titini jugoslavi ed in particolare per ricordare la giovane Norma Cossetto, studentessa universitaria del Bo che fu seviziata e uccisa con la colpa di essere italiana. Ma ad una targa che si scopre purtroppo un’ altra viene strappata da mani infami in quel di Marghera dove ancora sopravvivono nel sottosuolo ed ogni tanto escono le peggiori bestie del 900 che si nutrono solo di odio ( detto dall’ assessore di sinistra Gianfranco Bettin). Ma pure ANPI, l’associazione dei partigiani che dopo 66 anni dalla fine della guerra dovrebbero per legge naturale essere estinti, continua inveterata, rappresentata da oscuri personaggi, a divulgare opuscoli minimizzando e negando quanto successo in quel dramma nazionale più volte ricordato e commemorato dallo stesso Presidente Napolitano. Nella loro illogica ignoranza storica, accecati da un’ ideologia che non permette loro di vedere i fatti storici più evidenti e da tutti riconosciuti, dove il disegno di Tito, con la scusa dell’ internazionale comunista, era solo l’occupazione con il terrore di terre italiane, continuano imperterriti a sfilare nelle commemorazioni con bandiere, labari e medaglie e contemporaneamente a denigrare i 350.000 uccisi o cacciati perché italiani.
La verità è che sono ancora dei vetero comunisti sopravvissuti ad un’ ideologia ormai decomposta ma che si tengono stretta e non hanno tuttora accettato e riconosciuto le loro colpe per quei fatti tragici che li videro protagonisti in combutta con i partigiani di Tito. Queste menti ottenebrate che non hanno capito il danno micidiale prodotto da quell’ ideologia ora vorrebbero rappresentare una garanzia
per l’ Italia. Siamo a posto!





Il Risorgimento nel Veneto

La Bandiera della Repubblica di San Marco che univa il Tricolore italiano al Leone di San Marco
simbolo di unità alla Nazione ma anche di specificità.



Come allora negli altri stati d’Italia, il Veneto nella prima metà dell’Ottocento
non era stato a guardare.


Già nel 1844 i veneziani Attilio ed Emilio Bandiera, al servizio della Marina Austriaca ma Mazziniani, diedero corso ad una piccola spedizione in aiuto ad una rivolta popolare contro i Borboni in Calabria poi rivelatasi finita e traditi furono catturati e fucilati.

Ma è nella generale insurrezione del 1848-1849 in Italia ed in Europa contro l’oppressione asburgica, che i Veneti manifestarono con coraggio la loro determinazione a liberarsi di quel giogo.

Nel 1848 il patriota noalese Pier Fortunato Calvi fu incaricato durante la liberazione di Venezia da Daniele Manin, di organizzare in Cadore la resistenza di patrioti contro le truppe austriache che scendevano lungo la valle del Piave e dove a Rivalgo con i volontari cadorini, mise in ritirate la truppa del generale Karl von Culoz. Poi pressato dai rinforzi ricevuti dal nemico dovette ritornare a Venezia, quindi a Torino dove progettò altre operazioni in Cadore per l’estate del 1853. Tradito da una spia, fu catturato, imprigionato ed infine, rifiutando la grazia della tirannia asburgica, fu impiccato con altri patrioti a Mantova (Belfiore).

Quando ormai in Italia ed in tutta Europa i moti rivoluzionari erano stati soffocati nel sangue dalla repressione asburgica e Carlo Albero sconfitto aveva lasciato al loro destino Milano e Venezia, caduta Milano ed altre città della terraferma, solo Venezia resisteva alle soverchianti forze nemiche al grido San Marco e Italia ad indicare una libera Repubblica in una Italia unita. Tutto era cominciato il 22 Marzo del 1848 con la sorprendente occupazione da parte dei rivoluzionari mestrini del forte di Marghera e della successiva ribellione a Venezia degli operai dell’ Arsenale che alla guida di Daniele Manin e Nicolò Tommaseo, liberati dalle carceri, istaurarono la nuova Repubblica di Venezia con la bandiera tricolore e il Leone di San Marco. Ben presto avuti i rinforzi, gli Austriaci rioccuparono Mestre ma Forte Marghera resisteva difesa da volontari provenienti da tutta Italia, tra i quali il generale napoletano e borbonico Pepe che abbandonati i borbonici, passò con le file dei patrioti al motto” di là ( del Po) c’è l’onore, di qua il disonore” seguito dal poeta napoletano Alessandro Poerio, ferito in seguito a Marghera e morto a Venezia, ed anche da volontari di altri paesi tra cui due polacchi poi caduti. Garibaldi che dopo la caduta della Repubblica Romana voleva raggiungere Venezia che ancora resisteva, fu fermato dagli Austriaci nelle paludi di Comacchio dove Anita morì. Il forte era assediato da 24.000 soldati e martellato con ben 137 cannoni a cui rispondevano gli 88 cannoni del forte difeso da 2500 uomini al comando prima del generale Paolucci poi del napoletano Ulloa. Il 27 0ttobre 1848 gli assediati decisero una sortita con 2000 uomini al comando del tenente Antonio Olivi che, dopo la cruenta battaglia di Ponte Campana, ebbe successo e Mestre venne rioccupata seppur per poco.Oggi una colonna a Piazza Barche a Mestre ricorda quelle gesta gloriose. La reazione austriaca di Radetzsky fu rabbiosa, bombardando il forte con 70.000 colpi che provocarono tra gli assediati 500 tra morti e feriti. I supestiti distrutto quanto poteva servire al nemico, abbandonarono il forte il 26 Maggio1849 rifugiandosi a Venezia. A Mestre, martoriata dagli scontri e dalla presenza di migliaia di soldati, scoppiò per giunta il colera che imperversò per tre mesi. Venezia ormai priva della difesa del forte, fu bombardata direttamente nel suo centro storico, persino si cercò per la prima volta nella storia, di bombardarla anche dal cielo servendosi di palloni aereostatici che per fortuna il vento trasportò altrove. Senza viveri, ormai stremata, alzò bandiera bianca il 22 Agosto 1849, subendo poi la durissima repressione austriaca con fucilazioni, deportazioni e nuove tasse che ridussero la popolazione in miseria.

Ben riassume quei giorni cupi della resa, la famosa canzone di Arnaldo Fusinato.

Sulle tue pagine scolpisci o Storia,
l’altrui nequizie e la sua gloria
e grida ai posteri tre volte infame
chi vuol Venezia morta di fame.
Viva Venezia:
L’ira nemica, la Sua risuscita
Virtude antica,
ma il morbo infuria, ma il pan ci manca.
Sul ponte sventola bandiera bianca.

Veneti alla spedizione dei Mille
160 furono i Veneti che parteciparono alla spedizione dei Mille ( 35 da Vicenza, 32 da Padova, 25 da Treviso,24 da Verona,21 da Padova,15 da Rovigo,8 da Belluno, il secondo gruppo dopo quello lombardo. Parteciparono inoltre circa 60 studenti e ex studenti dell’ Università di Padova, da sempre centro di irredentismo, dei quali 6 persero la vita tra i quali lo scrittore Ippolito Nievo. Il Veneto nella spedizione ebbe anche 2 primati:

-Il più giovane garibaldino, Giuseppe Marchetti, chioggiotto che undicenne si imbarcò con il padre allo scoglio di Quarto.

-L’unica donna garibaldina combattente, Antonia Masanello di Montemerlo (Padova) che con il marito, camuffata da soldato sotto il falso nome di Antonio Marinello, partecipò sul campo alle operazioni dei Mille, ottenendo al termine il brevetto di caporale ed il congedo con onore.

Nella 3° guerra d’indipendenza nel 1866 i 2/3 dei 38.000 componenti del Corpo Volontari di Garibaldi che vinsero a Bezzecca, erano volontari veneti che tra non poche difficoltà dovute ai controlli austriaci, riuscirono ad arruolarsi.

150° Anniversario dell’ Unità d’Italia- Festeggiare si, ma….

E’ giusto festeggiare questo Anniversario dell’ Unità d’Italia con una mano nel cuore ma con l’altra libera perché a 150 anni di distanza serve un nuovo Risorgimento. Ricordando coloro che si sono sacrificati per un’ Italia unita non possiamo più accettare chi ha tradito e tuttora tradisce i loro ideali: sono molti nel nostro paese quelli che ora festeggiano ma contemporaneamente ignorano o si fanno beffe dei principi per i quali i patrioti di allora hanno combattuto, tanto che l’Italia di oggi sembra un paese alla rovescia, con un lungo elenco di cose sbagliate più di quelle valide.

Per cominciare la Costituzione tanto invocata dice che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro che ha purtroppo il record europeo delle tasse più basse e delle retribuzioni più basse. I Sincadati hanno fatto finora tanta sterile opposizione mentre troppe volte è mancata anche la responsabilità degli Imprenditori verso il Paese.

Una giustizia da 3° mondo che nessun paese moderno tollererebbe ed una burocrazia elefantiaca ed inefficiente con una visione miope delle esigenze dei cittadini ci impedisce di progredire anzi ci fa regredire. Ci sarà pure qualche responsabile del degrado delle nostre città, dell’ urbanizzazione senza controlli con l’ irreparabile distruzione dell’ ambiente che ne deriva. C’è stato ma è svanito.

Una politica con costi insopportabili per il paese, priva di serie prospettive e ridotta solo a scontri personalistici che ci fa ripiombare al tempo dei Guelfi e Ghibellini con ammininistratori e la cosidetta intellighenzia uniti nella disputa, ci portano solo a sterili dispute. Di ciò ne approfittano altri paesi e le multinazionali per condizionarci ed impossessarsi delle cose migliori, la via sicura verso la povertà che precluderà il futuro per molti giovani.

Una parte del nostro paese è sotto il controllo della criminalità organizzata che alcuno paese civile al mondo potrebbe tollerare.Nessuno è mai stato indicato responsabile di questa situazione ormai incancrenita che paralizza il sud come il resto del paese. Eppure determinate forze politiche avevano accordi di scambio con i criminali pur di ottenere quei voti, facevano finta di non vedere come venivano procacciati e chiudevano gli occhi piuttosto di prendere provvedimenti drastici per estirpare dall’ inizio quel bubbone che ormai si è trasformato in metastasi.

Non molti anni fà, il nostro Governo aveva le finanze sotto controllo anzi era un modello per altri paesi. Poi nel breve giro di un tempo ben identificabile, si è aperta una voragine enorme , un debito pubblico che per noi e per i nostri figli è una palla al piede insopportabile. Ci sarà stato stato un responsabile di ciò ma nessuno l’ha mai indicato e tantomeno costui ha pagato. Paghiamo sempre noi.

E’ stata inventata un tipo di società, la nostra attuale italiana, che ha distrutto il merito ed i valori privilegiando il declassamento e la non cultura, anzi proponendo l’esibizionismo e la vacuità della televisione con i suoi grande fratello e le fictions a base di stupidità, volgarità, sesso e violenza. Il Paese dove la fa generalmente franca chi non fa il proprio dovere, elude le responsabilità, i furbi, chi delinque in continuazione, dove è salvo chi gode di protezioni ma è tartassato chi lavora onestamente, con differenze intollerabili tra regioni privilegiate ed altre sfruttate a causa di un’ inaccettabile mancaza di rigore e giustizia.

Per questo pur essendo doveroso ricordare il 150°, nonostante le belle parole,
non si può festeggiare a cuore aperto.

Noi Veneti avevamo una Repubblica che fu di esempio nella storia, fondata su principi che erano pilastri inattaccabili, quali la giustezza ed il rigore delle leggi , il bene ed il rispetto dei cittadini, l’avvedutezza delle decisioni, il comportamento aperto a tutti ma accorto al primario interesse della Repubblica. Al tempo della Serenissima chi appoggiava un personaggio politico, se questo sbagliava rispondeva per lui ed il nome di chi aveva rubato allo stato veniva esposto pubblicamente per la durata della loro vita. Un principio base ed elementare era alla base della Costituzione veneziana, il sospetto costituzionale: diffidenza verso coloro che esercitavano il potere che alla lunga distorce i propositi più buoni, meglio prevenire che poi castigare da cui derivavano tre regole fondamentali: la brevità delle cariche, la collegialità,la pluralità degli organi che si controllavano a vicenda e che gli americani oggi chiamano checks and balance. Non per nulla la Repubblica Veneziana è durata più di 1200 anni, più di tutte le dinasie e i regni della storia, meritandosi il rispetto e l’ammirazione di Stati molto più potenti. Dobbiamo guardare nuovamente alla serietà di quel tipo di governo che con i dovuti accorgimenti e aggiornamenti può garantire ancor oggi il bene a la sicurezza dei cittadini, unico sistema per salvare e far progredire una Nazione. Allora sì potremo festeggiare a cuore aperto.


17 Marzo 2011 - I politici festeggiano, ma non sanno cosa !!!
La sera dei festeggiamenti per il 150 ° dell’ Unità d’Italia, mentre un canale tv trasmetteva rievocazioni e spettacoli farciti dalle solite canzoni napoletane (sempre quelle) in un’ altra tv le Iene mandavano un giornalista ad intervistare alcuni politici tra i quali la Bindi che pontifica sempre sul video. Quasi nessuno ha saputo rispondere a domande che chiunque ha fatto le elementari, almeno quando la scuola insegnava la storia, sa : quando c’è stata l’ Unità d’Italia, il nome del Re, perché Garibaldi è chiamato l’eroe dei due mondi. Aiuto !! , siamo governati da marziani !

25 Marzo 2011
In questa data i Veneti festeggiano con il patrocinio della Regione, il 1590 ° anniversario della nascita di Venezia. Alla manifestazione di Venezia hanno brillato per la loro totale assenza Sindaco e Amministratori Comunali ( di sinistra) che, se la storia ha un significato, non sono certo nemmeno lontani parenti di Daniele Manin. Sono Marziani.

A proposito di Marziani, a Mestre un certo don Renato Mazzuia, parroco della chiesa di S. Maria di Lourdes, ha rifiutato di celebrare il funerale di Gigi Sartorelli, Veneto DOC, se dalla bara non fosse prima tolta la Bandiera di S. Marco che la copriva. Il presidente del Veneto Luca Zaia ha duramento criticato questa imposizione rammentando che la Bandiera di San Marco ha difeso per più di mille anni la Cristianità a Lepanto come in tante altre battaglie aggiungendo : mi auguro che le gererchie trovino i tempi e i modi per dare un segnale a tutti noi che siamo rimasti evangelicamente scandalizzati da tanta arroganza. Trovo infine sorprendente che un uomo di Chiesa sia così ignorante dei fatti del passato e della storia del popolo che dovrebbe guidare….

La Repubblica dei buonisti MONE
La Francia nel 2010 ha espulso 28.000 tra clandestini indesiderati e delinquenti, la maggior parte Nordafricani. Costoro hanno pensato bene di imbarcarsi per l’Italia che da buonista Mona, unica nel Mediterraneo, li ha accolti e adesso si illude che la Francia li riprenda. Più MONE di cosi!!
Questa è purtroppo oggi l’Italia che hanno festeggiato in grande pompa.
Altro che feste, c’è da piangere e far ridere il mondo!

In Giappone a Fukushima dopo l’apocalisse del terremoto e maremoto la neve ha coperto i miseri resti delle città distrutte. La natura indifferente, con una mano invisibile provvede a coprire quello che prima ha distrutto, questa volta con l’aggiunta di neve intrisa di radiazioni mortali.
Con la natura non si può scherzare: prima o dopo presenta il conto. In questo quadro disperato, risplendono come vivide stelle in un cielo nero i volontari Eroi che pur sapendo di andare incontro a una sicura morte, con stoicismo cercano di bloccare la fuga radioattiva onde limitare il pericolo per la popolazione. Come gli antichi samurai ed i kamikaze della seconda guerra mondiale: il sacrificio personale per uno scopo superiore. Banzai!






L'eterna Avventura
  L’ultima avventura
non sarà mai scritta sulle montagne
finché esse saranno palestra di libertà.
Libertà di partire all’alba
con emozioni nuove,
per sentieri sconosciuti,
attraverso boschi oscuri e prati aperti,
su per ghiaioni infidi,
per erte dirupate e canaloni selvaggi,
sopra sottili cenge ed aeree creste,
davanti a pareti aperte come lavagne,
dove tracciare percorsi nuovi
verso cime misteriose
che brillano in alto al sole,
come un eterno miraggio.
(S.P.)






Tempi passài
Cussì i diséa i nostri veci

- Xe mejo un proverbio ancò che un baùco doman.
- El proverbio xe na curta sentensa costrùia so na longa esperienza.
- A fémena a xe come l’acqua santa, tanto a fa poca che tanta.
- Dopo i confeti se vede i difeti.

etc, etc, etc, (tanti bei proverbi e massime dei tempi andài della tradizionale saggezza popolare,
in gran parte ancora vaìdi)
.

Altri proverbi su: "Ciacoe in fameja"





Tempi moderni
El computer

Al mondo, dopo l’invension de l’omo
vien quea del computer
parché moltiplicando el so servéo
fa robe ecessionai anca un putéo.
Ma.. ghe se sempre un ma,
se l’omo, che so ch’el scherméto
ghe fa star tuto el mondo streto,
el se desmentega de queo vissin de lù,
pì che un guadagno, el ga perso de più.
(S. Petrini)


Altre poesie su: "Ciacoe in fameja"




25 Aprile - Festa di San Marco
Era tradizione che in occasione della festa di San Marco a Venezia regalare all’innamorata un bocolo di rosa e che i Dogi inaugurassero la nuova stagione gustando un piatto popolare: ” Bisi coe sepie”.
Questa la ricetta:

Per 4 persone : 800 gr. di seppie fresche di taglia media, 700 gr. di piselli freschi pari a 400 gr. sgranati, mezzo bicchiere di passata di pomodoro, una cipolla o uno spicchio di aglio, mezzo bicchiere di vino secco, un ciuffo di prezzemolo, olio extra verg. di oliva, sale e pepe.

Pulire e tagliare a striscioline le seppie togliendo il becco corneo e gli occhi. Preparare il soffritto con olio e cipolla. Aggiungere poi le seppie facendole rosolare per alcuni minuti. Versare quindi il vino e lasciarlo sfumare. Aggiungere a questo punto le verdure e le spezie: piselli, passata di pomodoro, sale pepe. Coprire il tutto con un po’ d’acqua e lasciare cuocere a fuoco lento per circa un’ ora.
A cottura ultimata unire il prexxemolo sminuzzato e servire con una fetta di polenta.
Consigliato vino bianco. Buon appetito e auguri !

 








  Sul Grappa, a 1400 metri d’altezza, quasi a toccare le nuvole, l’ultimo ciliegio e l’ultimo faggio,insieme intrecciano i loro rami in una nuova primavera.




Natura è tutto ciò
che vediamo:
il colle,
il pomeriggio,
lo scoiattolo,
l’eclissi,
il calabrone.
Natura è tutto
quello che
sappiamo
senza avere
la capacità di dirlo,
tanto impotente è
la nostra sapienza
a confronto della
sua semplicità.

(Emily Dickinson)




Veneti eccellenti
Bruno Serato veronese, da 30 anni in California, ristoratore a Anaheim che ha avuto come clienti
Carter e Madonna, è stato incluso nei “Cnn Top 20 Heroes 2011” per sfamare da sei anni
gratuitamente alla sera con un buon piatto di pasta 300 motel-kids,
bambini che a causa della povertà avrebbero saltato quel pasto.




Le facce dell'estate - Tempo di mare
 

Il vento

C’è stato brutto tempo
ed il vento sulla spiaggia
aveva giocato con la sabbia
formando piccole dune.
Ora il vento è calato
ma ancora presente:
ci soffia in faccia,
come per sberleffo,
invisibili granelli di sabbia.
Sembra volerci ricordare
quando lui dominava la natura
e le nuvole,l’acqua, la terra
gli ubbidivano.
Ora che la terra, l’aria, l’acqua
sono in parte dominio dell’uomo,
resta solo lui l’unico elemento libero
e di tanto in tanto,
riprende l’antica baldanza
e mostra la sua forza e la sua fantasia.



 

Ritorno

Sulla bianca spiaggia
ragazze quasi nude
si sdraiano al sole.
Sull’ acqua,
ragazzi sulle tavole
cavalcano le irrequiete onde
per carpire i segreti del mare.
Altri camminano tra la bianca schiuma
e lasciano impronte,
messaggi che l’acqua porta con sé,
o si immergono nel materno abbraccio
per uscirne poi grondanti e felici.
E’ il breve ritorno dell’essere umano
alla nostra madre natura,
che sempre ci accoglie benefica e ci rigenera.



  Dove la trovate una sabbia così?
Solo sulle spiagge venete!




Estate - Tempo di montagna
 








Estate - Tempo di mietitura




LA STORIA DEL PANE


Van Gogh  - Seminatore al tramonto

Testo su: "Note Storia"







LA STORIA DEL VINO




Testo su: "Note Storia"






STORIA DELL'EMIGRAZIONE VENETA



Dal 1970 in poi l’ avvio di una forte industrializzazione ed una migliore conduzione nell’ agricoltura portarono finalmente all’ occupazione completa della manodopera disponibile ed a un aumento impensabile del tenore di vita,il famoso miracolo economico, tant’è che molti emigrati temporanei rientrarono ed iniziarono flussi immigratori sempre più consistenti da altri paesi verso l’Italia. Ma dagli anni 2000 lo spettro dell’ emigrazione apparve nuovamente : giovani diplomati e laureati a spese dello stato italiano, dove un sistema retrogado e sclerotizzato non è in grado o non vuole impiegare perfino i più bravi, sono costretti ad emigrare in stati più organizzati e preveggenti, offrendo il loro sapere e capacità per le fortune degli altri. E mentre gli altri con la bravura e l’ingegno dei nostri migliori si arrichiscono, noi in Italia accogliamo gente senza qualifica o peggio, che lavorando spesso in nero,non pagano tasse, ci fanno una sleale concorrenza portandoci verso la disoccupazione ed una nuova povertà. Se questa non è pura stupidità!

A proposito : chi è il più bravo?

Nei test scolastici dell’ istruzione INVALSI, gli studenti veneti sono in cima alla classifica delle regioni italiane in Italiano e matematica, ma ogni anno agli esami di maturità i cervelloni con 100 e lode al Sud sono il doppio del Nord con il record della Calabria.
Evidentemente al Sud usano ancora un metro borbonico.

Alla Mostra del Cinema di Venezia ( proprio a Venezia! ) è stato presentato un “ film ?” del napoletano Francesco Patierno interpretato dal meridionale/ milanese Diego Abatantuono ( che prova fare il veneto !) “ Cose dell’ altro mondo” con l’unico intento di far sapere in giro ( a chi poi ? ) che nel Veneto e solo nel Veneto chissà perché, gli immigrati non sono accolti bene. Mancava per loro il tappeto rosso! La realtà è ben diversa ed eccetto qualche stupido o bugiardo senza vergogna, lo sanno tuttti che qui da noi gli immigrati hanno un’ accoglienza dignitosa sempre ché lavorino regolarmente e rispettino le nostre regole e tradizioni come succede in ogni paese. A chi non va bene può sempre andarsene. Ben diverso è il trattamento che ricevono in altre Regioni dove sono spesse volte sfruttati e se si ribellano anche fatti sparire. Ma su ciò si guardano bene di fare un film. E pensare che per una cazzata del genere, con la crisi nera che ci ritroviamo, un ministero” sbadato ” ha elargito vergognosamente un contributo di 1.300.000 Euro, soldi dei contribuenti veneti ed italiani sperperati.
Queste sì sono “ COSE DELL’ALTRO MONDO – COSE CHE FANNO SCHIFO !”

Testo su: "Note Storia"





Il Cadore paga ancora
  Tutto il Cadore si è riunito Lunedì 5 Settembre a San Vito per dare l’addio a 2 eroi Aldo Giustina 42 anni e Alberto Bonafede di 43 che sono caduti sul Monte Pelmo travolti da una frana di roccia durante il soccorso di due alpinisti tedeschi bloccati nella parete Nord. Ancora una volta la Montagna, oggi il Re delle Dolomiti ha mostrato il suo volto severo e freddo come la morte.





Agordo - Luxottica ha festeggiato alla grande i suoi primi 50 anni di attività.
Un modello.
Il Fondatore e Presidente della Luxottica, Leonardo Del Vecchio, per affetto e riconoscenza verso la sua gente, ha voluto festeggiare ad Agordo i 50 anni della Luxottica dove era nata nel 1961, ha fatto i primi passi e dove tuttora ha la sede e che in una sola generazione imprenditoriale è diventata una delle poche multinazionali italiane, quotata a New York ed uffici e stabilimenti in tutto il mondo con 60.000 dipendenti. Con un fatturato di quasi 3 miliardi di Euro esportato al 96%, nonostante la crisi mondiale i dati di bilancio del 2° trimestre 2011 sono stati i migliori nella storia del gruppo che ha in proprietà marchi famosi ( Ray-Ban, Oakley,Revo, Mosley Tribes, Oliver Peoples).
Il segreto di Luxottica, il suo successo e l’attaccamento delle maestranze, ha detto il ministro Sacconi, è aver compreso tempestivamente il mercato globale senza trascurare i rapporti di lavoro e l’attenzione ai bisogni delle famiglie in un clima di condivisione, un modello di valori replicabile non solo nel Bellunese. Questi sono gli Industriali ed i Manager che servono all’Italia per uscire dalle crisi, il resto è solo aria fritta.




San Zenone - Terra di Artisti - Mostra Antologica


E’ stata aperta il 18 Settembre a Villa Marini Rubelli ottimamente restaurata, una Mostra di Pittori e Scultori del passato e del presente che si sono ispirati al paesaggio e all’ambiente di queste colline ai piedi del Monte Grappa. In questa bella ed interessante mostra, un centinaio di opere a partire dalla fine del 700 ai giorni nostri danno una panoramica delle differenti interpretazioni artistiche nella grafica, nella scultura e nella pittura. Ci sono i quadri di Noè Bordignon attento al lato umano della gente dell’ Ottocento, le pitture di Teodoro Wolf Ferrari che dopo aver partecipato ai nuovi movimenti europei dell’ epoca fu attratto dai paesaggi pedemontani, le sculture per piazze ed edifici pubblici del territorio di Francesco Rebesco ed altre opere di Antonio Conte (1783-1867), Filippo Favero (1837-1914), Serafino Ramazzotti ( 1846-1920), Fausto Bellino Tasca ( 1885-1937), Lazzaro ( Rino) Bordignon ( 1889-1906), Valerio Giacobbo ( 1894-1979), Luigi Stefani (1899-1987), Piergiorgio Rebesco (scultore 1936), Enzo Alberton ( 1937) nonché un’ esposizione interessante degli artisti contemporanei del Gruppo d’ Arte Noè Bordignon che continuano la tradizione artistica locale.

Foto su: "Art Gallery"







Acqua sorgente di vita
  Dalla terra arsa e dura a causa della lunga siccità, sgorga una sorgente di acqua limpida
e fresca che per vie misteriose, proveniente
da chissà dove, appare qui come per miracolo.
E’ un ennesimo segno che la natura è amica
dell’ Uomo e che lo aiuta in tutti i modi.
Per questo è doveroso rispettarla e amarla.

  Un tempo nella campagna c’erano prati con cento erbe e fiori che Madre Natura aveva nei millenni pazientemente selezionato e poi regalato a noi, con i loro colori e profumi,
tra il canto dei grilli, il gracchiare delle rane,
il ronzio delle api, il salto delle cavallette, le farfalle, il volo delle rondini e degli altri uccelli. Poi un giorno è intervenuta la Scienza
Nuova che ha sentenziato che tutte quelle
erbe non andavano bene, non erano sufficientemente produttive, bisognava coltivare solo il genere più redditizio e
all’ occorrenza modificarlo geneticamente.
Ora c’è un bel tappeto verde ma privo di
colori , di profumi, del canto dei grilli, del ronzio delle api, del gracchiare delle rane,
del volo delle rondini e delle farfalle.
Forse non abbiamo fatto un buon affare!





  Il tempo lavora in silenzio di continuo ed il
suo lavoro pur impercettibile però si vede:
vicino ad una casa che anno dopo anno si consuma e crolla, un albero nel frattempo
si innalza sempre più possente e vigoroso
verso il cielo.





Vita da Galline
  E’ raro al giorno d’oggi vedere galline
razzolare libere e felici nei campi.
Rosse, gialle, grigie, nere, bianche,
quasi una tavolozza di pittore,
vivaci raspano e beccano in continuazione
in compagnia di un galletto impettito,
finché decidono secondo natura
che è l’ora di deporre un gustoso ovetto
e se qualcuna cova, diventerà chioccia
premurosa per poi finire dopo qualche anno
di onorata attività, ahimè dignitosamente
in pentola.
Ben altra sorte è riservata alle loro parenti
moderne, pigiate in batteria e stressate
dal lavoro in un ammasso informe negli
allevamenti industriali, dove a migliaia
uguali nel colore, forma, peso, cibo,
sono regolate da orari implacabili
che mai la natura ha previsto.
Queste non conoscendo la libertà delle prime
e la loro fatica quotidiana per cercare
un gustoso vermicello, abbagliate dalle luci
e dal cibo facile, credono il loro mondo
perfetto e moriranno anonimamente contente
di aver fatto compiutamente il loro dovere,
ignare che la vita può essere anche altra cosa.
Oltre alle galline,
può succedere anche agli uomini.







  Questi Signori un po’ avanti con gli anni,
cercano di abbracciare il Grande Vegliardo,
il Castagner de Balech in quel di Celadon
di Quero (Belluno) che con i suoi 11 metri
di circonferenza e centinaia di anni
li sopravanza di molto.





  In una bella giornata, dopo una lunga camminata, in pace con se stesso e con
il mondo, Luigino dixit “Not abrumpere…“







Liberi Comuni e Signorotti feudali in lotta
nel Veneto medioevale.
La storia insegna

 

“ In quella parte della terra prava
Italica che siede tra Rialto
e le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non sorge molt’alto
là onde scese già una facella
che fece alla contrada un grande assalto”
Dante 9° Canto del Paradiso


Testo su: "Note Storia"



S. Zenone - Torre superstite del Castello Ezzeliniano




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IN LIBRERIA
 

Storia della lingua veneta
"A Linguistic History of Venice"
di Ronnie Ferguson
Editore Olschki - Firenze.

s.p.




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